La vita di Benvenuto di Maestro Giovanni Cellini fiorentino, scritta, per lui medesimo, in Firenze/Libro secondo/Capitolo CI

Libro secondo
Capitolo CI

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Il detto Bandinello aveva inteso come io avevo fatto quel Crocifisso che io ho detto di sopra: egli subito messe mano innun pezzo di marmo, e fece quella Pietà che si vede nella chiesa della Nunziata. E perché io avevo dedicato il mio Crocifisso a Santa Maria Novella, e di già vi avevo appiccati gli arpioni per mettervelo, solo domandai di fare sotto i piedi del mio Crocifisso, in terra, un poco di cassoncino, per entrarvi dipoi che io sia morto. I detti frati mi dissono che non mi podevano concedere tal cosa, sanza il dimandarne i loro Operai; ai quali io dissi: - O frati, perché non domandasti voi in prima gli Operai nel dar luogo al mio bel Crocifisso, che senza lor licenzia voi mi avete lasciato mettere gli arpioni e l’altre cose? - E per questa cagione io non volsi dar piú alla chiesa di Santa Maria Novella le mie tante estreme fatiche, se bene dappoi e’ mi venne a trovare quegli Operai e me ne pregorno. Subito mi volsi alla chiesa della Nunziata, e ragionando di darlo in quel modo che io volevo a Santa Maria Novella, quegli virtuosi frati di detta Nunziata tutti d’accordo mi dissono che io lo mettessi nella lor chiesa, e che io vi facessi la mia sepoltura in tutti quei modi che a me pareva e piaceva. Avendo presentito questo il Bandinello, e’ si misse con gran sollecitudine a finire la sua Pietà, e chiese alla Duchessa che gli facessi avere quella cappella che era de’ Pazzi; la quale s’ebbe con difficultà: e subito che egli l’ebbe, con molta prestezza ei messe sú la su opera, la quale non era finita del tutto, che egli si morí. La Duchessa disse che ella lo aveva aiutato in vita e che lo aiuterebbe ancora in morte; e che se bene gli era morto, che io non facessi mai disegno d’avere quel marmo. Dove Bernardone sensale mi disse un giorno, incontrandoci in villa, chi la Duchessa aveva dato il marmo; al quale io dissi: - Oh sventurato marmo! certo che alle mali del Bandinello egli era capitato male, ma alle mani dell’Ammanato gli è capitato cento volte peggio! - Io avevo aùto ordine dal Duca di fare il modello di terra, della grandezza che gli usciva del marmo, e mi aveva fatto provvedere di legni e terra, e mi fece fare un poco di parata nella loggia, dove è il mio Perseo, e mi pagò un manovale. Io messi mano con tutta la sollicitudine che io potevo, e feci l’ossatura di legno con la mia buona regola, e felicemente lo tiravo al suo fine, non mi curando di farlo di marmo, perché io conoscevo che la Duchessa si era disposta che io noll’avessi, e per questo io non me ne curavo: solo mi piaceva di durare quella fatica, colla quale io mi promettevo che, finito che io lo avessi, la Duchessa, che era pure persona d’ingegno, avvenga che la l’avessi dipoi veduto, io mi promettevo che e’ le sarebbe incresciuto d’aver fatto al marmo e a sé stessa un tanto smisurato torto. E’ ne faceva uno Giovanni Fiammingo ne’ chiostri di Santa Croce, e uno ne faceva Vincenzio Danti, perugino, in casa messer Ottaviano de’ Medici; un altro ne cominciò il figliuolo del Moschino a Pisa, e un altro lo faceva Bartolomeo Ammannato nella Loggia, ché ce l’avevano divisa. Quando io l’ebbi tutto ben bozzato, e volevo cominciare a finire la testa, che di già io gli avevo dato un poco di prima mana, il Duca era sceso del Palazzo, e Giorgetto pittore lo aveva menato nella stanza dell’Ammannato, per fargli vedere il Nettunno, in sul quale il detto Giorgino aveva lavorato di sua mano di molte giornate insieme co ’l detto Ammannato e con tutti i sua lavoranti. In mentre che ’l Duca lo vedeva, e’ mi fu detto che e’ se ne sattisfaceva molto poco; e se bene il detto Giorgino lo voleva empiere di quelle sue cicalate, il Duca scoteva ’l capo, e voltosi al suo messer Gianstefano, disse: - Va e dimanda Benvenuto se il suo gigante è di sorte innanzi, che ei si contentassi di darmene un poco di vista -. Il detto messer Gianstefano molto accortamente e benignissimamente mi fece la imbasciata da parte del Duca; e di piú mi disse che se l’opera mia non mi pareva che la fussi ancora da mostrarsi, che io liberamente lo dicessi: perché il Duca conosceva benissimo, che io avevo aùto pochi aiuti a una cosí grande impresa. Io dissi che e’ venissi di grazia, e se bene la mia opera era poco innanzi, lo ingegno di Sua Eccellenzia illustrissima si era tale che benissimo lo giudicherebbe quel che ei potessi riuscire finito. Cosí il detto gentile uomo fece la imbasciata al Duca, il quale venne volentieri: e subito che Sua Eccellenzia entrò nella stanza, gittato gli occhi alla mia opera, ei mostrò d’averne molta sattisfazione: di poi gli girò tutto all’intorno, fermandosi alle quattro vedute, che non altrimenti si arebbe fatto uno che fussi stato peritissimo dell’arte; di poi fece molti gran segni e atti di dimostrazione di piacergli, e disse solamente: - Benvenuto, tu gli hai a dare solamente una ultima pelle -; poi si volse a quei che erano con Sua Eccellenzia, e disse molto bene della mia opera, dicendo: - Il modello piccolo, che io vidi in casa sua, mi piacque assai; ma questa sua opera si ha trapassato la bontà del modello.