La signora dalle camelie (teatro)/Atto II/Scena decima

Scena decima

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Atto II - Scena nona Atto III
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SCENA DECIMA


Armando e detta, poi Nanetta.


Armando. (gettandosi ai piedi di Margherita) Margherita!...

Margherita. (con calma affettata e senza guardarlo) Chi volete voi?

Armando. Voglio che mi perdonate.

Margherita. Non lo meritate. (movimento d’Armando; essa si alza) Ammetto che siate geloso e che abbiate avuto il diritto di scrivermi come un uomo ferito nell’amor proprio, ma non già una lettera ironica ed impertinente. Non lo crederete, signor Duval, ma io ho sofferto.. e molto sofferto!

Armando. Ed io, Margherita, io che avrei dato metà del mio sangue per non avervela scritta! [p. 43 modifica]

Margherita. Ma dopo soltanto; non è così?

Armando. Che volete, Margherita? quando vidi scendere il conte di carrozza, quando compresi che era per lui che m’avevate congedato, divenni pazzo e vi scrissi. Quello che abbia scritto l’ignoro io stesso; ma quando in luogo di ricevere una risposta, in luogo di udire le vostre discolpe, non pronunziaste che una sola parola: Va bene!... fu ben peggio ancora... Chiesi a me stesso che cosa ne sarebbe avvenuto di me, se non avessi più dovuto rivedervi; ho sentito un vuoto nel cuore ed ho creduto morire. Oh! non dimenticatevi, Margherita, che sebbene io non vi conosca che da quindici giorni, vi amo da due anni: obliate questo mio fallo, perdonatemi.

Margherita. Alzatevi, Armando... io non ho potuto condannarvi e vi aveva di già perdonato; ma nel tempo che ritornava al nostro passato di quindici giorni, approvava nel fondo del cuore la vostra saggia risoluzione.

Armando. E quale?

Margherita. Quella di partire.

Armando. Partire!

Margherita. Sì, o Armando, è necessario.

Armando. E voi lo dite?

Margherita. È necessario non solo per voi, ma eziandio per me. Un giorno avevo detto a me stessa. Un po’ di calma non potrà che farmi bene; egli prende interesse per la mia salute, e se avessi i mezzi per passare un mese, due mesi con lui in campagna, lontana da Parigi, nel fondo d’un bosco, allora mi chiamerei contenta, felice; al termine di quel tempo noi saremmo tornati a Parigi, ci saremmo stretta la mano, ed [p. 44 modifica]il nostro amore si sarebbe cangiato in una vera, leale amicizia. Voi non l’avete voluto, siete troppo orgoglioso per avvilirvi ad accettare quanto il mio cuore vi offriva; avete nobilmente rifiutato. Ebbene, sia pure così: nel poco tempo che voi venite da me siete qualche volta restato a pranzo, a cena... Or bene, signor Armando Daval, sapete in qual modo si ricompensano le donne mie pari: gettate la vostra borsa sul mio tavolino, e voi m’avrete soddisfatta.

Armando. Oh! cessate, Margherita! ma non vedete dunque quanto mi straziano l’anima queste acerbe parole! Ma se anche le avessi meritate, è troppo crudele la vostra vendetta, ripetendole in questo momento. Io vi amo: ciò non vuol dire che mi sareste piaciuta per un mese, per un anno, per dieci. Voi siete la mia speranza, il mio pensiero, la mia vita! Io vi amo... ma che posso dirvi di più?

Margherita. Ragione di più, o Armando, per dividerci, e questa sera istessa.

Armando. Ma perchè, Margherita?

Margherita. Volete voi saperlo il perchè, o Armando? ve lo dirò. Qualunque sia l’idea che mi sono formata di quest’amore, nullameno vi sono dei momenti in cui vorrei veder compiuto questo sogno che ho appena incominciato: sonvi dei giorni in cui, stanca di questa vita, vorrei pure lasciarla per vivere quieta e tranquilla, perchè in mezzo alla nostra brillante posizione, in mezzo a questo alternarsi di piaceri che c’inebbriano, la nostra testa e l’ambizione vivono, ma il cuore si gonfia, non potendosi espandere, e ci soffoga. Noi sembriamo felici e c’invidiano: infatti abbiamo degli amanti che si rovinano non già per noi, come [p. 45 modifica]vanno dicendo, ma per il loro amor proprio. Noi occupiamo il primo posto nella loro vanità; l’ultimo nella loro stima. Noi abbiamo degli amici, come il signor de Rieux, Varville, e delle amiche, come la signora Davernoy. La loro amicizia è spinta sin all’adorazione, non mai sino al disinteresse. Poco a loro importa il conoscere se la nostra riputazione è buona o cattiva, purchè possano venire nei nostri palchetti, o sederci al fianco nelle nostre carrozze. Per cui d’intorno a noi tutto è voluttà, onta e menzogna... Io sognava dunque, senza palesarlo ad alcuno, di trovare un uomo che fosse abbastanza innamorato di me per non domandarmi conto delle mie più semplici azioni; quell’uomo l’aveva trovato nel duca, ma la vecchiaia nè protegge, nè consola, ed il mio cuore cercava un amore ben più possente di quello d’un padre. Allora ho ritrovato voi, giovane, ardente e felice. Le lagrime che v’ho visto a spargere per me, l’interesse che prendeste per la mia salute, le vostre visite misteriose durante la mia malattia, la vostra lealtà, il vostro entusiasmo, tutto mi parlava in vostro favore; allora come una povera pazza ho confidato il mio avvenire al vostro amore. Mi sono ricordata della mia infanzia, ho sognato una campagna, la felicità: era il cercar l’impossibile! Una vostra parola me l’ha provato; il giorno è sorto, ed il fantasma è scomparso. Avete voluto tutto sapere; ora non ho più nulla a dirvi.

Armando. E voi credete che dopo tali parole io possa lasciarvi? Ah! no, Margherita, il vostro sogno si compirà, ve lo giuro. Dite quello che debbo fare e vi obbedirò.

Margherita. Non m’ingannate, Armando?

[p. 46 modifica]Armando. No, Margherita.

Margherita. Rammentatevi bene chi io sono e quella che sono.

Armando. Voi siete un angelo, ed io vi amo.

Nanetta. Signora, un’altra lettera.

Margherita. Da parte di chi?

Nanetta. Del signor conte di Gray.

Margherita. Che chiede egli?

Nanetta. Una risposta.

Margherita. (stracciando la lettera e stringendo la mano ad Armando) Ditegli che ora non ho più bisogno di nulla.

Armando. Ah! (s’inginocchia e le bacia la mano; Margherita lo guarda sorridendo. Nanetta esce dal fondo e cala la tela).



fine dell’atto secondo