La rivoluzione di Napoli nel 1848/11. Elementi rivoluzionarii

11. Elementi rivoluzionarii

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10. Protesta di Calabria 12. Francesco Paolo Bozzelli

[p. 37 modifica]11. Questo assentimento unanime sbigottì il governo, perchè in esso sentì la repulsione istintiva alle opere sue ed ai suoi principii. Incontanente un lusso di forze fu spiegato. Birri, gendarmi, soldati, preti, spioni furono messi in movimento. Le calunnie, il terrore, le suggestioni, le lusinghe, i nastri, l’oro furono adoperati per riuscire: e sopra tutti i mezzi la mitraglia, le galere, e la baionetta cieca e fanatica del soldato. I liberali furono chiamati assassini e banditi. La rivoluzione, presa così all’impensata e di tutto sprovveduta, facilmente fu vinta. La voce ne corse dovunque: il trionfo fu magnificato. Nessuno trepidò: solo si disilluse ognuno sul favore dello straniero alla libertà italiana, favore che era stato promesso da qualche diplomatico a Roma. La falange degli spioni, per darsi valore ed aumentare i guadagni, colorò di più vive tinte lo spirito ostile della nazione, la quale era pronta a sacrificar tutto per sottrarsi all’infame dominio. Si tentò apportarvi temperamento, e malgrado le contestazioni del ministro delle finanze Ferri, che dichiarava inviolabile il sistema delle imposte quella del sale fu diminuita di un terzo, quella del macino abolita del tutto. Questa misura, che si calcolava dovesse eccitare un entusiasmo universale nel popolo, fu accolta freddissimamente. Giungeva troppo tardi, accordava molto poco. E benchè le classi povere ne fossero assai sollevate, esse non mostrarono alcuna simpatia o riconoscenza al benefizio. Era una giustizia lungamente [p. 38 modifica]ritardata, inspirata dal terrore non dall’amore; era una conquista non un dono. Questa nobile fierezza del popolo fu una rivelazione per tutti: una rivelazione che ne empì di gioia e di stupore, vedendo che l’opera di evirazione di tanti anni nulla aveva profittato; mise il principe nella costernazione, obbligandolo a persuadersi che i popoli giammai e nulla obbliano di ciò che loro appartiene, e che l’istinto non si adultera, giusta quella sentenza di Bossuet: il n ’y a pas de lois contre le droit, et si longues que soient les proscriptions elles ne prevalent jamais contre les vérités èternelles. — Avendo scandagliato il calibro della volontà popolare la nostra energia radoppiò. La sollevazione di Calabria era stato un saggio senza speranza di successo; si pensò metter mano ad un’opera più grandiosa, ad un fatto più solenne. Si cercò di aggruppare le fila sparpagliate, fondere gli elementi difformi. Si adottò una divisa, un principio, una parola di recognizione, un grido di guerra. Le aspirazioni di libertà ben presto assunsero forma di cospirazione. Ed affinchè si avesse potuto agire con sicurezza ed unità, si costituì un Comitato regolatore, nelle cui mani si deposero tutti i poteri, o, per meglio dire, s’impossessò di tutti i poteri per provvedere al movimento e dirigerlo. Fatalità che fu la prima radice delle sventure che seguirono e che or ora racconteremo. La determinazione di uscir dall’ignobile situazione attuale individualmente era universale. Il governo non rinveniva più simpatia nè in alcun luogo, nè in alcuna persona, nemmeno fra quegli stessi soldati, in mezzo ai quali re Ferdinando aveva vissuto famigliarmente per affezionarli alla sua persona. Lo spirito della rivolta soffiava dappertutto: una specie di abnegazione e di disinteresse si mani[p. 39 modifica]festava in ognuno. Non pertanto collettivamente pochi s’intendevano, pochissimi osavano confidarsi le proprie speranze ed i propri disegni, abituati qual erano al lungo vassallaggio, ed al sospetto di rinvenire in ogni uomo un agente di polizia. Inoltre le forze del governo magnificavansi di molto, e non mancava chi lo credesse, dal perchè feroce ed inesorabile se n’era sentita pesar la mano per tanti anni. D’altra parte i mezzi di cui potesser disporre i liberali scarseggiavano. I giovani che si accingevano a misurarsi in campo aperto, a traverso tutti i pericoli, mancavano di sperienza e di fortune. I vecchi rivoluzionarii, i quali furon poi con profonda ironia denominati i martiri del 1820, apportavano nel patrimonio comune sospetto, scoraggiamento, pretensioni smisurate, disprezzo per la generazione novella, diffidenza, poca convinzione, nessuna moralità, e qualcuno manifesta malafede. La dissensione cominciò a nascere nel campo dei crociati, quasi prima di formarsi. Il dubbio dell’esito che innanzi non era sorto in alcuno, cominciò ad essere fecondato da un soffio occulto, che si sentiva senza comprendere e senza conoscere donde spirasse. L’avvenire palesò di poi che in mezzo a noi ci era un miserabile, che s’inspirava alla corte e che come madama Lafarge ci avvelenava a poco a poco. Un’ansietà divorante e malaticcia si manifestava a misura che si approssimava il giorno della denunziazione della rottura delle ostilità col governo; sì che fu d’uopo posporre per due volte il periodo. Vi volevano delle armi e si promettevano spesso, ma non si ottenevano mai. Vi volevano dei danari, ma i sacrifizi anche più leggeri trovavano sempre repugnanza, ed ogni giorno producevano la [p. 40 modifica]diserzione di un soldato. Vi volevano degli uomini per destare l’entusiasmo nelle provincie e combinare la coesione e la contemporaneità della sollevazione, ma nessuno si riconosceva popolare tanto da dominare lo spirito pubblico. Qualcuno era pronto ad esporre la propria vita, ma rinculava in faccia al compromesso della volontà altrui e declinava il cattivo esito della missione. Era forse orgoglio, era fierezza, era egoismo, forse anche convinzione, ma non paura; era un dubbio avvelenatore che agghiadava tutti. Infine vi voleva della scaltrezza, del sapere, dell’opinione, della popolarità, e nessuno era trovato da tanto che innalzata la bandiera della rivolta avesse attirata a sè la considerazione e la simpatia generale fosse giudicato competente da tutta la nazione, creduto e seguito senza discutere. Un Kossuth, un Garibaldi, un Manin, un Mazzini ed altrettali di quelle probità e capacità politiche che sono proclamate e riconosciute dall’universale, che personificano e danno una significazione ad una rivolta, non eran presso di noi. Perciò una specie di stanchezza prima di cominciare, una specie di stupore. Si era svogliati, si titubava, si respirava l’alito della rivolta con precauzione e con difficoltà. Le individualità erano molte e non sceme di risoluzione, di attività; ma il lievito che doveva metterle in fermentazione, il cemento che doveva accozzarle per ridurle a corpo, l’anima insomma che doveva fecondarle mancava o era insufficiente. Non pertanto si scelse, ovvero, per dir meglio, un uomo si offerse da sè, facendo valere il passato in guarentigia dell’avvenire.