<dc:title> La rivoluzione di Napoli nel 1848 </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Ferdinando Petruccelli della Gattina</dc:creator><dc:date>1850</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Petruccelli - La rivoluzione di Napoli nel 1848, Genova, Moretti, 1850.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=La_rivoluzione_di_Napoli_nel_1848/51._La_Russia&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20240422092433</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=La_rivoluzione_di_Napoli_nel_1848/51._La_Russia&oldid=-20240422092433
La rivoluzione di Napoli nel 1848 - 51. La Russia Ferdinando Petruccelli della GattinaPetruccelli - La rivoluzione di Napoli nel 1848, Genova, Moretti, 1850.djvu
[p. 190modifica]51. Le cose intanto camminavano a maraviglia per la reazione, ed un trionfo ne procreava un altro. La Russia aveva gittato il suo cartello di sfida alla libertà e si era rinchiusa in sè come in una cittadella. Lasciava parlare dei suoi milioni e dei suoi cosacchi, li faceva vedere sempre in lontananza sospesi sul capo ai liberali, come un trave di fuoco minaccevole, come una cometa divoratrice, ma non ardiva sciogliere loro la musoliera. Era paura? era pudore? chi lo sa? forse l’una cosa e l’altra. Ma come vide che la Francia la prima aveva infrante le leggi della non intervenzione ed era andata a distrugger Roma; come vide che l’Inghilterra taceva spensierata o guardava altrove; come le proporzioni prese dalla guerra di Ungheria minacciavano comprimere altresì i suoi Stati, e già la Polonia sordamente in fremito preparava il controcolpo; come sentì essere arrivata l’ora del suo eterno desiderio, della politica tanto favorita a Caterina II, di subordinarsi l’Austria per chiudersi le porte di Occidente ed agir libera in Oriente; come sentì che poteva far provare ancora una volta tutto il peso del suo braccio all’Europa; ruppe gl’indugi e passò in Ungheria. Voleva Niccolò conquistare l’Ungheria per l’Austria? io ne dubito assai: la politica russa è quella appunto di affievolirla. — L’Europa finisce all’Oder ed alle Alpi Giulie, come dice Charrier. Al di là comincia un’Europa semi-asiatica, dove la razza slava si accampa e gravita sull’occidente di una forza fatale, che forse ha con sè un avvenire sociale. Svezia, Polonia, Boemia, Ungheria, Servia, Dalmazia, Illiria, Grecia, [p. 191modifica]Croazia, Valachia, Moldavia, Russia, ecc. sono rami della sorgente medesima, sono membri di una sola famiglia, a cui la superfetazione della civiltà alemanna ed il dominio straniero non han cancellato o cangiato nulla della propria personalità. La Russia è, diciam così, il primogenito della casa, e porta sulla fronte il segno virtuale della grande sua missione. Essa è la manifestazione vivente del mondo slavo, ed in lei, nelle aspirazioni di rigenerazione e di resurrezione dei popoli di questa razza, in lei sono fissi gli sguardi. Da ciò ha origine la forza misteriosa che essa esercita sull’occidente. — Tutti i popoli, in tutti i secoli, han sentito attirarsi verso l’Oriente: per la Russia questa forza magnetica è una necessità di resistere. Potenza mediterranea, non potrà vedere la sua organizzazione svilupparsi intera e compiuta, se non il dì in cui senza contrasto (ed è vano il fargliene) essa potrà assidersi signora sul Sund e sul Bosforo. Per ciò ottenere ha bisogno di circondarsi di baluardi inespugnabili contro l’occidente; e questi baluardi sono la Svezia, la Boemia, la Polonia, l’Ungheria e tutti i popoli che si prolungano tra il Danubio, il Bosforo, l’Adriatico ed il Jonio. Questi baluardi sono i figli di una madre stessa, che allora solamente potranno godere della loro individualità, quando, sotto il protettorato russo spoglio del principio alemanno impiantatovi da Pietro il Grande, spoglio dell’autocrazia, si saranno sottratti all’occupazione straniera dell’Austria e della Prussia, per essere nazioni libere e federate. Noi quindi pensiamo che nella coscienza di Niccolò non era di assoggettare l’Ungheria all’Austria, perchè ne vedeva l’impossibilità, perchè sapeva che l’Austria, dopo seicento [p. 192modifica]anni di possesso, non ha potuto cancellare neppure un tratto del carattere dell’Ungheria, della Boemia e dell’Illirio. Il suo pensiero intimo si è rivelato, quando i suoi uffiziali del genio hanno inviato a Pietroburgo le carte topografiche le più dettagliate delle posizioni del paese. La sua crociata era una pruova, era uno sperimento; voleva mettere in contatto i due popoli, per vedere se la loro consanguineità si fosse fatta sentire, se la simpatia di razza li avesse rapprossimati. Il saggio fu imprudente dalla parte di un autocrata. Quando il soldato russo seppe dal contadino ungherese che l’aristocrazia magiara aveva abbandonato a lui una metà delle sue proprietà, abolita la servitù, ed accordata libertà ed uguaglianza a tutti, una subita luce si fece nel suo intelletto; e quella luce sarà feconda di una rivoluzione non lontana. Furono i soldati che tornavano dall’Alemagna e dall’Italia che strangolarono Paolo. La manifestazione di questo nuovo spirito nel soldato russo rovesciò i piani dello Czar, e cangiò in tradimento l’atto che Gorgey aveva forse pattuito sotto ispirazioni patriottiche. Chi sa che un giorno quest’uomo, il quale geme silenzioso sotto lo spaventevole peso del martirio che divora la sua patria, non si riveli come un santo, e che il mistero di tanta sventura non sia rivelato? Quando Klapka diceva che Gorgey era uno sventurato piuttosto che un fellone, presentiva forse al pari di noi il segreto impulso che aveva determinata la sua condotta. — Sia comunque, l’Ungheria cadde come cadono gli eroi, tagliata a pezzi, dopo avere esaurito ogni avanzo di vita, trovata inutile ogni speranza; cadde oppressa ma non vinta, strangolata ma non convertita. E dopo l’Ungheria, Venezia, [p. 193modifica]l’ultimo baluardo di libertà che sulla terra d’Italia si levasse ancora; ma essa conservò fin all’ultimo momento il suo stendardo puro, immacolato di rotte, senza neppure oscillare: l’alito austriaco non l’ebbe mai sfiorato, non l’ebbe lordato mai, e lo sguardo di Europa si era per lungo tempo riposato sopra di esso, compiaciuto, quasi attestato della nobile natura dell’uomo, e miracolo di libertà. Una grande eredità di gloria Roma e Venezia hanno aggiunta a quella trasmessa dagli avi alla penisola italiana. Ed alle glorie di Venezia i napolitani reclamano la loro parte. Secondi a niuno, ebbero parecchi che furono primi, come Pepe, Ulloa, Carrano, Mezzacapo, ed innanzi a tutti il Cosenz, il quale al cuore di un eroe unisce il pudore di una fanciulla, e l’abnegazione di un santo. E questa mano di nobili uomini hanno espiato verso la città delle lagune il torto dell’ammiraglio de Cosa, il quale spedito con parecchi legni da guerra dal ministero Troya, dopo il 15 maggio si affrettò ad obbedire all’appello del Borbone, che da quelle acque lo richiamava: ed obbedì, malgrado le promesse solenni fatte ai veneziani e gl’impegni presi. Re Ferdinando, come la scabbia, come la pece, infetta chiunque tocca.