La scienza nuova - Volume III/Libro III/Nota preliminare

Libro III Libro III - Sezione I
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NOTA PRELIMINARE DELL’EDITORE


Le conclusioni definitive, cui giunse il V. circa la cosi detta questione omerica, oggetto di questo terzo libro, possono agevolmente dirsi svolgimento di tre tesi: la prima (la più originale e importante) d’indole estetica, la seconda (anch’essa assai originale e importante) d’indole storica, la terza (la meno importante e anche relativamente la meno originale) d’indole filologica.

La prima consiste nel negare a Omero ogni traccia di sapienza riposta o filosofica, e nel farlo invece ricolmo di sapienza poetica o volgare; nel negargli, cioè, secondo l’ideale vichiano del vero poeta, l’intelletto coltivato, ma nell’attribuirgli per converso robustissima fantasia. Da ciò un’interpetrazione (estetica) e una valutazione dei poemi omerici, che è in perfetta antinomia con tutti i diversi indirizzi critici di quel tempo e anche di tempi posteriori; da ciò una rivendicazione di Omero sia dai detrattori, che della mancanza d’intellettualismo gli facevano biasimo, sia dagli apologisti, che, con lodi peggiori degli stessi biasimi, codesto intellettualismo volevano trovare in lui a tutti i costi. Omero è «il poeta spontaneo e possente...; i suoi eroi sono veri eroi...; la sua voluta rozzezza è energia fantastica; i suoi caratteri, misti di grandi vizi e virtù, eterni esemplari di poesia; le sue comparazioni incomparabili; le sue metafore tutto evidenza e splendore». Insomma l’ignorante Omero e non il dotto Virgilio è «il padre e insieme il principe di tutti i sublimi poeti: anteriore a tutte le regole, e non raggiungibile nei secoli in forza di quante regole e arti poetiche si vennero mai escogitando dopo di lui»1.

La tesi storica, che è in istretta connessione con quella estetica, concerno la materia dei poemi omerici. Dal momento che Omero è il poeta primitivo per eccellenza, è ovvio (per l’identificazione fatta dal V. tra storia e poesia primitiva) che egli abbia attinta la materia dei due poemi, non già alla sua facoltà immaginativa, ma alla realtà storica. S’intende bene che codesta storia per una buona [p. 714 modifica]714

LIBRO TERZO


parte è a lui pervenuta, ed è da lui riprodotta, nella forma peculiare della storiografia primitiva, ossia per miti (e miti già abbastanza alterati e corrotti dalla tradizione); ma ciò non toglie che il nucleo di quei miti siano fatti realmente accaduti. I due poemi, quindi, sono anche «due grandi tesori del diritto naturale delle genti greche», ossia due insigni documenti della storia (specialmente sociale) della Grecia durante il periodo eroico.

La tesi filologica, che il V. dice risultato dalle due precedenti, da lui conseguito intuitivamente, senza che se lo fosse mai proposto, consiste nella riduzione di Omero a carattere poetico, ossia a mito. Riduzione, per altro, che il nostro filosofo dichiara esplicitamente di voler fare «per metà», ossia in modo profondamente diverso dalle tante riduzioni di siffatto genere, che si sono incontnite nel libro secondo (gli stessi eroi omerici, i sette savi di Grecia, i sette re di Roma, ecc. ecc.). E non so in quale altro modo si possa interpetrare codesta riduzione per metà, se non come un modo immaginoso e metaforico per esprimere che egli, Vico, vedeva in Omero una doppia personalità, storica e mitologica, il «particolare uomo in natura», ossia l'individuo effettivamente esistito, e, insieme, la personificazione del popolo greco in quanto narrava, cantando, la propria storia. Insomma, se il V., condotto dal suo stesso ragionamento a postulare un Omero carattere poetico, sentiva in sé qualcosa che si ribellava e l’obbligava a non trattare il poeta alla stessa stregua di Teseo o di Romolo, a me pare ovvio che nel fondo del suo pensiero stesse (latente e poco chiara a lui stesso) la convinzione che i due poemi, oltre che frutto d’una poesia popolare accumulatasi a poco a poco per secoli, fossero anche opera d’un uomo singolo, non mero grammatico ma poeta di genio, che si fosse fatto raccoglitore degli sparsi frammenti, dando loro l’unità e la coesione dell’opera d’arte.

Posto ciò, la tesi, che abbiamo chiamata «estetica», si trova già tutta in embrione nel CI2, vaie a dire prima ancora che il V. si accingesse a compiere di Omero quello studio speciale, di cui furono frutto le Lezioni omeriche, ossia le NDU. Ed è naturale: quella tesi è corollario troppo immediato delle teorie estetiche già abbozzate nel XII capitolo del CI2, perchè il V. non si sentisse spinto irresistibilmente, pur non avendo ancora fatti i necessari studi preparatorii, ad accennarvi. S’intende bene che, poiché nel CI2 quelle teorie sono ancora rudimentali e ben lontane dalla perfezione e compiutezza cui dovevano giungere nella SN2, rudimentale e lacunosa è ancora la tesi omerica, che ne deriva. A ogni modo, la mancanza [p. 715 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 3, 1916.djvu/15 [p. 716 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 3, 1916.djvu/16 [p. 717 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 3, 1916.djvu/17 [p. 718 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 3, 1916.djvu/18 [p. 719 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 3, 1916.djvu/19 [p. 720 modifica]Pagina:Vico - La scienza nuova, 3, 1916.djvu/20

  1. B. CROCE, in Critica, X, p. 453, e ora nuovamente in Saggio sullo Hegel e altri scritti di storia della filosofia (Bari, Laterza, 1913), pp. 269-82).