La regina dei Caraibi/Capitolo III - Il tradimento dell'intendente
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Capitolo III
IL TRADIMENTO DELL'INTENDENTE
Don Pablo de Ribeira, dinanzi a quella minaccia, era diventato pallidissimo. Istintivamente la sua destra era corsa all'impugnatura della spada, essendo stato in altri tempi un valorosissimo uomo di guerra, ma vedendo Carmaux avanzarsi pure, credette inutile opporre qualsiasi resistenza.
D'altro canto era certo di lasciare la vita, anche se avesse avuto di fronte il Corsaro solo, non ignorando con quale formidabile spadaccino avrebbe avuto da fare.
«Cavaliere,» disse, «sono nelle vostre mani.»
«Mi condurrete al passaggio segreto?»
«Cedo alla violenza.»
«Precedeteci.»
Il vecchio prese un doppiere che stava su di un cassettone, lo accese, poi fece cenno al Corsaro di seguirlo.
Carmaux aveva già chiamati i suoi due compagni.
«Dove si va?» chiese Wan Stiller.
«Pare che si fugga,» rispose Carmaux.
Intanto don Pablo era uscito dalla stanza e si era inoltrato in un lungo corridoio sulle cui pareti si vedevano dei grandi quadri rappresentanti degli episodi della sanguinosa campagna di Fiandra e dei ritratti che dovevano forse raffigurare degli antenati del duca Wan Guld.
Il Corsaro lo aveva seguito tenendo la spada sguainata e la sinistra appoggiata al calcio d'una delle sue due pistole. Diffidava già del vecchio.
Giunti all'estremità della galleria, don Pablo si arrestò dinanzi ad un quadro più grande degli altri, poi appoggiò un dito sulla cornice, e per qualche istante, lo fece scorrere lungo una scanalatura.
Ad un tratto il quadro si staccò, abbassandosi fino al suolo, lasciando vedere un'apertura tenebrosa, capace di lasciar passare due persone insieme. Un buffo di vento umido uscì, facendo vacillare le candele del doppiere.
«Ecco il passaggio,» disse il vecchio.
«Dove conduce?» chiese il Corsaro con tono diffidente.
«Gira intorno alla casa e finisce in un giardino.»
«Lontano?»
«Cinque o seicento passi.»
«Passate.»
Il vecchio esitò.
«Perchè devo seguirvi ancora?» chiese. «Non vi basta che vi abbia condotti fino qui?»
«Chi ci assicura che voi ci avete messi sulla buona via?»
Il vecchio corrugò la fronte, guardando sospettosamente il Corsaro, poi si cacciò nel tenebroso passaggio. I quattro filibustieri lo seguirono in silenzio, senza abbandonare le loro armi. Una scala che scendeva tortuosamente, si trovava al di là del passaggio. Era strettissima e pareva che fosse stata costruita nello spessore d'una muraglia.
Il vecchio scese lentamente, tenendo una mano sulle candele, onde il vento che saliva non le spegnesse, poi s'arrestò dinanzi ad una galleria sotterranea.
«Siamo a livello della strada,» disse. «Non avete da fare altro che camminare sempre dritti.»
«Sarà vero quello che voi dite, ma noi non vi lasceremo. Siete pregato di andare innanzi,» disse il Corsaro.
«Il vecchio trama qualche cosa,» mormorò Carmaux. «È già la terza volta che cerca di piantarci.»
Il signor de Ribeira, quantunque di malavoglia, si era inoltrato in un sotterraneo basso e stretto.
L'umidità era copiosissima. Dalle vôlte cadevano dei goccioloni e le pareti erano tutte bagnate. Si sarebbe detto che sopra scorreva qualche torrente o qualche fiumicello; buffi d'aria giungevano dall'oscurità, minacciando ad ogni istante di spegnere le candele.
Don Pablo si avanzò per circa cinquanta passi, poi s'arrestò bruscamente, mandando un grido. Quasi nell'istesso momento le candele si spensero e l'oscurità piombò nella galleria.
Il Corsaro si era slanciato per impedire a don Pablo di allontanarsi. Con suo grande stupore non trovò nessuno dinanzi a sè.
«Dove siete?» gridò. «Rispondete o faccio fuoco!»
Un colpo sordo che pareva fosse stato prodotto da una porta massiccia che si chiudeva, rimbombò a pochi passi.
«Tradimento!» gridò Carmaux.
Il Corsaro aveva puntata una pistola. Un lampo ruppe le tenebre, seguito da uno sparo.
«Il vecchio è scomparso!» gridò il signor di Ventimiglia. «Questo tradimento dovevo aspettarmelo.»
Alla luce della polvere accesa, aveva veduto a pochi passi una porta la quale sbarrava la galleria. L'intendente del duca, approfittando dell'oscurità, doveva averla chiusa dopo averla varcata.
«Accendete un lume, una miccia, un pezzo d'esca, qualche cosa insomma.» disse il Corsaro.
«Ho trovato una candela, padrone,» disse il negro. «Deve essere caduta dal doppiere.»
Wan Stiller estrasse l'acciarino ed un pezzo d'esca ed accese la candela.
«Vediamo» disse il Corsaro.
S'accostò alla porta e la esaminò attentamente. S'avvide subito che da quella parte non v'era alcuna speranza d'uscita. Era massiccia, coperta da grosse lastre di bronzo, una vera porta corazzata. Per sfondarla ci sarebbe voluto un pezzo d'artiglieria.
«Il vecchio ci ha rinchiusi nel sotterraneo,» disse Carmaux. «Nemmeno la scure di compare sacco di carbone potrebbe sfondarla.»
«La ritirata non c'è forse ancora stata tagliata,» disse il Corsaro. «Affrettiamoci a ritornare nella casa del traditore.»
Rifecero la via percorsa, salirono la scala a chiocciola e giunsero all'uscita del passaggio segreto. Colà però li attendeva una brutta sorpresa.
Il quadro era stato ricollocato a posto ed avendolo il Corsaro percosso colla lama della spada, aveva dato un suono metallico.
«Una parete di ferro anche qui!» mormorò egli. «La faccenda comincia a diventare inquietante.»
Stava per volgersi verso Moko onde dargli il comando di assalire il quadro a colpi di scure, quando udì delle voci.
Alcune persone parlavano dietro il quadro.
«I soldati?» chiese Carmaux. «Per le corna di Belzebù!»
«Taci,» disse il Corsaro.
Due voci si udivano: una pareva d'una giovane donna, l'altra quella d'un uomo.
«Chi sono costoro?» si chiese il Corsaro.
Accostò un orecchio alla parete metallica e si pose in ascolto.
«Ti dico che il padrone ha rinchiuso qui dentro il gentiluomo,» diceva una voce di donna.
«È un gentiluomo terribile, Yara,» rispose la voce dell'uomo. «Esso si chiama il Corsaro Nero.»
«Non lo lasceremo perire.»
«Se noi aprissimo, il padrone sarebbe capace d'ucciderci.»
«Non sai che i soldati sono giunti?»
«So che occupano le viuzze vicine.»
«Lasceremo noi assassinare quel bel gentiluomo?...»
«Vi ho detto che è un filibustiere della Tortue.»
«Io non voglio che muoia, Colima.»
«Quale capriccio!...»
«Yara così vuole.»
«Pensate al padrone.»
«Io non l'ho mai temuto. Obbedisci, Colima.»
«Chi sono costoro?» si chiese il Corsaro che non aveva perduta una sillaba di quella conversazione. «Pare che vi sia qualcuno che s'interessa di me e...»
Non proseguì. La molla esterna era scattata con un stridìo prolungato e la piastra metallica che corazzava il quadro era discesa, lasciando libero il passaggio.
Il Corsaro si era spinto innanzi colla spada tesa, pronto a ferire, ma subito si trattenne facendo un gesto di stupore.
Dinanzi a lui stava una bellissima fanciulla indiana, ed un giovane negro il quale reggeva un pesante candeliere d'argento.
Quella giovanetta poteva avere sedici anni e come si disse era bellissima, quantunque la sua pelle avesse una tinta leggermente ramigna.
La sua corporatura era elegantissima, con una vitina così stretta che due mani sarebbero bastate a stringerla. Aveva due occhi splendidi e neri come carbonchi, ombreggiati da due ciglia foltissime e lunghe; il nasino diritto, quasi greco, le labbra piccine, vermiglie, che mostravano dei denti più brillanti delle perle; dei capelli lunghissimi, neri come le ali dei corvi, gli scendevano, in pittoresco disordine, sulle spalle, formando come un mantello di velluto.
Anche il costume che indossava era graziosissimo. La sua gonnellina di stoffa rossa era ricamata con pagliuzze d'argento e adorna di piccole perle; la sua camicia, assai attillata ed abbellita da pizzi, era pure cosparsa di pagliuzze d'oro e alla cintura aveva una grande sciarpa a smaglianti colori, terminante in una quantità di fiocchetti di seta. I suoi piedi, piccoli forse come quelli delle cinesi, sparivano entro delle graziose babbucce di pelle gialla pure ricamate in oro, e agli orecchi portava due grandi anelli di metallo ed al collo numerosi monili di grande valore.
Il suo compagno invece, un negro di diciotto o vent'anni, aveva le labbra molto tumide, gli occhi grandissimi che parevano di porcellana e una capigliatura assai cresputa.
Con una mano reggeva il candeliere, coll'altra invece impugnava una specie di coltellaccio ricurvo, arma usata dai piantatori.
Vedendo il Corsaro in quell'attitudine minacciosa, la giovane indiana aveva fatto due passi indietro, mandando un grido di sorpresa ed insieme di gioia.
«Il bel gentiluomo!» aveva esclamato.
«Chi siete voi?» chiese il Corsaro balzando a terra.
«Yara,» rispose la giovane indiana con un tono di voce argentino.
«Non ne so più di prima; d'altronde non mi preme avere maggiori spiegazioni. Ditemi invece se la casa è assediata.»
«Sì, signore.»
«E don Pablo de Ribeira, dov'è?»
«Non l'abbiamo più veduto.»
Il Corsaro si volse verso i suoi uomini, dicendo:
«Non abbiamo un istante da perdere. Forse siamo ancora in tempo.»
Senza nemmeno occuparsi del negro e dell'indiana aveva infilato il corridoio per giungere alla scala, quando si sentì prendere dolcemente per la falda dell'abito.
Si volse e vide l'indiana. Il bel volto della giovane tradiva un'angoscia così profonda, che ne fu stupito.
«Che cosa desideri?» le chiese.
«Non voglio che vi uccidano, signore,» rispose Yara con voce tremante.
«Cosa importa a te?» chiese il Corsaro, con accento meno duro.
«Gli uomini che sono in agguato nelle vie vicine, non vi risparmierebbero.»
«E nemmeno noi risparmieremo loro.»
«Sono molti, mio signore.»
«Pure bisogna che esca da qui. La mia nave m'aspetta alla bocca del porto.»
«Invece di andare incontro a quei soldati, fuggite.»
«Sarei ben lieto di poter andarmene senza impegnare battaglia, ma vedo che non vi è che questa scala. Il sotterraneo è stato chiuso da don Pablo.»
«Vi è un solaio; potete nascondervi.»
«Io, il Corsaro Nero!... Oh!... Mai, mia fanciulla. Tuttavia grazie del tuo consiglio; ti sarò sempre riconoscente. Ti chiami?»
«Yara, vi ho detto.»
«Non scorderò questo nome.»
Le fece un gesto d'addio e scese le scale preceduto da Moko e seguito da Carmaux e da Wan Stiller.
Giunti nel corridoio, si arrestarono un momento per armare i moschetti e le pistole, poi Moko aprì risolutamente la porta.
«Che Dio vi protegga, mio signore!» gridò Yara che si era fermata sul pianerottolo.
«Grazie, buona fanciulla,» rispose il Corsaro, slanciandosi nella via.
«Adagio, capitano,» disse Carmaux, arrestandolo. «Vedo delle ombre presso l'angolo di quella casa.»
Il Corsaro si era fermato. L'oscurità era tale da non potersi distinguere una persona alla distanza di trenta passi e per di più pioveva a dirotto. I lampi erano cessati, non così il ventaccio, il quale continuava a ululare entro le strette viuzze e sugli abbaini. Tuttavia il Corsaro aveva scorte le ombre indicate da Carmaux. Era impossibile sapere quante fossero, poche però non dovevano essere.
«Ci aspettano,» mormorò il Corsaro. «Il gobbo non ha perduto il suo tempo. Uomini del mare!... Noi daremo battaglia!»
Si era gettato il grande mantello sul braccio sinistro e colla destra impugnava la spada, un'arma terribile in mano sua. Non volendo tuttavia affrontare subito il nemico, ignorando ancora con quante persone doveva misurarsi, invece di muovere verso quelle ombre che stavano in agguato, si tenne contro il muro.
Aveva percorso dieci passi, quando si vide piombare addosso due uomini armati di spada e pistola. Si erano tenuti nascosti sotto un portone e vedendo apparire il formidabile Corsaro, si erano scagliati decisamente contro di lui, colla speranza forse di sorprenderlo.
Il cavaliere non era però uomo da lasciarsi cogliere all'improvviso. Con un balzo da tigre evitò le due stoccate, poi a sua volta caricò facendo fischiare la sua lama.
«A voi, prendete!» gridò.
Con un colpo ben aggiustato mandò uno dei due assalitori a terra, poi saltando via il ferito, si precipitò addosso al secondo. Questi, vedendosi solo, volse le spalle e fuggì a rompicollo.
Mentre il Corsaro si sbarazzava di quei due, Carmaux, Wan Stiller e Moko si erano scagliati contro un gruppo di persone, che era sbucato da una viuzza vicina.
«Lasciateli andare!» gridò il Corsaro.
Era troppo tardi per trattenere lo slancio dei filibustieri. Resi furiosi dall'imminenza del pericolo, erano piombati addosso ai nemici con tale impeto, da sgominarli con pochi colpi di spada.
Invece di fermarsi, si erano slanciati dietro ai fuggiaschi urlando a squarciagola:
«Ammazza!... Ammazza!»
In quel momento un drappello sbucava da un'altra viuzza. Era composto di cinque uomini, tre armati di spada e due di moschetto.
Vedendo il Corsaro Nero solo, mandarono un urlo di gioia e gli si avventarono contro, gridando: «Arrenditi o sei morto!»
Il signor di Ventimiglia si guardò intorno e non potè trattenere una sorda imprecazione.
Si appoggiò al muro per non venire circondato e impugnò una delle due pistole che portava alla cintura, gridando con quanta voce aveva:
«A me, filibustieri!»
La sua voce fu soffocata da uno sparo. Uno dei cinque uomini aveva fatto fuoco, mentre gli altri sguainavano le spade. La palla si schiacciò contro il muro, a pochi pollici dalla testa del cavaliere.
Questi puntò la pistola e fece fuoco a sua volta. Uno dei due moschettieri, colpito in pieno petto, cadde fulminato, senza mandare un grido.
Ripose l'arma scarica ed impugnò la seconda, ma la polvere non s'accese.
«Maledizione!» esclamò.
«Arrendetevi!» gridarono i quattro spagnuoli.
«Eccovi la risposta!» urlò il Corsaro.
Si staccò dal muro e con un salto fulmineo piombò addosso a loro, menando stoccate a destra ed a manca.
Il secondo moschettiere cadde. Gli altri però si gettarono dinanzi al Corsaro chiudendogli nuovamente il passo.
«A me filibustieri!» gridò ancora il cavaliere.
Gli risposero invece alcuni spari. Pareva che all'estremità della viuzza i suoi uomini avessero impegnato un disperato combattimento, poichè si udivano urla, bestemmie, gemiti e uno scrosciare di ferri. Potendo venire circondato, si mise a retrocedere a passi lesti, per appoggiarsi nuovamente al muro. I tre spadaccini lo incalzavano vivamente vibrandogli stoccate su stoccate, premurosi di finirla prima del ritorno dei filibustieri.
Dopo quindici passi, il cavaliere sentì dietro di sè un ostacolo. Allungando la sinistra si accorse di trovarsi dinanzi ad una porta.
In quel momento udì in alto un grido di donna.
«Colima!... Lo uccidono!...»
«La fanciulla indiana!» esclamò il Corsaro, continuando a difendersi. «Benissimo! Posso sperare in qualche aiuto!»
Abilissimo spadaccino, parava le botte con prontezza fulminea, e ne vibrava altrettante. Tuttavia aveva molto da fare a far fronte a quelle tre spade che cercavano di giungergli al cuore, anzi due puntate lo avevano già raggiunto stracciandogli il giustacuore e toccandogli le carni.
Ad un tratto ricevette una stoccata sotto il fianco destro, in direzione del cuore. La parò in parte col braccio sinistro, ma non potè impedire alla lama di penetrargli nelle carni.
«Ah!... Cane!...» urlò scartando bruscamente a sinistra.
Prima che il suo feritore avesse potuto liberare la punta della spada imbrogliatasi fra le pieghe del mantello, vibrò un colpo disperato. La lama colpì l'avversario in mezzo alla gola, troncandogli la carotide.
«E tre!» gridò il Corsaro, parando una nuova stoccata.
«Prendi allora questa!» disse uno dei due spadaccini.
Il Corsaro aveva fatto un salto indietro mandando un grido di dolore.
«Toccato,» disse.
«Addosso, Juan!» gridò il feritore, volgendosi verso il compagno. «Una nuova stoccata e lo finiremo!»
«Non ancora!» urlò il Corsaro, scagliandosi impetuosamente sui due assalitori. «Prendete queste.»
Con due terribili stoccate rovesciò, un dietro l'altro, i due spadaccini, ma quasi subito si sentì mancare le forze mentre dinanzi agli occhi gli si stendeva come un velo sanguigno.
«Carmaux!... Wan Stiller!... Aiuto!...» mormorò con voce semispenta.
Si portò una mano al petto e la ritrasse bagnata di sangue.
Retrocesse fino alla porta contro la quale si appoggiò. La testa gli girava e sentiva negli orecchi un sordo ronzìo.
«Carmaux!...» mormorò un'ultima volta.
Gli parve di udire dei passi precipitati, poi le voci dei suoi fedeli corsari, quindi una porta aprirsi. Vide confusamente un'ombra dinanzi a sè e gli parve che due braccia lo stringessero, poi non seppe più nulla.
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Quando tornò in sè, non si trovava più nella strada ove aveva sostenuto quel sanguinosissimo combattimento. Era invece adagiato su di un comodo letto, adorno di cortine di seta azzurra, frangiate in oro, con dei guanciali candidissimi abbelliti da trine di valore.
Un visino grazioso stava curvo su di lui, spiando ansiosamente i suoi più piccoli movimenti. Lo riconobbe subito.
«Yara!» disse.
La giovane indiana si era alzata precipitosamente. I grandi, e dolci occhi di quella creatura erano ancora umidi come se avessero pianto.
«Cosa fai qui, fanciulla?» le chiese il Corsaro. «Chi mi ha portato in questa stanza? Ed i miei uomini dove sono?»
«Non muovetevi, signore,» disse la giovane.
«Dimmi dove sono i miei uomini,» ripetè il Corsaro. «Odo un fragor d'armi giù nella via.»
«I vostri uomini sono qui, ma...»
«Continua,» disse il Corsaro vedendola esitante.
«Guardano la scala, signore.»
«Perchè?»
«Avete dimenticato gli spagnuoli?»
«Ah!... Stordito!... Sono qui gli spagnuoli?»
«Hanno circondato la casa, signore,» rispose la giovane con voce angosciata.
«Mille tuoni!... Ed io sono a letto!»
Il Corsaro fece atto di gettarsi giù; un dolore acuto lo trattenne.
«Sono ferito,» esclamò. «Ah!... Ora mi ricordo tutto!»
Solo in quel momento si accorse di avere il petto fasciato da un lino candidissimo e d'aver le mani lorde di sangue.
Non ostante il suo coraggio, impallidì.
«Sarei forse impossibilitato a difendermi?» si chiese con ansietà. «Io ferito e gli spagnuoli che ci assediano e che forse minacciano anche la mia Folgore! Yara, fanciulla mia, cos'è accaduto dopo che io smarrii i sensi?»
«Vi ho fatto portare qui dai due paggi del mio padrone e da Colima,» rispose la giovane indiana. «Io avevo supplicato il negro di accorrere in vostro aiuto, ma egli non aveva osato uscire finchè vi erano degli spagnuoli sulla via.»
«Chi mi ha fasciato?»
«Io ed uno dei vostri uomini.»
«Sono tornati tutti?»
«Sì, signore. Uno di loro aveva numerose scalfitture ed anche il negro perdeva sangue da un braccio.»
«E perchè non sono qui?»
«I due bianchi vegliano sulla scala, il negro si è posto a guardia del passaggio segreto.»
«Vi son molti nemici nei dintorni?»
«Lo ignoro, mio signore. Colima ed i due valletti sono fuggiti prima che i soldati giungessero ed io non ho lasciato un solo istante il vostro letto.»
«Grazie della tua affezione e delle tue cure, mia brava fanciulla,» disse il Corsaro, posando una mano sul capo della giovane indiana. «Il Corsaro Nero non ti scorderà.»
«Allora mi vendicherà!» esclamò l'indiana mentre un cupo lampo balenava nei suoi grandi occhi neri.
«Cosa vuoi dire?»
In quell'istante si udì al di fuori rimbombare un colpo di moschetto, poi la voce di Carmaux a tuonare:
«Badate!... Vi è una bomba dietro alla porta!...»
Il Corsaro Nero vedendo la sua spada appoggiata ad una sedia vicina, l'afferrò e fece nuovamente atto di gettarsi giù. La giovane indiana lo trattenne, cingendolo con ambe le braccia.
«No, mio signore,» gridò ella, «vi ucciderete!...»
«Lasciami andare!»
«No, capitano, voi non lascerete il letto,» disse Carmaux entrando. «Gli spagnuoli non ci tengono ancora.»
«Ah! Sei tu, mio bravo?» disse il Corsaro. «Siete tutti valorosi, lo so, eppure troppo pochi per difendervi da un assalto generale. Non voglio mancare al momento opportuno.»
«E le vostre ferite?»
«Mi sembra di potermi ancora reggere, Carmaux. Le hai esaminate?»
«Sì, capitano. V'hanno dato una stoccata superba un po' sotto al cuore. Se la lama non avesse incontrata una costola vi avrebbe attraversato il corpo.»
«Non è grave però.»
«Questo è vero, signore,» rispose Carmaux. «Io credo che in una dozzina di giorni potrete ricominciare a dare stoccate.»
«Dodici giorni! Sei pazzo, Carmaux?»
«Vi sono due buche da turare. Un po' più sotto vi hanno fatto un secondo occhiello, molto meno profondo del primo forse, però più doloroso. Quelle due stoccate le avete pagate con usura perchè ho veduto giù, presso il portone, tre morti e due feriti.»
«E voi ne avete date?» chiese il Corsaro.
«Abbiamo gettato a terra una mezza dozzina d'uomini, non ricevendo in cambio che poche graffiature. Noi eravamo convinti che voi ci aveste seguiti, per ciò avevamo continuata la carica per sbarazzarvi la via. Quando ci accorgemmo che voi invece eravate rimasto indietro, cercammo di tornare sui nostri passi. Gli spagnuoli, che avevano fatto il loro piano per isolarvi, ci diedero addosso per impedirci di accorrere in vostro aiuto.»
«Come avete saputo che io mi trovavo qui?»
«Fu questa brava fanciulla ad avvertirci.»
«Ed ora?»
«Siamo assediati, capitano.»
«Sono molti i nemici?»
«L'oscurità non mi ha permesso ancora di valutare il loro numero,» disse Carmaux. «Sono convinto che siano in molti.»
«Sicchè la nostra situazione è grave.»
«Non lo nego, tanto più che dobbiamo difenderci anche entro la casa. Gli spagnuoli possono entrare servendosi del passaggio segreto.»
«Il pericolo maggiore sta precisamente in quel passaggio,» disse la giovane indiana. «Don Pablo ha la chiave della porta di ferro.»
«Mille balene!» esclamò Carmaux. «Se i nemici ci assalgono d'ambo le parti non so se potremo resistere a lungo.»
«Ci basterebbe però poter resistere otto o dieci ore. Il signor Morgan, non vedendoci tornare a bordo, s'immaginerà che qualche cosa di grave è avvenuto e manderà a terra un forte drappello per venirci a cercare.»
«Potrete resistere fino all'alba? Gli spagnuoli possono scalare le finestre e forzare contemporaneamente il passaggio segreto.»
«Signore,» disse la giovane indiana che non aveva perduta una sola sillaba di quella conversazione. «Vi è un luogo dove potreste resistere a lungo.»
«Qualche cantina?» chiese Carmaux.
«No, nella torricella.»
«Mille balene! Vi è una torricella in questa casa? Allora noi siamo salvi! Se è molto alta noi potremo fare dei segnali all'equipaggio della Folgore.»