La scienza nuova seconda/Libro secondo/Sezione seconda/Capitolo primo
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[CAPITOLO PRIMO]
della logica poetica
400Or — perché quella ch’è metafisica in quanto contempla le cose per tutti i generi dell’essere, la stessa è logica in quanto considera le cose per tutti i generi di significarle — siccome la poesia è stata sopra da noi considerata per una metafisica poetica, per la quale i poeti teologi immaginarono i corpi essere per lo piú divine sostanze, cosí la stessa poesia or si considera come logica poetica, per la qual le significa.
401«Logica» vien detta dalla voce λόγος, che prima e propiamente significò «favola», che si trasportò in italiano «favella» — e la favola da’ greci si disse anco μῡθος, onde vien a’ latini «mutus», — la quale ne’ tempi mutoli nacque mentale, che in un luogo d’oro dice Strabone essere stata innanzi della vocale o sia dell’articolata: onde λόγος significa e «idea» e «parola». E convenevolmente fu cosí dalla divina provvedeva ordinato in tali tempi religiosi, per quella eterna propietá: ch’alle religioni piú importa meditarsi che favellarne; onde tal prima lingua ne’ primi tempi mutoli delle nazioni, come si è detto nelle Degnitá, dovette cominciare con cenni o atti o corpi ch’avessero naturali rapporti all’idee. Per lo che λόγος o «verbum» significò anche «fatto» agli ebrei, ed a’ greci significò anche «cosa», come osserva Tommaso Gatachero, De instrumenti stylo. E pur μῡθος ci giunse diffinita «vera narratio», o sia «parlar vero», che fu il «parlar naturale» che Piatone prima e dappoi Giamblico dissero essersi parlato una volta nel mondo. I quali, come vedemmo nelle Degnitá, perché ’l dissero indovinando, avvenne che Platone e spese vana fatiga d’andarlo truovando nel Cratilo, e ne fu attaccato da Aristotile e da Galeno. Perché cotal primo parlare, che fu de’ poeti teologi, non fu un parlare secondo la natura di esse cose (quale dovett’esser la lingua santa ritruovata da Adamo, a cui Iddio concedette la divina onomathesia ovvero imposizione de’ nomi alle cose secondo la natura di ciascheduna), ma fu un parlare fantastico per sostanze animate, la maggior parte immaginate divine.
402Cosí [i poeti teologi] Giove, Cibele o Berecintia, Nettunno, per cagione d’esempli, intesero e, dapprima mutoli additando, spiegarono esser esse sostanze del cielo, della terra, del mare, ch’essi immaginarono animate divinitá, e perciò con veritá di sensi gli credevano dèi. Con le quali tre divinitá, per ciò ch’abbiam sopra detto de’ caratteri poetici, spiegavano tutte le cose appartenenti al cielo, alla terra, al mare; e cosí con l’altre significavano le spezie dell’altre cose a ciascheduna divinitá appartenenti, come tutti i fiori a Flora, tutte le frutte a Pomona. Lo che noi pur tuttavia facciamo, al contrario, delle cose dello spirito; come delle facultá della mente umana, delle passioni, delle virtú, de’ vizi, delle scienze, dell’arti, delle quali formiamo idee per lo piú di donne, ed a quelle riduciamo tutte le cagioni, tutte le propietá e ’nfine tutti gli effetti ch’a ciascuna appartengono: perché, ove vogliamo trarre fuori dall’intendimento cose spirituali, dobbiamo essere soccorsi dalla fantasia per poterle spiegare e, come pittori, fingerne umane immagini. Ma essi poeti teologi, non potendo far uso dell’intendimento, con uno piú sublime lavoro tutto contrario, diedero sensi e passioni, come testé si è veduto, a’ corpi, e vastissimi corpi quanti sono cielo, terra, mare; che poi, impicciolendosi cosí vaste fantasie e invigorendo l’astrazioni, furono presi per piccioli loro segni. E la metonimia spose in comparsa di dottrina l’ignoranza di queste finor seppolte origini di cose umane: e Giove ne divenne sí picciolo e sí leggieri ch’è portato a volo da un’aquila; corre Nettunno sopra un dilicato cocchio per mare; e Cibele è assisa sopra un lione.
403Quindi le mitologie devon essere state i propi parlari delle favole (ché tanto suona tal voce); talché, essendo le favole, come sopra si è dimostrato, generi fantastici, le mitologie devon essere state le loro propie allegorie. Il qual nome, come si è nelle Degnitá osservato, ci venne diffinito «diversiloquium», in quanto, con identitá non di proporzione ma, per dirla alla scolastica, di predicabilitá, esse significano le diverse spezie o i diversi individui compresi sotto essi generi. Tanto che devon avere una significazione univoca, comprendente una ragion comune alle loro spezie o individui (come d’Achille, un’idea di valore comune a tutti i forti; come d’Ulisse, un’idea di prudenza comune a tutti i saggi); talché sí fatte allegorie debbon essere l’etimologie de’ parlari poetici, che ne dassero le loro origini tutte univoche, come quelle de’ parlari volgari lo sono piú spesso analoghe. E ce ne giunse pure la diffinizione d’essa voce «etimologia», che suona lo stesso che «veriloquium», siccome essa favola ci fu diffinita «vera narratio».