La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo LVIII

Libro secondo
Capitolo LVIII

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Desideroso pure che nulla non andassi male, essendo carico il mio orto di molte brutture, chiamai due manovali, e’ quali mi furno menati dal Ponte Vecchio: di questi ce n’era uno vecchio di sessant’anni, l’altro si era giovane di diciotto. Avendogli tenuti circa tre giornate, quel giovane mi disse che quel vecchio non voleva lavorare e che io facevo meglio a mandarlo via, perché non tanto che lui non voleva lavorare, impediva il giovane che non lavorassi: e mi disse che quel poco che v’era da fare, lui se lo poteva fare da sé, sanza gittar via e’ denari in altre persone: questo aveva nome Bernardino Manellini di Mugello. Vedendolo io tanto volentieri affaticarsi, lo domandai se lui si voleva acconciar meco per servidore: al primo noi fummo d’accordo. Questo giovane mi governava un cavallo, lavorava l’orto, di poi s’ingegnava d’aiutarmi in bottega, tanto che a poco a poco e’ cominciò a ’nparare l’arte con tanta gentilezza che io non ebbi mai migliore aiuto di quello. E risolvendomi di far con costui ogni cosa, cominciai a mostrare al Duca che ’l Bandinello direbbe le bugie, e che io farei benissimo sanza i lavoranti del Bandinello. Vennemi in questo tempo un poco di male alle rene; e perché io non potevo lavorare, volentieri mi stavo in guardaroba del Duca con certi giovani orefici, che si domandavano Gianpagolo e Domenico Poggini, ai quali io facevo fare uno vasetto d’oro, tutto lavorato di basso rilievo, con figure e altri belli ornamenti: questo era per la Duchessa, il quale Sua Eccellenzia faceva fare per bere dell’acqua. Ancora mi richiese che io le facesse una cintura d’oro; e anche quest’opera ricchissimamente, con gioie e con molte piacevole invenzione di mascherette e d’altro: questa se le fece. Veniva a ogni poco il Duca in questa guardaroba, e pigliavasi piacere grandissimo di veder lavorare, e di ragionare con esso meco. Cominciato un poco a migliorare delle mie rene, mi feci portar della terra, e in mentre che ’l Duca si stava quivi a passar tempo, io lo ritrassi, faccendo una testa assai maggiore del vivo. Di questa opera Sua Eccellenzia ne prese grandissimo piacere e mi pose tanto amore, che lui mi disse che gli sarebbe stato grandissimo appiacere che io mi fussi accomodato a lavorare in Palazzo, cercandomi in esso palazzo di stanze capace, le quale io mi dovessi fare acconciare con le fornacie e con ciò che io avessi di bisogno; perché pigliava piacere di tal cose grandissimo. A questo io dissi a Sua Eccellenzia, che non era possibile, perché io non arei finito l’opere mia in cento anni.