La resipola
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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1835
LA RESIPOLA.
Se pò?1 — Chi è? — Sso’ io.2 — Chi io? — Luscia. —
Chi Lucia? — La madreggna de Pasquale. —
Ôh, addio, Lucia. Che! siete stata male? —
So’ stata pe’ spallà,3 ssiggnora mia. —
Poverina! E quant’è? — Da sto Natale
Sin’ar giorno de Pasqua Bbefania.4 —
Oh vedete! E con quale malattia? —
Cór una bbona porcheria mortale. —
Porcheria? E sarebbe?... Animo: lesta. —
Eh... ssarebbe che... inzomma è cquer gonfiore
Che ppijja pe’ la faccia e ppe’ la testa. —
Dunque dite risipola. — Uh Ssiggnore!
Zzitta pe’ ccarità, cché ssinnò5 cquesta
Aritorna da capo e cce se more.6
22 settembre 1835.
Note
- ↑ Si può?
- ↑ Sono io.
- ↑ Sono stata per [sballare] morire. [Ci hanno forse associata l’idea di spalla, spallarsi.]
- ↑ [V. la nota 3 del sonetto: Er zanatòto, 13 dic. 32.]
- ↑ Se no: altrimenti.
- ↑ Ci si muore. Crede il volgo che se dopo avuta la risipola se ne faccia menzione pronunziandone il nome, essa ritorni ad assalire chi n’era guarito. Perciò si studiano di farsi intendere per via di perifrasi e definizioni, e dovendole pure assegnare un nome, la dicono porcheria, come chiamano anche il fulmine una porcheria.