La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo II

Libro secondo
Capitolo II

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Ancora m’aggiunse il Cardinale, insieme con quei dua sopra ditti, che io gli dovessi fare un modello d’una saliera; ma che arebbe voluto uscir dell’ordinario di quei che avean fatte saliere. Messer Luigi, sopra questo, approposito di questo sale, disse molte mirabil cose; messer Gabbriello Cesano ancora lui in questo proposito disse cose bellissime. Il Cardinale, molto benigno ascoltatore e saddisfatto oltramodo delli disegni, che con parole aveano fatto questi dua gran virtuosi, voltosi a me disse: - Benvenuto mio, il disegno di messer Luigi e quello di messer Gabbriello mi piacciono tanto, che io non saprei qual mi tòrre l’un de’ dua; però a te rimetto, che l’hai a mettere in opera -. Allora io dissi: - Vedete, Signori, di quanta importanza sono i figliuoli de’ re e degli imperatori, e quel maraviglioso splendore e divinità che in loro apparisce. Niente di manco se voi dimandate un povero umile pastorello, a chi gli ha piú amore e piú affezione, o a quei detti figliuoli o ai sua, per cosa certa dirà d’avere piú amore ai sua figliuoli. Però ancora io ho grande amore ai miei figliuoli, che di questa mia professione partorisco: sí che ’l primo che io vi mostrerrò, Monsignor reverendissimo mio patrone, sarà mia opera e mia invenzione; perché molte cose son belle da dire, che faccendole poi non s’accompagnano bene in opera -. E voltomi a que’ dua gran virtuosi, dissi: - Voi avete detto e io farò -. Messer Luigi Alamanni allora ridendo, con grandissima piacevolezza, in mio favore aggiunse molte virtuose parole: e allui s’avvenivano, perché gli era bello d’aspetto e di proporzion di corpo, e con suave voce. Messer Gabbriello Cesano era tutto il rovescio, tanto brutto e tanto dispiacevole; e cosí sicondo la sua forma parlò. Aveva messer Luigi con le parole disegnato che io facessi una Venere con un Cupido, insieme con molte galanterie, tutte a proposito; messer Gabbriello aveva disegnato che io facessi una Amfitrite moglie di Nettunno, insieme con di quei Tritoni di Nettunno e molte altre cose assai belle da dire, ma non da fare. Io feci una forma ovata di grandezza di piú d’un mezzo braccio assai bene, quasi dua terzi, e sopra detta forma, sicondo che mostra il Mare abbracciarsi con la Terra, feci dua figure grande piú d’un palmo assai bene, le quale stavano a sedere entrando colle gambe l’una nell’altra, sí come si vede certi rami di mare lunghi che entran nella terra; e in mano al mastio Mare messi una nave ricchissimamente lavorata: innessa nave accomodatamente e bene stava di molto sale; sotto al detto avevo accomodato quei quattro cavalli marittimi: innella destra del ditto Mare avevo messo il suo tridente. La Terra avevo fatta una femmina tanto di bella forma quanto io avevo potuto e saputo, bella e graziata; e in mano alla ditta avevo posto un tempio ricco e adorno, posato in terra; e lei in sun esso appoggiava con la ditta mano; questo avevo fatto per tenere il pepe. Nell’altra mano posto un corno di dovizia, addorno con tutte le bellezze che io sapevo al mondo. Sotto questa Iddea, e in quella parte che si mostrava esser terra, avevo accomodato tutti quei piú bei animali che produce la terra. Sotto la parte del Mare avevo figurato tutta la bella sorte di pesci e chiocciolette, che comportar poteva quel poco ispazio: quel resto de l’ovato, nella grossezza sua, feci molti ricchissimi ornamenti. Poi aspettato il Cardinale, qual venne con quelli dua virtuosi, trassi fuora questa mia opera di cera: alla quale con molto romore fu il primo messer Gabbriel Cesano, e disse: - Questa è un’opera da non si finire innella vita di dieci uomini; e voi, Monsignore reverendissimo, che la vorresti, a vita vostra non l’aresti mai; però Benvenuto v’ha voluto mostrare de’ sua figliuoli, ma non dare, come facevàno noi, i quali dicevamo di quelle cose che si potevano fare; e lui v’ha mostro di quelle che non si posson fare -. A questo, messer Luigi Alamanni prese la parte mia. [Il Cardinale disse] che non voleva entrare in sí grande inpresa. Allora io mi volsi a loro, e dissi: - Monsignore reverendissimo, e a voi pien di virtú, dico, che questa opera io spero di farla a chi l’arà avere, e ciascun di voi la vedrete finita piú ricca l’un cento che ’l modello; e spero che ci avanzi ancora assai tempo da farne di quelle molto maggiori di questa -. Il Cardinale disse isdegnato: - Non la faccendo al Re, dove io ti meno, non credo che ad altri la possa fare - e mostratomi le lettere, dove il Re in un capitolo iscriveva che presto tornassi menando seco Benvenuto, io alzai le mane al cielo dicendo: - Oh quando verrà questo presto? - Il Cardinale disse che io dessi ordine e spedissi le faccende mie, che io avevo in Roma, in fra dieci giorni.