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zione di un soldato. Vi volevano degli uomini per destare l’entusiasmo nelle provincie e combinare la coesione e la contemporaneità della sollevazione, ma nessuno si riconosceva popolare tanto da dominare lo spirito pubblico. Qualcuno era pronto ad esporre la propria vita, ma rinculava in faccia al compromesso della volontà altrui e declinava il cattivo esito della missione. Era forse orgoglio, era fierezza, era egoismo, forse anche convinzione, ma non paura; era un dubbio avvelenatore che agghiadava tutti. Infine vi voleva della scaltrezza, del sapere, dell’opinione, della popolarità, e nessuno era trovato da tanto che innalzata la bandiera della rivolta avesse attirata a sè la considerazione e la simpatia generale fosse giudicato competente da tutta la nazione, creduto e seguito senza discutere. Un Kossuth, un Garibaldi, un Manin, un Mazzini ed altrettali di quelle probità e capacità politiche che sono proclamate e riconosciute dall’universale, che personificano e danno una significazione ad una rivolta, non eran presso di noi. Perciò una specie di stanchezza prima di cominciare, una specie di stupore. Si era svogliati, si titubava, si respirava l’alito della rivolta con precauzione e con difficoltà. Le individualità erano molte e non sceme di risoluzione, di attività; ma il lievito che doveva metterle in fermentazione, il cemento che doveva accozzarle per ridurle a corpo, l’anima insomma che doveva fecondarle mancava o era insufficiente. Non pertanto si scelse, ovvero, per dir meglio, un uomo si offerse da sè, facendo valere il passato in guarentigia dell’avvenire.

12. Francesco Paolo Bozzelli che aveva alquanti anni esulato per aver partecipato alla rivoluzione del 1820, si era saputo orpellare di vaghe penne, stemperando