Capitolo IX

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VIII X
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IX.

Per qualche mese Pietro Benu visse come in un sogno, al quale però finì d’abituarsi. I primi giorni, specialmente, egli visse stordito, febbricitante, sospeso fra cielo e terra. Si svegliava e si addormentava sempre con la stessa gioia in cuore: non era stato mai così felice, e neppure aveva mai sognato tanta fortuna.

Maria si mostrava tenera e ardente, nei brevi convegni che seguirono dopo il primo colloquio d’amore: ella gli si abbandonava quasi completamente, con passione spontanea e fiduciosa.

Oh, ella non dubitava di lui, ed anch’egli non era geloso, non diffidava, ma si sentiva sempre un po’ timido, sempre un po’ servo davanti a lei.

Del resto passavano intere settimane senza che essi potessero rivedersi; e rivedendosi davanti a persone estranee, assumevano un contegno gelido, quasi ostile. Maria anzi coglieva ogni occasione per lamentarsi di lui, e sgridarlo per cose da nulla; egli la rimbeccava, e spesso si bisticciavano così bene che zio Nicola interveniva e quasi sempre prendeva le parti del servo. [p. 119 modifica]

Tutto questo, però, oscurava alquanto la gioia di Pietro. Gli pareva che Maria, così tenera e affascinante nelle ore d’amore, volesse poi ricordargli in qualche modo la sua condizione e la distanza che li separava.

Ah, egli lo sapeva bene d’essere un servo, ma sperava sempre! L’amore può far miracoli.

— Mia zia ha finalmente fatto testamento in mio favore, — egli disse una notte a Maria, nella cucina ov’ella era scesa cauta e vibrante. — Vedrai, mia zia è tanto vecchia. Ah, se tu vorrai aspettarmi! Io venderò subito la casetta, la terra, tutto, e farò il negoziante. Vedrai... vedrai...

Maria si lasciava baciare, ma non incoraggiava le speranze di Pietro. Fra loro non si parlava mai apertamente di matrimonio, ma ad ogni modo Maria prometteva fedeltà al suo giovane innamorato. Qualche volta un’ombra turbava le loro ore di dolcezza; Pietro si rattristava. Maria s’irrigidiva.

— Che hai, cuore mio?

— Nulla. Pietro. Ma sono di malumore, stanotte. Non badarci.

— Anch’io.

Non osavano dire ciò che pensavano, ma si scambiavano baci che avevano un gusto di voluttà dolorosa. Poi dimenticavano la loro tristezza per godere istintivamente l’ora presente, l’attimo che fuggiva per non ritornare più.

Si vedevano quasi sempre di notte, e durante il convegno chi più tremava d’una sorpresa era [p. 120 modifica]Pietro. Ogni tanto egli s’affacciava alla porta e spiava, e in quei brevi istanti Maria pareva ritrovasse il senso della realtà perchè cambiava fisionomia, s’oscurava, qualche volta piangeva.

— No, io non sarò mai sua, — pensava. Che faccio io qui? perchè lo inganno?

Ma egli ritornava verso di lei e la riavvolgeva nel fascino del suo sguardo e delle sue parole.

Ella era abbastanza intelligente per comprendere che Pietro non era un seduttore; vedeva benissimo ch’egli stesso era stato travolto dalla passione e l’aveva trascinata con sè, in un vortice pericoloso, spintovi da una forza fatale: tuttavia qualche volta ella si ribellava a questa potenza misteriosa e incolpava il giovine servo d’essersi fatto amare.

— Che vuole da me? — si domandava. — Io non posso sposare un servo... Egli stesso lo sa, tantochè non osa parlarmene. Egli non è onesto, no; non si tenta così una ragazza di buona famiglia. Egli mi avrebbe corteggiato anche se avessi avuto marito...

Egli invece la rispettava perchè di giorno in giorno cresceva in lui la speranza di farla sua moglie; e voleva sposarla pura, o almeno baciata solo da lui. Non osava parlarle di matrimonio anche perchè temeva ch’ella credesse il suo amore interessato.

E di giorno in giorno, mentre in lui la passione diventava calma e profonda, e la sua anima si rasserenava davanti alla luce di un avvenire [p. 121 modifica]felice, il capriccio di Maria s’intorbidiva, si mutava in passione fosca.

La curiosità di sapere che cos’era l’amore l’aveva spinta verso l’uomo giovine e bello; e l’amore le si era rivelato, avvincendola ma non penetrandole fino al cuore.

Era lei che non sapeva, o non voleva sapere lo scopo della sua passione. In fondo al suo cuore regnava una nebbia torbida: i sentimenti perfidi dei quali accusava Pietro vibravano invece in lei.

Un giorno ella scese nella valle, dove Pietro finiva di coltivare la vigna. Si rividero sotto i peri, dove per la prima volta egli aveva notata la bellezza di lei.

Il cielo era azzurro, la valle tutta verde e morbida come una immensa culla di velluto: tutto invitava all’amore, e per un momento Pietro si credette perduto. Maria lo aveva attirato dietro la roccia ov’egli aveva sognato di baciar Sabina; l’edera odorava, due passeri s’amavano su una fronda. Gli occhi di Maria diventavano incoscienti; Pietro tremava, soffriva, ma ricordava la sua promessa:

— Non ti farò del male...

No, non voleva ch’ella si pentisse di averlo amato: ma ebbe il torto di farglielo capire.

Maria ripartì, e quando fu sola nello stradale rabbrividì pensando al pericolo scampato.

— Egli crede sempre di potermi un giorno sposare; vuol essere ben voluto dai miei parenti: ed io... io non oso dirgli che è pazzo. Oh, Dio, mio [p. 122 modifica]Dio mio, son io la pazza; oh, la mia povera testa; che faccio io? Perchè sono venuta oggi qui? Non sarebbe tempo di finirla? Sì, bisogna finirla. Stanotte glielo dico: «Pietro, smetti ogni speranza, non tormentarmi più.» Fra giorni egli va lontano, va a trasportare carbone e cenere da una foresta alla riva del mare; dopo cominceranno le messi, e così non ci vedremo che una o due volte ogni tre mesi ed egli potrà dimenticare. Sì; è tempo di finirla.

Per tutta la sera ella stette inquieta e triste; si buttò sul letto, in attesa che i genitori si addormentassero, e pianse di rabbia e d’amore. Si morsicava le labbra e sentiva ancora il fuoco delle labbra di Pietro; si ficcava le unghie nelle palme delle mani fino a sentire una pulsazione dolorosa, ma ricordava le carezze di Pietro.

— No, vattene, Maria mia: non facciamo del male: vattene per carità...

Ella se n’era andata, e avrebbe voluto non rivederlo mai più; ma ancora una volta bisognava rivederlo.

— Non facciamo del male...

E non facevano già del male? Era forse bene che si amassero, così, senza speranza? Finalmente ella si accorgeva d’essere in peccato; peccato di desiderio, di menzogna, di disubbidienza verso i genitori, d’inganno verso il suo inferiore. Ma Dio era grande e misericordioso: con una buona confessione l’anima si lava come un panno alla fontana. Però bisognava prima troncare la relazione [p. 123 modifica]disonesta e indegna di lei; ora, subito. Si alzò e uscì nella loggia sopra la scaletta. Pietro attendeva in cucina, ansioso, fiducioso, buono e carezzevole... Povero Pietro! Per un momento Maria esitò, s’appoggiò alla ringhiera, sotto il raggio pietoso della luna.

Poi rientrò nella sua cameretta e pianse ancora. Perchè egli era un servo? E perchè aveva osato innalzare gli occhi fino a lei? Se ora soffrivano entrambi la colpa era tutta di Pietro. Pazzo, spensierato, sciocco! Ebbene, che ricada sopra di lui. È tempo di finirla.

Riassalita da un impeto di collera, Maria ritornò fuori, scese, entrò nella cucina. Pietro aspettava, ancora tutto commosso per la visita di lei e dei baci che si erano scambiati dietro la roccia; appena la vide la prese fra le sue braccia e la baciò. Ed ella dimenticò i suoi perfidi proponimenti: ma da quella sera più che mai, la lotta tra i suoi sensi e la sua ragione si fece aspra e felina.

Giunse un momento in cui ella non si domandò più che cosa voleva: non osò più esplorare i bassi fondi del suo cuore e si abbandonò agli eventi, sperando che un giorno o l’altro l’avvenire si schiarisse. Di Pietro non aveva più timore: egli era un fanciullo, non un uomo; era anzi un servo, umile e obbediente anche in amore.

Ma da qualche tempo Maria dimagriva, sciupavasi, non era più una massaia interessata e meticolosa; distrazioni inesplicabili intorpidivano le sue mani, oscuravano i suoi occhi. [p. 124 modifica]

Zio Nicola le rimproverava sovente il disordine in cui ella teneva ora i registri e le carte: zia Luisa ricordava la sua giovinezza e pensava:

— Maria ha bisogno di marito: è tempo che qualcuno si decida.

E poichè gli avvocati e i ricchi borghesi non si decidevano a domandar la mano di Maria, zia Luisa parlava male di loro e cominciava a lodare i ricchi paesani.

— Gli avvocati! Pezzenti, imbroglioni: uomini di mala fede, che vendono l’anima loro per un pugno di soldi: chi di loro è degno di legar le scarpe di Francesco Rosana? Soldi ci vogliono, in una casa per bene, non chiacchiere e scarpe lucide sopra e rotte sotto. Francesco Rosana, e qualche altro, quelli sì sono uomini: uomini forniti di tutto: di sapienza e di beni: gli avvocatucci e i piccoli borghesi muoiono di fame.

Le chiacchiere di zia Luisa arrivavano fino al Rosana, il quale non cessava di guardare Maria quando l'incontrava in chiesa o per la strada.

Quell’anno Maria non fece neppure il precetto pasquale: non aveva la forza di confessarsi, e temeva che il sacerdote non l’assolvesse dal peccato di amare e baciare un uomo che ella non intendeva sposare.

— Io sono doppiamente peccatrice, — ella pensava, — poichè inganno i miei genitori e inganno Pietro.

Intanto arrivò il tempo della mietitura. Pietro stette lunghe settimane lontano, ma ottenne da [p. 125 modifica]Maria la promessa che ella sarebbe andata a trovarlo lassù, nell’altipiano, ove il suo cuore s’era aperto all’amore come la terra alla semente. Maria mantenne la promessa, e Pietro potè vedere la bella persona di lei ergersi fra l’oro delle spighe come un papavero fiammante.

La valle esultava di messi, all’ombra dei monti selvaggi; il cielo ardeva; i mietitori curvi, stanchi, ma compresi da una gioia quasi religiosa, tagliavano le spighe e tacevano. Solo qualche fanciulla cantava e rideva, e il gorgheggio del suo riso fondevasi col canto delle quaglie, col trillo delle cicale.

Maria stette qualche giorno lassù, nella sua terra, nella quale pareva un fiore vivente, e il sole abbronzò e indorò anche il suo viso.

Fra le mietitrici c’era anche Sabina, che in quel tempo perde l’ultima speranza dell’amore di Pietro.

Nel silenzio del meriggio, quando le falci abbandonate sui covoni brillavano come argento, e tutto il paesaggio, giallo di messi e di sole, pareva assopito in una sonnolenza febbrile, e le montagne lontane si fondevano con le vaporosità bluastre dell’orizzonte, i mietitori dormivano all’ombra delle macchie, dispersi qua e là, stanchi, frustati dalla fatica e dal caldo.

Un giorno Sabina, che s’era anch’essa addormentata con le sue compagne, all’ombra di una macchia, si svegliò di soprassalto, e si guardò attorno. Maria non c’era.

Un pensiero, prima vago e informe, passò in mente alla mietitrice innamorata. Silenziosa [p. 126 modifica]strisciò fra le stoppie, salì le chine, cauta come una lucertola, nascondendosi ogni tanto fra le macchie, e vide, non vista, che Pietro e Maria, dietro il muro della capanna, si baciavano perdutamente, obliosi d’ogni prudenza. Pareva che i due giovani si fossero rifugiati là solo per l’ombra. E soli nel cerchio del paesaggio fiammeggiante, essi coglievano i baci, l’uno sulle labbra dell’altra, al cospetto del cielo e della terra, come i mietitori coglievano le spighe mature.