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II. Commemorazioni - Innanzi al feretro di Francesco de Luca

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INNANZI AL FERETRO DI FRANCESCO DE LUCA


Ecco, tu hai intorno a te a dirti l’estremo vale i tuoi fratelli e gli amici del cuore, e non quelli della ventura. Una trista consolazione è pure la nostra, che presso a quel cadavere non c’è nessun occhio ipocrita che lo profani. Tu hai intorno quelli soli che avresti voluto, e che amavano e stimavano te, e si sentivano da te stimati e amati.

Voi l’avete visto, lá nella Camera dei Deputati, sempre al suo posto, non trescare, non dimenarsi, non sollecitare sorrisi, non cercare influenza. Modesto, operoso, di umore sempre uguale, come di uomo superiore ai timori e alle speranze, piú s’impiccoliva lui, e piú ingrandiva nella stima dei suoi colleghi; meno egli andava agli altri, e piú gli altri andavano a lui. E meritò che un bel giorno un centinaio di deputati lo eleggessero loro capo, come sentissero che avrebbero in lui trovata non altra volontá che quella di tutti, non guasta dall’orgoglio, non attraversata da fini e vanitá personali. E rimase semplice di modi e naturale, amico tra amici, di una sinceritá uguale alla sua devozione, ispirando tale fiducia, che in tutto quel tempo non ci fu segno di tiepidezza o di discordia, ci sentivamo tutti una sola famiglia.

Quando gli parlavi, diceva quello solo che era richiesto, e non metteva studio a gonfiarsi, a dare di sé una straordinaria opinione. Sentendolo discorrere cosí alla buona, ti veniva di lui un concetto ben meschino. Era uno di quegli uomini che guadagnano ad essere avvicinati e studiati. Il tempo, che punisce le mediocritá e le vanitá, ingrandiva lui, scopriva piú [p. 245 modifica]quell’ingegno semplice, come il suo carattere, dove con rara mescolanza si trovava insieme limpidezza ed acutezza. Ingegno nutrito da una varietá di conoscenze, che nessuno mai avrebbe sospettata in lui, cosí parlava modesto. Catanzaro lo vide a venti anni dettare scienze fisiche e matematiche a numerosa gioventú, primo esempio colá d’insegnamento privato. Piú tardi sorgeva principe tra quegli avvocati, e cresceva la sua fama in Napoli, dove sali ai primi gradi nella pubblica opinione, in un fòro giá celebre per antiche e per nuove illustrazioni. Giureconsulto distinto, versatissimo nelle cose commerciali e finanziarie, scriveva corretto e rapido, senza fronzoli, tutto cose.

Con questo ingegno, con questi studii venne alla Camera, e parlava colá in pubblico con quel tono sicuro, andante e familiare che aveva in privato, semplice e serrato, tutto nel suo argomento, intento piú a dir giusto e vero, che a fare effetto. Non ricordo mai che abbia parlato della sua persona, dei suoi meriti politici, del suo patriottismo, della sua prigionia, delle patite persecuzioni e diffidenze borboniche. Sapeva che il patriottismo è un puro atto di dovere, e cessa di essere un merito quando se ne mena vanto e se ne fa un titolo a ricchezze, a onori, a preminenze. Io stesso, che pure era in tanta dimestichezza con lui e con la sua famiglia, ignorava quanto quest’uomo ha amato il suo paese e quanto per il suo paese ha sofferto. Io l’ho trovato sempre sobrio intorno agli altri, e chiuso intorno a sé. Sembrava quasi che la sua mano sinistra ignorasse quegli atti di caritá e di beneficenza di cui era ministra la destra. Né io sapeva, e non sapeva nessuno, che fattosi con l’avvocheria un lauto patrimonio, lo ha lasciato diminuito e indebitato, aiutando tutte le miserie, senza riguardo di partiti. La sua casa era un asilo a tutte le sventure. I liberali vi trovavano simpatia e protezione, e anche gli avversari non domandavano invano. Modesto e quasi stretto con sé, largo con gli altri. Spesso aveva ospiti. Io stesso sono stato piú volte ospite suo. Tanto stimato era lui, e la sua casa tenuta un cosí sicuro asilo, che Missori, Miceli e Nicotera dopo Aspromonte non cercarono rifugio che presso di lui e in casa sua. Quest’uomo a cui l’ospite [p. 246 modifica]era sacro, doveva sentire piú vivamente l’ingratitudine quando per avventura l’ospite ti si rivolti contro e ti oltraggi.

Comandava e non faceva sentire il comando. E ottenne di tenere stretti intorno a sé tutt’i suoi fratelli, cosa rara, e fare una casa e una famiglia, di tutti quasi una sola persona, guidata da un’anima sola senza che egli pur ci pensasse, e senza che essi pur se ne avvedessero: naturale superioritá in lui, buona natura in quelli.

Eletto deputato, sentí tutta la serietá e la santitá di quell’ufficio, stette fermo non solo a rifiutare ogni altro ufficio elettivo, ma a smettere anche la professione, quando la sua posizione e la sua fama gli prometteva ancora lauti guadagni. Pose stanza nella capitale, e fu tra’ piú assidui e operosi, consumando il patrimonio e l’ingegno in servizio del suo paese. Piú intento a meritare che ad ottenere, ebbe i piú elevati uffici dalla stima dei suoi colleghi, ed una volta fu Vicepresidente della Camera, e fu sempre Commissario del bilancio, e piú volte Presidente e Vicepresidente. Portava in quest’ufficio un corredo di cognizioni ed una esperienza che gli davano autoritá anche presso gli avversarii, e piú volte vide da quelli tradurre in atto le sue idee e le sue proposte. Facile con le persone e rispettoso, era inflessibile quanto alle cose, tenace soprattutto nell’opposizione al cattivo governo e alla cattiva amministrazione. Occupata Roma, assicurata l’unitá nazionale, gli parve giunto il momento di provvedere all’assetto interno del paese, e levò la bandiera della sinistra costituzionale, un fatto notabile, che non sará dimenticato nella storia parlamentare. Persuaso che un programma di governo non dee contenere tutte le idee di un partito, ma quelle solo che sono d’immediata attuazione, conformi ai bisogni e ai desiderii del paese, diede un indirizzo pratico e possibile al partito, volgendolo principalmente a sanare i mali dell’amministrazione, oramai a tutti noti, da tutti confessati. Sperava avere in questo concordi amici ed avversarii, e non riuscí per soverchia rigiditá nei principii e per l’inflessibilitá del suo carattere, mirando diritto e sdegnoso delle linee curve. Andare al potere sacrificando pure una briciola delle sue [p. 247 modifica]convinzioni, gli parve una ignominia. La storia potrá biasimarlo, se è vero che la politica in certi limiti vive di transazioni; ma in questo tempo di facili ambizioni e di facili coscienze quest’uomo è degno di ammirazione.

Dura è la vita nelle lotte politiche, e raro è che vi si serbi serenitá, poco rispettando e poco rispettati. A Francesco de Luca incontrò questa rara ventura che seppe sempre mantenere la sua calma, e rispettando tutti potè far vergognare chi poco rispettasse lui. Non ricordo mai che gli uscisse detta cosa alcuna, che sonasse ingrata a chicchessia, intento alle cose e non alle persone, e la stessa opposizione alle cose era fatta con tale temperanza che, mentre se ne accresceva l’effetto, gli conciliava rispetto e benevolenza. Cosi il suo nome presso l’universale rimase riverito, e nell’ardore piú vivo della lotta gli attacchi furono temperanti e non incontrarono mai altro ne’ piú che sorrisi d’incredulitá e alzate di spalle. Quanto a lui, non se ne commoveva, e non rispose mai stimando con ragione che rispondeva per lui tutta la vita.

Gran Maestro per piú anni della Massoneria, tenne l’alto ufficio con prudenza e con affetto, e chi sa a quali termini oggi è ridotto tra noi questo istituto mondiale di beneficenza, può misurare l’abilitá e il senno di colui, che lo tenne cosí prospero e cosí operoso.

E ora addio, Francesco de Luca! i tuoi fratelli, i tuoi amici ti dicono addio. Quindici anni di lotte politiche sono passati sopra il tuo capo innocui, e lasciano il tuo nome intatto e riverita la tua memoria. Ritorna in quella patria che hai onorato, in quelle provincie che hai illustrato. I tuoi calabresi ti faranno un’accoglienza degna di te. E diranno: Francesco de Luca fu nostra gloria e nostro orgoglio. Onoriamo Francesco de Luca.

E noi, amici miei, partiamo di qua soddisfatti di aver resa Quest’ultima testimonianza di affetto al nostro amico, felici se innanzi alla nostra tomba meriteremo pari sinceritá di compianto.