La scienza moderna e l'anarchia/Parte prima/III

La reazione sul principio del secolo XIX

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La reazione sul principio del secolo XIX
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Dopo la fine della grande Rivoluzione francese, l'Europa traversò un periodo di reazione generale: in politica, in scienza ed in filosofia. Col Terrore Bianco dei Borboni e la Santa Alleanza, conclusa nel 1815 fra i monarchi d'Austria, di Prussia e di Russia per combattere le idee liberali, trionfavano su tutta la linea il misticismo e il «pietismo» nell'alta società europea, e la polizia di Stato dovunque.

Certo, i principii fondamentali della rivoluzione non potevano più perire; la liberazione dei servi della gleba e degli operai delle città, usciti dalla condizione di semiservaggio in cui erano vissuti fino allora, l'uguaglianza innanzi alla legge, ed il governo rappresentativo – questi tre principii promulgati dalla Rivoluzione e portati dagli eserciti rivoluzionari in Europa, fino in Polonia, facevano il loro cammino, in Francia, come dappertutto. Dopo la Rivoluzione che aveva enunciate le grandi idee di libertà, di eguaglianza e di fratellanza, cominciò la lenta evoluzione – cioè, la trasformazione delle istituzioni, l'applicazione alla vita di tutti i giorni dei principii generali proclamati dal 1789 al 1793. Si noti alla sfuggita come tale realizzazione, per mezzo dell'evoluzione, dei principii annunciati dalla procella rivoluzionaria precedente, potrebbe venire ammessa come legge generale di sviluppo delle società.

Se la Chiesa, lo Stato e perfino la scienza calpestavano allora il vessillo su cui la Rivoluzione aveva scritto la sua divisa: Libertà, uguaglianza e fratellanza; se l'adattamento alle condizioni esistenti era divenuto la parola d'ordine generale perfino in filosofia – pure i grandi principii di libertà penetravano sempre più nella vita. È vero che la servitù dei contadini, e l'inquisizione, abolite in Italia ed in Ispagna dagli eserciti della Rivoluzione, furono ristabilite; ma un colpo mortale era stato dato loro, e tale che non se ne riebbero mai più.

Il fermento di emancipazione giunse fin nella Germania occidentale, penetrò in Russia, in Austria: si propagò nelle penisole iberica e italiana, e, movendo verso l'Oriente, giunse nel 1861 in Russia e nel 1878 nei Balcani. La schiavitù disparve in America nel 1863. Nel tempo stesso l'idea dell'uguaglianza di tutti innanzi alla legge e quella del governo rappresentativo, si propagarono pure dall'ovest all'est, e alla fine del secolo, soltanto la Russia e la Turchia restavano ancora sotto il giogo dell'autocrazia – discretamente ammalata, a dir vero.1

Meglio ancora, nel punto di passaggio fra i due secoli, il XVIII e il XIX, noi troviamo che già si affacciavano nettamente idee di emancipazione economica.

Appena il popolo di Parigi ebbe rovesciata la monarchia, il 10 agosto 1792, e sopratutto dopo la caduta dei girondini, il 2 giugno 1793, vi fu a Parigi e nelle provincie un'esplosione di sentimenti comunisti; e si videro allora, in gran parte della Francia, le «sezioni» rivoluzionarie delle grandi città e molte municipalità delle piccole agire in tal senso.

Gli uomini intelligenti del popolo dichiaravano che l'Eguaglianza doveva cessare di essere una vana parola, per esplicarsi nei fatti. E siccome il peso della guerra, che la repubblica era costretta di muovere ai «re congiurati», ricadeva sopratutto sui poveri, il popolo obbligava i commissari della Convenzione a prendere certe misure comuniste, egualitarie.

La Convenzione stessa si sentiva forzata di agire in senso comunista, ed alcune sue decisioni miravano all'«abolizione della povertà» e ad «uguagliare le fortune». Dopo che la sollevazione dal 31 maggio al 2 giugno 1793 ebbe eliminati i girondini dal governo, la Convenzione dovette perfino consentire delle misure che tendevano alla nazionalizzazione, non solamente del suolo, ma anche di tutto il commercio nazionale, almeno per gli oggetti di prima necessità.

Questo movimento, assai profondo, durò fino al luglio 1794, quando la reazione borghese dei girondini, appoggiata dai monarchici, riprendeva il sopravvento il 9 termidoro. Ma, malgrado la sua breve durata, diede al secolo XIX la sua impronta caratteristica: la tendenza comunista e socialista de' suoi elementi avanzati.

Finchè durò, il movimento del 1793-1794 ebbe degli oratori popolari per esplicarlo. Ma fra gli scrittori del tempo non vi fu nessuno in Francia per dare un'espressione letteraria ragionata a tali aspirazioni che si chiamarono «l'al di là di Marat»), in modo da produrre un'azione durevole sugli spiriti.

Fu solamente in Inghilterra che William Godwin pubblicò nel 1793 la sua opera veramente notevole Ricerche sulla giustizia politica, e sua influenza sulla morale pubblica, che ne fece il primo teorico del socialismo senza governo e cioè dell'anarchia; d'altra parte, Babeuf (ispirato, sembra, da Buonarroti) si palesò nel 1795 come il primo teorico del socialismo accentratore, del socialismo di Stato.

Più tardi – a sviluppare le premesse poste già durante la fine del secolo precedente – vennero Fourier, Saint-Simon e Roberto Owen, i tre fondatori del socialismo moderno, nelle sue tre scuole principali; e più tardi ancora, negli anni 1840-1850, abbiamo Proudhon, che, senza conoscere l'opera di Godwin, gettò di nuovo le basi dell'anarchia.

Le basi scientifiche del socialismo nei suoi due aspetti, governativo ed antigovernativo, furono così elaborate, fin dal principio del secolo XIX, con una ricchezza di sviluppo misconosciuta, disgraziatamente, dai nostri contemporanei. Il socialismo moderno, che data dall'Internazionale, non ha sorpassato cotesti suoi fondatori che in due punti, certo, importantissimi: è divenuto rivoluzionario, e l'ha rotta definitivamente col concetto del «Cristo socialista e ribelle», che si amava raffigurare ed esaltare prima del 1848.

Il socialismo moderno ha compreso che per realizzare le sue aspirazioni è assolutamente necessaria la rivoluzione sociale – non nel senso in cui si usa talvolta questa parola, quando si parla di «rivoluzione industriale» o di «rivoluzione nelle scienze», bensì nel suo senso esatto, concreto: quello di ricostruzione generale e immediata, fin dalle fondamenta, della società. Egli ha cessato nel medesimo tempo di mescolare i suoi concetti con le riforme molto anodine e di ordine sentimentale, di cui parlavano e parlano ancora alcuni riformatori cristiani. Bisogna, però, ricordare che ciò era stato fatto anche prima da Godwin, Fourier ed Owen. In quanto poi all'amministrazione, all'accentramento, al culto dell'autorità e della disciplina – che l'umanità deve sopratutto alla teocrazia ed alla legge romana imperiale – questa «sopravvivenza» di un passato oscuro come l'ha chiamata Pietro Lavroff, la grande maggioranza dei socialisti moderni vi soggiace ancora interamente, ciò che li pone ad un livello più basso dei loro antenati inglesi e francesi.

Sarebbe troppo lungo parlare qui dell'influenza che la reazione, divenuta sovrana dopo la Grande Rivoluzione, esercitò sullo sviluppo delle scienze.2 Basti notare che tutto ciò di cui oggi la scienza va superba, era stato già preveduto, e talvolta più che preveduto, senz'altro espresso in una forma scientifica determinata, verso la fine del secolo XVIII. La teoria meccanica del calore, l'indistruttibilità del movimento (la conservazione dell'energia), la variabilità delle specie a seconda dell'influenza diretta dell'ambiente, la psicologia fisiologica, la comprensione antropologica della storia, delle religioni e della legislazione, le leggi dello sviluppo del pensiero, in una parola tutta la concezione meccanica della natura e la filosofia sintetica (una filosofia che comprende tutti i fenomeni fisici, chimici, vitali e sociali in un tutto unico) furono già abbozzate e in gran parte elaborate nel secolo XVIII.

Ma con la reazione che ebbe il sopravvento dopo la Grande Rivoluzione, si cercò di soffocare tali scoperte, durante la prima metà del secolo XIX. Gli scienziati reazionari le dicevano «poco scientifiche»; e col pretesto di studiare anzitutto «i fatti», di accumulare «i materiali della scienza», si ripudiarono dalle società scientifiche perfino certe ricerche che erano semplici misurazioni – come la determinazione trovata da Séguin seniore, e più tardi da Joule, dell'equivalente meccanico del calore (della quantità di strofinamento meccanico necessaria per ottenere una data quantità di calore). Non si voleva udir parlare di quanto offriva qualche nuovo principio! La «Società Reale» d'Inghilterra, vale a dire l'Accademia inglese delle Scienze, rifiutò perfino di stampare tale lavoro di Joule, trovandolo non scientifico. In quanto al notevolissimo studio di Grove sull'unità delle forze fisiche, fatto nel 1843, non gli si prestò alcuna attenzione fino al 1856.

È sopratutto studiando la storia delle scienze nella prima metà dei secolo XIX, che si comprende quale fitta oscurità avvolse l'Europa durante tutto quel tempo.

Il velo di tenebre fu strappato d'un colpo, quando verso il 1860 cominciò in Occidente il movimento liberale che generò le insurrezioni di Garibaldi, il risorgimento italiano, l'abolizione della schiavitù in America, le riforme liberali in Inghilterra, ecc. Fu lo stesso movimento che determinò in Russia l'abolizione del servaggio e dello knut, rovesciò in filosofia l'autorità di Schelling e Hegel e diede la luce a quella aperta ribellione contro il servaggio intellettuale e l'avvilimento sotto ogni più schiacciante autorità, che è conosciuta col nome di nichilismo.

Ora che noi possiamo rifare la storia intellettuale di quel tempo, appare evidente che fu la propaganda delle idee repubblicane e socialiste, nel ventennio 1830-1850, e la rivoluzione del 1848, che aiutarono la scienza a liberarsi dalle pastoie che la soffocavano.

Infatti, senza entrare in particolari, basterà ricordare che Séguin, di cui abbiamo già parlato, Agostino Thierry (il primo storico che dettò le basi dello studio del regime popolare dei comuni e delle idee federaliste nel medioevo) e Sismondi (lo storico delle città libere italiane), furono seguaci di Saint-Simon, uno dei fondatori del socialismo nella prima meta del secolo XIX. Alfredo R. Wallace, che enunciò contemporaneamente a Darwin la teoria dell'origine delle specie, a mezzo della selezione naturale, fu in gioventù un caldo partigiano di Roberto Owen; Augusto Comte fu sansimoniano; tanto Ricardo come Bentham furono owenisti; e i materialisti Carlo Vogt e G. Lewes, alla stessa maniera di Grove, Mill, Erberto Spencer e tanti altri, subirono l'influenza del movimento radico-socialista dal 1830 al 1850. Da questo movimento essi attinsero il loro coraggio scientifico.3

La comparsa nel corto periodo di cinque o sei anni, 1856-1862, delle opere di Grove, Joule, Berthelot, Helmholtz e Mendeleeff; di Darwin, Claudio Bernard, Moleschott e Vogt; di Lyell sull'origine dell'uomo; di Bain, di Mill e di Burnouf – questa comparsa subitanea di tanti lavori portò una completa rivoluzione nei concetti fondamentali degli scienziati. La scienza si spinse d'un tratto per nuove vie, e furono creati con rapidità prodigiosa nuovi rami dell'umano sapere.

Lo studio della vita (biologia), delle istituzioni umane (antropologia e etnologia), dell'intelligenza, della volontà e delle passioni (psicologia fisica) la storia del diritto e delle religioni, e così via di seguito, sorsero e si svolsero sotto i nostri occhi, impressionando le menti con l'arditezza delle loro generalizzazioni e col carattere rivoluzionario delle loro conclusioni. Quanto nel secolo precedente era frutto di vaghe supposizioni, spesso anzi di intuizioni, potè allora essere comprovato dalla bilancia e dal microscopio, e verificato da mille applicazioni. La stessa maniera di scrivere cambiò completamente, e i predetti scienziati, tutti, ritornarono a quella semplicità, esattezza ed eleganza dello stile, che erano caratteristiche del metodo induttivo, possedute così bene da coloro fra gli scrittori del secolo XVIII i quali avevano ripudiata la metafisica.

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Predire in quale direzione d'ora in avanti camminerà la scienza, è di certo cosa impossibile. Finchè gli scienziati dipenderanno dai ricchi e dai governanti, la loro scienza ne subirà l'impronta, ed essi potranno sempre determinare momenti di sosta, come quello che si produsse nella prima metà del secolo XIX. Ma una cosa è certa: ed è che nella scienza, quale si presenta oggi, non v'è più bisogno dell'ipotesi di cui Laplace seppe fare a meno, nè delle parolette metafisiche di cui Goethe rideva. Possiamo già leggere il libro della natura, compreso ciò che tratta dello sviluppo della vita organica e dell'umanità, senza ricorrere all'idea di un creatore, di una «forza vitale» mistica, o di un'anima immortale, e senza consultare la trilogia di Hegel, nè nascondere la nostra ignoranza sotto non importa quale simbolo metafisico, dotato da noi stessi di una ipotetica esistenza reale. I fenomeni meccanici, sempre più complicati, man mano che passiamo dalla fisica ai fatti della vita, ma che restano pur sempre meccanici, ci bastano per spiegare la natura intera e tutta la vita organica, intellettuale e sociale che vi scopriamo.

Senza dubbio, molto rimane ancora per noi di sconosciuto, d'oscuro e d'incompreso nell'universo; e sappiamo altresì che ci accorgeremo sempre di nuove lacune nel nostro sapere, a misura che saranno colmate le lacune antiche. Ma per ora non conosciamo alcuna regione, in cui non ci sia possibile trovare la spiegazione dei fenomeni con quei più semplici fatti fisici, che si producono, per esempio, quando due palle di bigliardo si incontrano od una pietra cade, oppure coi fatti chimici che vediamo intorno a noi. Questi fatti meccanici ci bastano per spiegare tutta la vita della natura; in nessun campo si rivelano insufficienti, e non intravediamo affatto la probabilità di scoprirne uno in cui lo diventerebbero. Niente, finora, ce ne fa supporre l'esistenza.

  1. Si veda il capitolo «Conclusione» della Grande Rivoluzione.
  2. Ne parlo in una conferenza inglese: Lo sviluppo scientifico del secolo XIX, in corso di stampa.
  3. Per tutti questi nomi e i seguenti vedere le note spiegative in fondo al volume.