La scienza nuova seconda/Brani soppressi o mutati/Idea dell'opera
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IDEA DELL’OPERA
1113[18] ..... l’origine di celebrarsi le cittá, che fu di guardarsi da’ malori che porta l’uomo all’uomo, piú infesti di tutti quelli che abbia mai apportato alla generazione umana tutta la maligna natura, come vi fu filosofo che ne ragionò ben il calcolo; — l’origine delle giuridizioni.....; — l’origini della nobiltá vera, che naturalmente nasce dalle civili virtú, come da pietá, religione, prudenza ne’ consigli, temperanza ne’ piaceri, industria nelle fatighe, la quale co’ vizi a queste virtú contrari si perde; — l’origini dell’eroismo..... e quelli che usano il corpo vi ubbidiscano.
1114Il qual ordine se a taluni sembra che non sia eterno, perocché la mente allora è tale quando usa ragione, giustizia e veritá, e negli Stati spesso comandano la fraude, il capriccio, la forza; rispondiamo che ne faccino sperienza negli Stati mossi e turbati, ne’ quali que’ che comandano sono costretti dall’eterna necessitá di quest’ordine naturale di rivoltarsi alla mente e riporre il governo in mano de’ saggi e forti; i quali, se i principi non san vedere o non possono ritruovare, allora certamente essi anderanno a servire popoli e nazioni ch’avranno mente migliore. Ond’è falso quello: che ’l mondo fu sempre di coloro c’hanno piú forza di corpi e d’armi; ma vero è questo: che ’l mondo fu sempre di que’ popoli c’hanno piú forza di mente (che è la veritá) e quindi piú di civili virtú. Perché ’l mondo romano era giá ricolmo di viltá e sozzo di tutti i fraudolenti vizi quando fu lacerato e guasto da’ barbari, ch’eran incomparabilmente piú generosi, siccome coloro che avevano piú schiettezza e piú veritá.
1115[23] La tavola mostra i soli principi degli alfabeti, e giace rimpetto alla statova d’Omero, perché le lingue e i caratteri volgari, come tutte le cose nate o fatte, si formarono a poco a poco. Di che è quella greca tradizione che, delle lettere greche, furon le prime ritruovate da Palamede nel tempo della guerra troiana; altre da Simonide poeta, il qual si racconta essere stato l’autore dell’Arte della memoria; e finalmente altre da Aristarco, che fu il critico ripurgatore de’ poemi d’Omero; ed è necessario che non si fussero formate tutte a’ tempi d’Omero, perché si dimostra per tutta l’opera che Omero non lasciò scritti i suoi poemi, e che forse da Aristarco incominciaron a scriversi.
1116[27]..... In cotal guisa ne’ duelli, che, ’n fatti, erano guerre private che si facevano da’ potenti, onde dura tuttavia tra’ grandi baroni, benché vassalli, questo senso di duellare tra essoloro per cagione delle loro giuridizioni violate, per le quali intimano le disfide (dette da «fida», vocabolo feudale, perché nacquero dentro la stessa barbarie quasi ad un parto feudi e duelli), fanno la «chiamata» che dicono, e diffiniscono le contese con la fortuna degli abbattimenti; — in cotal guisa, diciamo, ne’ duelli, o sieno guerre private, si truova l’origine delle guerre pubbliche, che le faccino i potenti del mondo (che sono le civili potestá non ad altri soggette ch’a Dio), che le giustifichino co’ manifesti, che le intimino solennemente per gli araldi di guerra, perché Iddio le diffinisca con la fortuna delle vittorie. E ciò, per consiglio della provvidenza divina, acciocché da guerre non si seminassero guerre, e che ’l gener umano riposasse sulla certezza de’ domini pubblici; ch’è ’l principio della giustizia esterna che dicono delle guerre.
1117 [29]..... vanno a ripararsi sotto le monarchie, ch’è l’altra spezie de’ governi umani, nella quale uno, ch’è ’l monarca, è ’l distinto, e tutti gli altri vi sono con le leggi tra essolor uguagliati: siccome i popoli ridutti alla disperazione sotto esse monarchie, negli estremi bisogni della vita e della libertá naturale, si richiamano alla popolar libertá. Talché le due ultime forme di governo.....
1118 [35]..... La qual discoverta, ch’è la chiave maestra di questa Scienza, ci ha costo la ricerca ostinata di tutta la nostra vita letteraria e, fatta finalmente, ci ha dato i principi di questa Scienza. Lo che qui diciamo, per avvisarti, o leggitore, della grande difficoltá che quivi dovrai incontrare per intenderne i principi; la quale gli prende da tal maniera di pensare per caratteri poetici, la qual or è impossibile immaginare. Che se non sei menato a leggerne questi libri, se non da voglia di apprendere nuovi lumi di vero, almeno da una indifferente curiositá di veder cosa portino di nuovo, e se non sei assistito da una invitta metafisica, la quale non oscuri i lumi della pura ragione con le nebbie delle anticipazioni concepute in forza d’irragionevole fantasia o invigorite da ostinata memoria, lascia da principio di leggergli, perché quindi prendono il lor principio. Tali caratteri si truovano essere stati generi fantastici.
1119[38] ..... e nelle comoditá d’intrudere nelle favole la loro sapienza riposta. Onde nel secondo di questi libri, che fa quasi tutto il corpo di quest’opera, si fa una discoverta tutta opposta a quella del Verulamio nel suo Novus orbis scientiarum, dov’egli medita come le scienze, quali ora si hanno, si possano perfezionare. Questa scuopre l’antico mondo delle scienze, come dovettero nascere rozzamente e tratto tratto dirozzarsi, finché giugnessero nella forma nella quale ci sono pervenute.
1120[42*] Potrai facilmente, o leggitore, intendere la bellezza di questa divina dipintura dall’orrore che certamente dee farti la bruttezza di quest’altra ch’ora ti do a vedere tutta contraria.
1121Il trigono luminoso e veggente allumi il globo mondano; che è la provvedenza divina, la quale il governa.
1122La falsa e quindi rea metafisica abbia l’ale delle tempie inchiovate al globo dalla parte opposta coverta d’ombre, perché non possa (e non può), perché non voglia (né sa perché non vuole) alzarsi sopra il mondo della natura; onde, dentro quelle sue tenebre, insegni o ’l cieco caso d’Epicuro o ’l sordo fato degli stoici, ed empiamente oppini che esso mondo sia Dio, o operante per necessitá (quale, con gli stoici, il vuole Benedetto Spinosa), ovvero operante a caso (che va di séguito alla metafisica che Giovanni Locke fa d’Epicuro), e (con entrambi), avendo tolto all’uomo ogni elezione-e consiglio, avendo tolta a Dio ogni provvedenza, insegni che dappertutto debba regnar il capriccio, per incontrare o ’l caso o ’l fato che si desidera. Ella con la sinistra tenga la borsa, perché tali venenose dottrine non son insegnate che da uomini disperati, i quali o, vili, non ebbero mai parte allo Stato o, superbi, tenuti bassi o non promossi agli onori de’ quali per la lor boria si credon degni, sono malcontenti dello Stato; siccome Benedetto Spinosa, il quale, perché ebreo, non aveva niuna repubblica, truovò una metafisica da rovinare tutte le repubbliche del mondo. Con la destra tenga la bilancia, poiché ella è la scienza che dá il criterio del vero, ovvero l’arte di ben giudicare; per la quale, troppo fastidiosa e dilicata, non acquetandosi a niuna veritá, finalmente caduta nello scetticismo, estima d’uguali pesi il giusto e l’ingiusto: ella, come gl’immanissimi Galli senoni fecero co’ romani, caricando una lance con la spada, la faccia sbilanciare, preponderando all’altra dove sia il caduceo di Mercurio, ch’è simbolo delle leggi; e cosí insegni dover servire le leggi alla forza ingiusta deH’armi.
1123L’altare sia rovinato, spezzato il lituo, rovesciato l’urciuolo, spenta la fiaccola; e cosí ad un Dio sordo e cieco si nieghino tutti i divini onori e sien bandite dappertutto le cerimonie divine e, ’n conseguenza, sien tolti tralle nazioni i matrimoni solenni, che appo tutte con divine cerimonie si contraggono, e si celebrino il concubinato e ’l puttanesimo.
1124Il fascio romano sia sciolto, dissipato e disperso, e spenta ogni moral comandata dalle religioni con l’annientamento di esse, spenta ogni disciplina iconomica col dissolvimento de’ matrimoni, perisca affatto la dottrina politica, onde vadano a dissolversi tutti gl’imperi civili.
1125La statova d’Omero s’atterri, perché i poeti fondarono con la religione a tutti i gentili l’umanitá.
1126La tavola degli alfabeti giacciasi infranta nel suolo, perché la scienza delle lingue, con le quali parlano le religioni e le leggi, essa è quella che le conserva.
1127L’urna ceneraria dentro le selve porti iscritto «lemvrvm fabvla», e ’l dente dell’aratro abbia spuntata la punta, e, tolta l’universal credenza dell’immortalitá dell’anima, lasciandosi i cadaveri inseppolti sopra la terra, s’abbandoni la coltivazione de’ campi, non che si disabitino le cittá; e ’l timone (geroglifico degli uomini empi senza niun’umana lingua e costume) si rinselvi ne’ boschi, e ritorni la ferina comunione delle cose e delle donne, le quali si debbano gli uomini appropiare con la violenza e col sangue.
1128 II molto finora detto si è per facilitarti, o benigno leggitore, la lezion di quest’opera. Mi rimane or pochissimo a dire per priegarti a giudicarne benignamente.
1129Perocché dèi sapere che quell’utilissimo avviso che Dionigi Longino, riverito da tutti per lo principe de’ critici, dá agli oratori: che, per far orazioni sublimi, loro bisogna proponersi l’eternitá della fama, e, per ciò conseguire, ne dá loro due pratiche, noi, da’ lavori dell’eloquenza a tutti di qualsivoglia scienza innalzaldo, nel meditar quest’opera abbiamo sempre avuto inanzi gli occhi. La prima pratica è stata: Come riceverebbono queste cose ch’io medito un Platone, un Varrone, un Quinto Muzio Scevola? La seconda pratica è stata quella: Come riceverá queste cose, ch’io scrivo, la posteritá? Ancora per la stima ch’io debbo fare di te, m’ho prefisso per giudici tali uomini, i quali, per tanto cangiar di etá, di nazioni, di lingue, di costumi e mode e gusti di sapere, non sono punto scemati dal credito, il primo di divino filosofo, il secondo del piú dotto filologo de’ romani, il terzo di sappientissimo giureconsulto, che come oracolo venerarono i Crassi, i Marcantoni, i Sulpizi, i Cesari, i Ciceroni.
1130Oltracciò, dèi far questo conto: che tal opera siesi disotterrata poc’anzi in una cittá rovinata da ben mille anni, e porti cancellato affatto il nome dell’autore; e vedi che non forse questo mio tempo, questa mia vita, questo tal mio nome t’inducano a farne un giudizio men che benigno. E quel motto: «Quem ullum tanta superbia esse ut aeternitatem famae spe praesumat?», rincontra, di grazia, negli Annali di Tacito da quali rei uomini si dica; e rifletti che lo stesso imperador Claudio, a cui si dice, quantunque stolido principe e vil servo di laidi ed avari liberti, pure il disappruova di sconcezza, nel tempo stesso che ne fa uso.
1131Conchiudiamo finalmente con questi pochi seguenti avvisi per alcun giovine che voglia profittare di questa Scienza.
1132I. — Primieramente ella fa il suo lavoro tutto metafisico ed astratto nella sua idea. Onde ti è bisogno, nel leggerla, di spogliarti d’ogni corpolenza e di tutto ciò che da quella alla nostra pura mente proviene, e quindi per un poco addormentare la fantasia e sopir la memoria. Perché, se queste facilitá vi son deste, la mente non può ridursi in istato d’un puro intendimento informe d’ogni forma particolare; per lo che non potravvi affatto indurvisi la forma di questa Scienza, e per tua colpa darai in quell’uscita: — che non s’intenda.
1133II. — Ella ragiona con uno stretto metodo geometrico, con cui da vero passa ad immediato vero, e cosí vi fa le sue conchiusioni. Laonde ti è bisogno di aver fatto l’abito del ragionar geometricamente; e perciò non aprire a sorte questi libri per leggerli, né per salti, ma continovane la lezione da capo a’ piedi. E dèi attendere se le premesse sieno vere e ben ordinate, e non maravigliarti se quasi tutte le conchiusioni n’escano maravigliose (lo che sovente avviene in essa geometria, come quella, per esemplo, delle due linee parallele che tra loro in infinito sempre s’accostano e non mai si toccano); perché la conseguenza è turbata dalla fantasia, ma le premesse s’attennero alla pura ragion astratta.
1134III. — Suppone la medesima una grande e varia cosí dottrina com’erudizione, dalle quali si prendono le veritá come giá da te conosciute, e se ne serve come di termini per far le sue proposizioni. Il perché, se non sei di tutte pienamente fornito, vedi che tu non abbia il principio nell’ultima disposizion di riceverla.
1135IV. — Oltre a cotal suppellettile, ti fa d’uopo d’una mente comprensiva, perché non è cosa che da questa Scienza ragionasi, nella quale non convengano altre innumerabili d’altre spezie che tratta, con le quali fa acconcezza, e partitamente con ciascheduna, e con tutte insieme nel tutto; nello che unicamente consiste tutta la bellezza d’una perfetta scienza. Perciò, se ti manca o questo o l’antecedente aiuto, e molto piú entrambi, per leggerla, ti avverrá ciò ch’avviene a’ sordastri, i quali odono una o due corde piú sonore del gravicembalo con dispiacenza, perché non odono le altre con le quali, toccate dalla mano maestra di musica, fanno dolce e grata armonia.
1136V. — Ella contiene tutte discoverte in gran parti diverse, e molte dello ’n tutto contrarie, all’oppenione che, delle cose le quali qui si ragionano, si è avuto finora. Talché ti bisogna d’una forte acutezza di mente, da non abbacinarsi al gran numero de’ nuovi lumi ch’ella dappertutto diffonde.
1137VI. — Di piú ella spiega idee tutte nuove nella loro spezie. Perciò ti priego a volertici avvezzare, con leggere almeno tre volte quest’opera.
1138VII. — Finalmente, per farti sentire il nerbo delle pruove, le quali col dilatarsi si infievoliscono, qui poco si dice e si lascia molto a pensare. E perciò ti bisogna meditare piú addentro le cose e, col combinarle vieppiú, vederle in piú ampia distesa, affinché tu possa averne acquistato la facultá.