La poesia cavalleresca e scritti vari/Nota/Frammenti letterari
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FRAMMENTI LETTERARI
I. Il punto di partenza per una storia della letteratura italiana. Gli antichi rimatori siciliani. Lettera a Camillo de Meis. — Seguiamo il testo dato dal Croce, quando pubblicò per la prima volta il frammento negli «Atti dell’Accademia Pontaniana», vol. 44, i9i4, pp. i8 e sgg. Insieme a questo frammento il Croce pubblicò nel luogo indicato anche la Prolusione a un corso su Dante, data da noi qui di seguito, col titolo complessivo Il punto di partenza per una storia della letteratura italiana (titolo che sembra, come gli altri, dato dal Croce), e con queste avvertenze:
Questi scritti sono altresí del tempo del suo soggiorno in Zurigo; e il primo, che è il principio di un articolo, rimasto poi interrotto, in forma di lettera al De Meis, è stato da me ritrovato tra le carte del De Sanctis, comunicatemi dalla nipote di lui signorina Agnese, e il secondo mi è stato favorito dall’amico prof. Laurini, che lo ha ricavato da alcuni appunti da lui esaminati. Credo che siano dello stesso anno, e poiché il corso su Dante al quale il secondo formò breve prolusione, fu cominciato nella primavera del i856, in quell’anno dovette essere composto anche l’altro.
Riportiamo qui sotto, sempre dal Croce, i brani cancellati dal De Sanctis: p. i80 r. 2, dopo «Leibnizio» le parole «Chi mi dará la sicurezza dei miei sedici anni?»; ivi r. 8, dopo «protender le braccia», «come se volessimo scaricare un pugno»; ivi r. 25, dopo «le ire?», «Come il mio occhio corre volentieri verso il passato! quanto mi è dolce il contemplare me stesso in quel primo fiore di giovanezza! La vita giá comincia ad esser per me una rimembranza. non credea si presto!»; p. i82 r. 2, dopo «possono cavare.» questo capoverso: «Ecco un gran numero di trovatori, che fanno corona a Federico II. Abbiamo qui un primo centro letterario. Né questa vita nuova procede dagli uomini dotti, che scrivevano in latino e non si degnavano di parlare in volgare, nella lingua del volgo. I primi rimatori sono uomini rozzi, che non guardano alla posteritá, che vogliono divertirsi, isfogarsi, poetando, sonando, cantando: ecco tutta la loro ambizione.»
Prolusione a un corso su Dante. — Anche qui seguiamo il testo del Croce, nella pubblicazione di cui si è parlato al numero precedente. Di questo scritto però ci è stata fornita dal prof. Michele Manfredi una minuta, o abbozzo, autografo (Ms) che, per i primi due capoversi, corrisponde al testo Croce, con queste varianti: p. i85 r. pen. «Onde cominceremo noi? Gli scrittori di simil genere, spingendo l’occhio», Ms «Onde cominceremo questa storia della letteratura italiana? Gli scrittori allungando l’occhio»; p. i86 r. 5 «Non disprezzo questi lavori», Ms «Non vi disprezzo questi lavori»; ivi rr. 6-i0 «anzi ammiro l’ardire... fuori del mio disegno», Ms «ammiro l’ardire e l’erudizione di uomini, che suppliscono al difetto di dati sufficienti lavorano [sic] con la fantasia, ma essi escono fuori dal mio disegno». Nel Ms comunicatoci dal Manfredi, di seguito alle parole «mio disegno» della nostra p. i86 r. i0, ci sono questi altri periodi soltanto: «Io voglio presentarvi la letteratura italiana nel punto ch’ella è una letteratura, cioè quando la lingua ed il pensiero acquistano una forma fissa; nel secolo XIV. Fu allora che la lingua si sciolse dal latinismo, dal provenzalismo e dal municipalismo, tre elementi che innanzi noi vediamo starsi l’uno accanto all’altro crudi, grezzi, tanto che nella stessa strofe in istato di [segue una parola abbreviata indecifrabile] e di opposizione trovi eo, meo, e dottare e dolzore e foraggio, pigliao, amao, etc., e che ora si cominciano a trasformare a fondere si che la lingua acquista una forma sua propria. — Cino da Pistoia — Le desinenze si fissano, la sintassi diviene piú regolare, le particelle piú precise, i suoni piú musicali. Questo stesso progresso troviamo nelle idee. Negli antichi rimatori l’amore o cade in un sensualismo plebeo, come in Ciullo D’Alcamo; o in un cavalleresco astratto. E dico astratto, perché questo elemento cavalleresco il poeta non lo trova nella sua anima, né nella sua natura, ma lo toglie ad imprestito da’ provenzali, ed è piú un affare di moda che di sentimento. Quindi queste rime constano di pensieri scuciti senza insieme, che [segue un rigo indecifrabile]. La poesia ha una doppia base, l’analisi e la metafisica de’ sentimenti, e l’astrazione e l’allegoria. Sviluppo.»
2. Il «Savonarola» di Pasquale Villari. — Pubblicato per la prima volta dal Croce, in «La critica», i9i4, pp. 36i e sgg. Dal manoscritto autografo esistente alla Nazionale di Napoli (XVI. C. 36), sul quale ci siamo fondati per il testo, oltre alle correzioni al testo del Croce, che qui è inutile indicare, abbiamo ricavato alcune frasi, cancellate, che qui riportiamo: p. i89 r. i2, dopo le parole «usciti in Italia.» nel Ms c’è cancellato «A fare un lavoro serio è mestiere [prima stava scritto «seriamente richiede»] che innanzi tutto si conosca, quello che è stato fatto prima, e se è stato ben fatto e cosa resta a fare»; p. i90, di seguito all’ultimo rigo, Ms ha questo brano «Fare una storia di Savonarola è lo stesso che dire: non c’è finora una storia che sia... molto s’è fatto e bene: ciò che rimane a fare». P. i9i r. 20, prima di «problema fondamentale», Ms, ha queste parole «ti dá ciascuna volta che un autore ci mette la mano un nuovo problema a risolvere».
3. Pietro Metastasio. — Apparso nella «Nuova Antologia», agosto i87i, pp. 807-825; il Croce poi ne ripubblicò (in «La critica», i9i2, pp. i47-i5i) i brani non riprodotti dal De Sanctis nella Storia della letteratura italiana, avvertendo però che anche negli altri ci sono differenze. Per questo motivo noi abbiamo creduto bene di riportare integralmente il testo della «Nuova antologia».
4. Giovanni Prati. — Seguiamo il testo apparso nel giornale Roma (quotidiano) di Napoli, il 2 luglio i877. Lo scritto fu poi ripubblicato dal Croce «La critica», i937, pp. 3i5 e sgg.), ma completamente rielaborato nella forma. Nel giornale citato lo scritto è preceduto da notizie sul numero dei soci del Circolo Filologico, e da queste altre parole del De Sanctis:
Io debbo le mie lodi a questi gloriosi superstiti, a’ quali prometto che saranno qualcosa in questo mondo: la grandezza nell’uomo non è nel dire io penso, ma è nel dire io voglio. Abbiamo realizzato un altro pensiero: i corsi femminili, che da tutti erano creduti impossibili. Il complemento naturale sarebbe di instituire delle conversazioni, che per ora si rendono impossibili, non tutti potendo ancora parlare le lingue che studiano. Abbiamo per altro introdotto quest’anno le letture e conversazioni serali, fra le quali non vanno dimenticate quelle tenute per festeggiare Maffei e Zanella. Nell’onorarli non abbiamo domandato se erano napoletani, ed abbiamo mostrato ancora una volta quanto forti sieno i legami che ci uniscono all’Italia superiore, donde partiano i primi splendori dell’incivilimento italiano. Abbiamo cercato pure d’introdurre le conferenze, che sono i piaceri morali che noi possiamo offrire a’ soci. Son riuscite belle per le elette intelligenze che vi hanno preso parte, per cui ricordiamo con sentimento di gratitudine i nomi di Persico, Palmieri, Kerbaker, Bertolini, Tommasi, e quel cosí simpatico, cosí incredibilmente scomparso, Panceri. Noi dovremmo offrire a questi uomini non una retribuzione (che non ve n’ha una pari al merito loro) ma un segno della nostra gratitudine. Segno della civiltá è il culto del lavoro, non quello gratuito, che offende chi lo chiede e chi lo fa, ma quello retribuito, per cui si distingue l’uomo operoso dal ciarlatano, dall’ozioso, che son degni di esser messi fuori dalla societá. Io debbo lá mia vita nella Svizzera alle conferenze retribuite, e molti emigrati vissero con esse vita modesta senza bisogno di stendere la mano a comitati o a governi (applausi). [Il professore si estende alquanto sulla situazione del bilancio, che egli dice soddisfacente ma insufficiente. Espone molti bisogni del circolo, e conchiude che essi si potrebbero soddisfare se si avessero 500 soci e 400 socie.] Anche io dovrei offrirvi qualche cadeau, o meglio un ricordo per la villeggiatura. Essendomi venuta per le mani una bellissima poesia del Prati ve la leggerò accompagnandola con qualche osservazione.
Segue la poesia, «Per la Croce d’Iddio, Brioschi...».