La scienza moderna e l'anarchia/Parte prima/IV
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Traduzione dal russo di Anonimo (1922)
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È evidente che non appena la scienza cominciò a dare simili risultati, si provò il bisogno di costruire una filosofia sintetica che li compendiasse e comprendesse tutti. Senza più perder tempo intorno a ipotetiche «sostanze», ad una «idea dell'universo», ad un «destino della vita» o ad altre espressioni simboliche, tutte frutto dell'immaginazione dei filosofi, che con esse hanno così a lungo tenuto a bada i nostri padri ed i nostri nonni; senza più divertirsi ad antropomorfizzare (e cioè ad attribuire alla natura e alle forze fisiche, qualità ed intenzioni umane), era naturale si cercasse di costruire una filosofia che fosse un riassunto sistematico, unificato, ragionato di ogni nostro sapere. Questa filosofia, elevandosi gradatamente dal semplice al composto, doveva esporre i principii fondamentali della vita dell'universo e darci una chiave per lo studio di tutto l'insieme della natura. In tal modo diventerebbe un potente strumento di ricerca, per aiutarci a scoprire nuovi rapporti tra i diversi fenomeni (le cosidette leggi naturali), ispirandoci nel tempo stesso fede nell'esattezza delle nostre conclusioni, per quanto esse fossero contrarie alle nozioni correnti stabilite.
Parecchi tentativi di questo genere furono appunto fatti nel secolo XIX, e quelli d'Augusto Comte ed Erberto Spencer meritano specialmente la nostra attenzione.
È vero che la necessità d'una filosofia sintetica fu compresa già nel secolo XVIII dagli enciclopedisti, da Voltaire nel suo ammirabile Dizionario filosofico, che tuttora rimane opera monumentale, da Turgot, e, più tardi, da Saint-Simon. Ma soltanto nella prima metà del secolo XIX, Augusto Comte intraprese un tale lavoro, con un metodo severamente scientifico, rispondente ai progressi recenti delle scienze naturali.
Si sa in quale ottima maniera Comte disimpegnò il suo compito, per tutto ciò che riguarda le matematiche e le scienze esatte in generale. Si riconosce eziandio da tutti com'egli avesse pienamente ragione d'introdurre la scienza della vita, (la biologia) e quella delle società umane (la sociologia) nel ciclo delle scienze positive. È, infine, risaputo quale formidabile influenza esercitasse la filosofia di Comte sulla maggior parte degli scienziati e pensatori della seconda metà del secolo XIX.
Ma perchè – si domandano gli ammiratori del grande filosofo – perchè il Comte si addimostrò così debole, non appena intraprese, nella sua Politica positiva, lo studio delle istituzioni moderne e sopratutto quello dell'etica – la scienza delle concezioni morali?
Come mai uno spirito così vasto e positivo quanto il suo potè giungere a credere in quella religione e quel culto che Comte fondò negli ultimi anni di sua vita?
Molti de' suoi discepoli cercano di conciliare tale religione e tale culto con la sua opera precedente, affermando, contrariamente ad ogni evidenza, che il filosofo ha seguito lo stesso metodo in entrambi i suoi lavori, la Filosofia positiva e la Politica positiva. Ma due dei più illustri filosofi positivisti, J. S. Mill e Littré, sostenevano che la Politica positiva non fosse affatto una parte della filosofia di Comte, e vedevano in essa null'altro che il prodotto d'una intelligenza già indebolita.
Eppure, questa contraddizione che esiste fra le due opere di Comte – la Filosofia positiva e la Politica positiva – è molto caratteristica, e getta uno sprazzo di luce sulle più gravi questioni del nostro tempo.
Quando Comte ebbe terminato il suo Corso di Filosofia positiva, dovette certo accorgersi che non aveva ancora considerato il problema essenziale: l'origine del sentimento morale nell'uomo e l'influenza di questo sentimento sulla vita dell'uomo e delle sue società.
Bisognava, evidentemente, indicare l'origine di questo sentimento, spiegarlo con l'influenza delle stesse cause con cui spiegava la vita in generale, e mostrare così perchè l'uomo senta il bisogno di obbedire a tale sentimento o, almeno, di tenerne conto.
È sopratutto notevole il fatto che Comte si trovava già sulla buona via, seguita più tardi da Darwin, quando il grande naturalista inglese cercò di spiegare, nella sua Origine dell'Uomo, l'origine del senso morale. Infatti, la Politica positiva contiene parecchi passi ammirabili, che provano come non fossero sfuggiti all'osservazione di Comte gli esempi di socialità e di mutuo appoggio fra gli animali e la loro importanza etica1.
Ma per tirare da questi fatti le conclusioni positive necessarie, le nozioni di biologia del suo tempo erano insufficienti e lui stesso mancò d'audacia. Soppresse Dio – l'idolo delle religioni positive, che l'uomo deve adorare e pregare per rimanere morale – e mise al suo posto l'Umanità, con lettera maiuscola. Davanti al nuovo feticcio comandò di prosternarsi, e d'innalzare a lui le nostre preghiere, allo scopo di sviluppare in noi stessi l'elemento morale.
Ma una volta fatto ciò, una volta riconosciuto necessario per l'uomo l'adorare qualche cosa situata al di fuori e al di sopra dell'individuo, per mantenere la bestia umana sulla via del dovere – il resto veniva da sè. Il rituale della religione di Comte fu subito naturalmente copiato dai riti delle vecchie religioni venute d'Oriente.
Comte doveva per forza di cose giungere a tanto, non avendo egli ammesso che il senso morale dell'uomo, come la socialità e la società stessa, erano d'origine pre-umana, e non scorgendovi quindi uno sviluppo ulteriore della socialità stessa che si constata fra gli animali, fortificata nell'uomo dalla sua osservazione della natura e della vita delle società umane.
Egli non aveva compreso che il senso morale dell'uomo dipende, come il suo organismo fisico e nello stesso grado, dalla sua natura. Aveva ben osservato i sentimenti di socialità e di simpatia reciproca che esistono fra gli animali; ma, sotto l'influenza del grande zoologo Cuvier, considerato a quel tempo come un'autorità suprema, non aveva ammesso ciò che Buffon e Lamarck avevano fatto così ben risaltare – la variabilità delle specie. Non riconoscendo l'evoluzione continua dall'animale all'uomo, non vedeva, come l'ha compreso Darwin, che il senso morale dell'uomo non è che uno sviluppo degli istinti, delle abitudini di mutuo appoggio esistenti in tutte le società animali, assai prima della comparsa sulla terra dei primi esseri a sembianza umana.
Comte non vedeva quindi, come noi lo vediamo oggi, che per quanto immorali sieno alcuni atti di individui isolati, il principio di morale rimarrà forzatamente, come un istinto, nell'umanità, finchè la specie umana non comincerà a declinare, e che gli atti, contrari ad una morale avente siffatta origine, devono necessariamente suscitare una reazione negli altri, allo stesso modo che ogni azione meccanica produce una reazione nel campo fisico. Egli non s'accorse che in questa capacità di reagire contro gli atti antisociali di alcuni, sta la forza naturale che forzatamente mantiene il senso morale e le abitudini sociali delle società umane, come le mantiene nelle società animali, senza nessun intervento dal di fuori. Tale forza è infinitamente più potente degli ordini di qualsiasi religione e di qualunque legislatore; ma Comte non avendola ammessa, fu costretto ad inventare un nuovo idolo – l'Umanità – e un nuovo culto, che servisse a ricondurre sempre l'uomo sulla strada della vita morale.
Come Saint-Simon, come Fourier, anch'egli pagò in tal modo il suo tributo all'educazione cristiana. Senza ammettere una lotta tra il principio del Bene e il principio del Male, aventi entrambi un'eguale forza, e senza che l'uomo si rivolga ad un rappresentante del primo principio per fortificarsi nella lotta contro il secondo – il cristianesimo non potrebbe esistere. E Comte, imbevuto di questa idea cristiana, ritornò a lei, non appena s'imbattè sul suo cammino nella questione della morale e dei mezzi di cementarla nei sentimenti dell'uomo. Il culto dell'Umanità doveva servirgli di strumento per scacciare dall'uomo il potere nefasto del Male.
- ↑ Non avevo tenuto conto di questi passi la prima volta che il presente capitolo venne pubblicato. Un amico positivista del Brasile attirò allora la mia attenzione su di essi, nello stesso tempo che m'inviava una bella edizione della seconda grande opera di Comte, la Politica positiva. Approfitto dell'occasione oggi portami per esprimergli i miei più vivi ringraziamenti. In quest'opera di Comte, come nella Filosofia positiva, non mancano le pagine geniali, e fu per me un profondo godimento il rileggerle, dietro invito d'un amico, con tutte le conoscenze accumulate durante tanti anni.