La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo LVII

Libro secondo
Capitolo LVII

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In mentre che io facevo murare la bottega per cominciarvi drento il Perseo, io lavoravo in una camera terrena, innella quale io facevo il Perseo di gesso, della grandezza che gli aveva da essere, con pensiero di formarlo da quel di gesso. Quando io viddi che il farlo per questa via mi riusciva un po’ lungo, presi un altro espediente, perché di già era posto sú, di mattone sopra mattone, un poco di bottegaccia, fatta con tanta miseria, che troppo mi offende il ricordarmene. Cominciai la figura della Medusa, e feci una ossatura di ferro; di poi la cominciai a far di terra, e fatta che io l’ebbi di terra, io la cossi. Ero solo con certi fattoruzzi, infra i quali ce ne era uno molto bello: questo si era figliuolo d’una meretrice, chiamata la Gambetta. Servivomi di questo fanciullo per ritrarlo, perché noi non abbiamo altri libri [che ci insegnin l'arte, altro che il naturale]. Cercavo di pigliar de’ lavoranti per ispedir presto questa mia opera, e non ne potevo trovare, e da per me solo io non potevo fare ogni cosa. Eracene qualcuno in Firenze che volentieri sarebbe venuto, ma il Bandinello subito m’impediva che non venissino; e faccendomi stentare cosí un pezzo, diceva al Duca che io andavo cercando dei sua lavoranti, perché da per me non era mai possibile che io sapessi mettere insieme una figura grande. Io mi dolsi col Duca della gran noia che mi dava questa bestia, e lo pregai che mi facessi avere qualcun di quei lavoranti dell’Opera. Queste mie parole furno causa di far credere al Duca quello che gli diceva il Bandinello. Avvedutomi di questo, io mi disposi di far da me quanto io potevo. E messomi giú con le piú estreme fatiche che immaginar si possa, in questo che io giorno e notte m’affaticavo, si ammalò il marito della mia sorella, e in brevi giorni si morí. Lasciòmi la mia sorella, giovane, con sei figliuole fra piccole e grande: questo fu il primo gran travaglio che io ebbi in Firenze: restar padre e guida d’una tale isconfitta.