La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo LXVI

Libro secondo
Capitolo LXVI

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Io mi stavo in casa, e di rado mi appresentavo al Palazzo, e con gran sollecitudine lavoravo, per finire la mia opera; e mi conveniva pagare i lavoranti de il mio; perché, avendomi fatto pagare certi lavoranti il Duca da Lattanzio Gorini in circa a diciotto mesi ed essendogli venuto annoia, mi fece levare le commessione, per la qual cosa io domandai il detto Lattanzio, perché e’ non mi pagava. E’ mi rispose, menando certe sue manuzze di ragnatelo, con una vocerellina di zanzara: - Perché non finisci questa tua opera? E’ si crede che tu nolla finirai mai -. Io subito gli risposi adirato e dissi: - Cosí vi venga il canchero e a voi e attutti quegli che non credono che io nolla finisca -. E cosí disperato mi ritornai accasa al mio mal fortunato Perseo, e non senza lacrime, perché mi tornava in memoria il mio bello stato che io avevo lasciato in Parigi sotto ’l servizio di quel maraviglioso re Francesco, con el quale mi avanzava ogni cosa, e qui mi mancava ogni cosa. E parecchi volte mi disposi di gittarmi al disperato: e una volta infra l’altre io montai in su un mio bel cavalletto, e mi missi cento scudi accanto, e me n’andai a Fiesole a vedere un mio figliuolino naturale, il quale tenevo abbalia con una mia comare, moglie di un mio lavorante. E giunto al mio figliolino lo trovai di buono essere, e io cosí malcontento lo baciai; e volendomi partire, e’ non mi lasciava, perché mi teneva forte colle manine e con un furore di pianto e strida, che in quell’età di due anni in circa era cosa piú che maravigliosa. E perché io m’ero resoluto che, se io trovavo ’l Bandinello, il quale soleva andare ogni sera a quel suo podere sopra San Domenico, come disperato lo volevo gittare in terra, cosí mi spiccai dal mio bambino, lasciandolo con quel suo dirotto pianto. E venendomene inverso Firenze, quando io arrivai alla piazza di San Domenico, appunto il Bandinello entrava dall’altro lato in su la piazza. Subito resolutomi di fare quella sanguinosa opera, giunsi allui, e alzato gli occhi, lo vidi senza arme, in su un muluccio come uno asino e aveva seco un fanciullino dell’età di dieci anni; e subito che lui mi vidde, divenne di color di morto, e tremava dal capo ai piedi. Io, conosciuto la vilissima opera, dissi: - Non aver paura, vil poltrone, che io non ti vo’ far degno delle mie busse -. Egli mi guardò rimesso e non disse nulla. Allora io ripresi la virtú, e ringrazia’ Iddio che per sua vera virtute non aveva voluto che io facessi un tal disordine. Cosí liberatomi da quel diabolico furore, mi accrebbe animo e meco medesimo dicevo: - Se Iddio mi dà tanto di grazia che io finisca la mia opera, spero con quella di ammazzare tutti i mia ribaldi nimici; dove io farò molte maggiori e piú gloriose le mie vendette, che se io mi fussi sfogato con un solo - e con questa buona resoluzione mi tornai a casa. In capo di tre giorni io intesi come quella mia comare mi aveva affogato il mio unico figliolino; il quale mi dette tanto dolore che mai non senti’ il maggiore. Imperò mi inginocchiai in terra, e non senza lacrime al mio solito ringraziai il mio Iddio, dicendo: - Signor mio, tu me lo desti, e or tu me t’hai tolto, e di tutto io con tutto ’l cuor mio ti ringrazio -. E con tutto che ’l gran dolore mi aveva quasi smarrito, pure, al mio solito, fatto della necessità virtú, il meglio che io potevo mi andavo accomodando.