La sesta crociata, ovvero l'istoria della santa vita e delle grandi cavallerie di re Luigi IX di Francia/Parte prima/Capitolo II

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Capitolo II.

Di due questioni che ’l buon Santo Re m’indirizzò.


Il buon Re m’appellò una fiata aggiugnendo ch’e’ voleva parlarmi per lo sottil senno ch’elli diceva conoscermi; ed in presenza di molti mi disse: io ho chiamati questi Fratelli che qui sono, e vi fo una questione e dimanda di cosa che tocca Dio; e la domanda fu tale: Siniscalco, che è Dio? ed io gli risposi: Sire, egli è si buona e sovrana cosa che [p. 7 modifica]migliore non può essere. Veramente, disse egli, ciò è molto bene risposto, perchè questa vostra risposta è scritta in questo libretto che tengo in mia mano. Ora altra domanda vi fo io, cioè: lo quale vi amereste meglio, essere misello e lazzero 1, od aver commesso e commettere uno peccato mortale? Ed io, che anche non gli voleva mentire, gli risposi, che io amerei meglio aver fatto trenta peccati mortali che essere misello. E quando li Fratelli si furo dipartiti di là, egli mi richlamò tutto solo, e mi fece sedere a’ suoi piedi e mi disse: Come avete osato voi dire ciò che avete detto? Ed io gli risposi che ancora io lo diceva: perchè così elli mi parlò: Ah folle musardo, musardo, voi vi siete ingannato, perchè voi sapete che nulla sì laida miselleria non è, come d’essere in peccato mortale, e l’anima la quale vi è, è simigliante allo avversario dello ’nferno; per che nulla sì laida miselleria non può essere. E ben è ciò vero, proseguì egli, perchè quando l’uomo è morto egli è sano e guerito di sua lebbra corporale; ma quando l’uomo, che ha fatto peccato mortale, muore, elli non sa punto, nè è certano d’avere avuto a sua vita un tale ripentimento che Dio gli voglia abbandonare il perdono. Per che grande paura deve elli avere che quella lebbra di peccato gli duri lungamente, e tanto quanto Dio sarà in Paradiso2. Per tutto ciò [p. 8 modifica]vi prego, seguitò egli, che, innanzi per lo amore di Dio, e poi per lo amore di me, vi riteniate questo mal detto in vostro cuore, e che voi amiate molto meglio che lebbra ed altri mali ed iscapiti vi venissero al corpo, che commettere in vostra anima un sol peccato mortale, che è lebbra e ladronaia sì infame3.

Cosi in quella m’inchiese s’io lavava i piedi ai poveri il giorno del Giovedì santo: ed io gli risposi: bah! alla malora! già li piedi di que’ villani non laverò io mica. Veramente, diss’egli, ciò è detto oltre male, perchè voi non dovete mica avere in disdegno ciò che Dio fece per nostro insegnamento: chè elli, il quale era il Maestro e ’l Signore, lavò nel detto giorno li piedi agli Apostoli, e loro disse che in cosi com’egli, che era Maestro, loro avea fatto, che similmente essi facessono gli uni agli altri. A tanto dunque vi prego che per l’amore di lui e di me lo vogliate accostumar di fare quind’innanzi. E già egli amò tanto tutte genti che temevano ed amavano Dio perfettamente, che per la grande noméa ch’elli udì sonare di mio fratello Sir Egidio il Bruno, il quale pur non era di Francia, di temere e amar Dio altresì com’elli facea, sì gli donò la Connestabilia di essa Francia.

  1. I lebbrosi si dicevano miselli, o miserabili, per antonomasia, e misellarie i lazzaretti, o spedali spartati che li accoglievano.
  2. Il nostro Guitto d’Arezzo fece sua questa parità nelle Rime, II, 7.
  3. Ladre in antico francese risponde anche a mesel o mezeau, cioè a misello; e però nel nostro volgare cosa ladra, o ladronaia può valere cosa bruttissima e ributtante.