La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo III

Libro secondo
Capitolo III

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Venuto il tempo della partita, mi donò un cavallo bello e buono; e lo domandava Tornon, perché il cardinal Tornon l’aveva donato a lui. Ancora Pagolo e Ascanio, mia allevati, furno provisti di cavalcature. Il Cardinale divise la sua Corte, la quale era grandissima: una parte piú nobile ne menò seco: con essa fece la via della Romagna, per andare a visitare la Madonna del Loreto, e di quivi poi a Ferrara, casa sua; l’altra parte dirizzò per la volta di Firenze. Questa era la maggior parte; ed era una gran quantità, con la bellezza della sua cavalleria. A me disse che se io volevo andar sicuro, che io andassi seco: quando che no, che io portavo pericolo della vita. Io detti intenzione a Sua Signoria reverendissima di andarmene seco; e cosí come quel ch’è ordinato dai Cieli convien che sia, piacque a Dio che mi tornò in memoria la mia povera sorella carnale, la quale aveva auto tanti gran dispiaceri de’ miei gran mali. Ancora mi tornò in memoria le mie sorelle cugine, le quali erano a Viterbo monache, una badessa e l’altra camarlinga, tanto che l’eran governatrice di quel ricco monisterio; e avendo aùto per me tanti grevi affanni e per me fatto tante orazione, che io mi tenevo certissimo per le orazioni di quelle povere verginelle d’avere impetrato la grazia da Dio della mia salute. Però venutemi tutte queste cose in memoria, mi volsi per la volta di Firenze; e dove io sarei andato franco di spese o col Cardinale o coll’altro suo traino, io me ne volsi andare da per me; e m’accompagnai con un maestro di oriuoli eccellentissimo, che si domandava maestro Cherubino, molto mio amico. Trovandoci a caso, facevamo quel viaggio molto piacevole insieme. Essendomi partito el lunedí santo di Roma, ce ne venimmo soli noi tre, e a Monteruosi trovai la ditta compagnia; e perché io avevo dato intenzione di andarmene col Cardinale, non pensavo che nissuno di quei miei nimici m’avessino aùto a vigilare altrimenti. Certo che io capitavo male a Monteruosi, perché innanzi a noi era istato mandato una frotta di uomini bene armati, per farmi dispiacere; e volse Idio che in mentre che noi desinavamo, loro, che avevano aùto indizio che io me ne venivo sanza il traino del Cardinale, erano messisi innordine per farmi male. In questo appunto sopraggiunse il detto traino del Cardinale, e con esso lietamente salvo me ne andai insino a Viterbo; ché da quivi in là io non vi conoscevo poi pericolo, e maggiormente andavo innanzi sempre parecchi miglia; e quegli uomini migliori che erano in quel traino, tenevano molto conto di me. Arrivai lo Iddio grazia sano e salvo a Viterbo, e quivi mi fu fatto grandissime carezze da quelle mie sorelle e da tutto il monisterio.