III. Philonides a Klinios

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II IV


Oh te sfortunato, amicissimo mio, se in questa torrida estate ti abbruci i piedi sulla spiaggia rovente del mare e ti abbacini li occhi al riflesso corrusco delle onde per seguire le rotte ed i giuochi mobili delle tue molte barche da pesca! La ghiaia ti punge d’oltre i sandaletti leggeri; il vento aspro ti schiaffeggia la guancia e te la essicca; il cappelluccio di paglia non basta a ripararti il cranio dalla violenza del sole; e quell’ombra esigua ed azzurra che in fondo alla baja Testa di Cane, sdraja sulla rena è uno schermo misero ed ironico se tu le chiedi qualche ristoro. Vorresti essere, me lo immagino, una di quelle ostriche che aprono le valve a metà sommerse a metà rinsaldate sullo scoglio: il flutto le va carezzando e rinfrescando e, tra un ritmo e l’altro del risucchio, s’intiepidiscono ai raggi umiliati dall’umidore non mai secco.

Ben ti sta, e tu hai quanto ti meriti: forse il mio buon cuore ti soppone maggiori sofferenze di quanto in realtà tu lamenti. Da accorto mercante pescatore alli affari tuoi, e le tue vele rosse e brune ti portano dal fondo ingemmato di Poseidon, troppo cortese con te, tutte le ricchezze che desideri. Non dico poi, che alla sera, dopo il mercato, tu bene impieghi il tuo guadagno, fatica tua e d’altrui: che anzi tra la cala del piccolo porto mercatorio ed il vicoletto oscuro vi si trova una tavernuccia da te conosciuta assai bene e dove ami rimanere fino al canto del gallo.

Quel vecchio unto di Eli-Azar, che sembra stillare olio dai peli, tutto lucido e tutto adipe come un topo estratto testé per la coda da una giarra, ti ha dunque stregato? Bada, egli è tristo e falso da quell’ebreo che è: ti apparecchia festini, ti si professa il tuo abile proxeneta, ti si fa amico perché accorge turgide e sonanti le gemelle borsette che hai appeso alla cintura sottile di rame; ma nello stesso tempo ti buggera e ti avvelena. Com’egli tinge in bruno il claretto della nostra collina e te lo porge come fosse l’anthosima profumato delle vigne di Biblos, ed affattura con miele rancido e foglie di rose un asprigno vinello della costa facendotelo passare per la Kena di Chios, così col tempo vorrà sorprenderti ed ingannarti nel resto della sua merce che ti sollecita di gustare. Mi si dice tra l’altro ch’egli usa in secreto drogare di certo ippomane il sesso delle sue schiavette sì ch’esse divengono furiose e pericolose all’atto: se qualcuno mal consigliato le coglie in quel punto vi è irresistibilmente attratto anche per li altri giorni, e in quell’eccesso baccante senza misura e senza grazia perde salute e tranquillità. Né li arceri del magistrato che dovrebbero impedire questi disordini intervengono. Gli sono anzi amici, gozzovigliano con lui, lo tengono sotto la loro protezione. Io vorrei che si applicassero le leggi di Auson-raibi, re di Babilonia, sulle taverne, le taverniere e l’altra gentaglia. Ma tale è tra noi l’ignoranza che solo la sfacciataggine la sorpassa e nessuno come me si compiace ne’ suoi ozii campestri di decifrare vecchie scritture e vecchie inscrizioni le quali riportando il pensiero delli antichi riportano pure una maggiore verità e giustizia che noi non usiamo or mai più. Ti dico questo perché a punto un persiano di gran fede mi ha ceduto in questi giorni una sua collezione di tegole verdi ed azzurre di Babilonia sulle quali era stato inscritto il codice nuovo di quel potente satrapo. Quanta dottrina, e come conosceva i suoi popoli! Basta, non ti voglio annojare da archeologo per non farti ridere dopo alle mie spalle.

Più tosto non gridarmi in faccia brontolone, né vecchio impotente che si roda per invidia ai tuoi giochi ben riusciti d’amore. Sono, lo sai, ancora giovane, ed a te spensierato, che ha fatto qualche altra e maggiore esperienza, può permettersi un consiglio. Non ho mai compreso come la tua innata e ben educata squisitezza possa intrugliarsi e corrompersi in quella tavernaccia.

Vi staranno, come al solito, navolestri briachi, soldati fanfaroni, dei neri di Libia accoccolati sui talloni a ruminare come giovenche, tutta notte, un loro fascio d’erbe amare: e vi si troverà ancora l’Egizio dalli occhi torti, che quando ti guarda sembra ti voglia ferire colla pupilla sinistra così lucida e così prepotente da uscir quasi dall’orbita per venirti a percuotere sul viso. Dei pezzenti colle spalle al muro, tra il fumo delle lucerne, le grida e li urti ammireranno le tibicine ed i bardassi che giuocolano e ruzzano in mezzo, sopra ai tappeti sfilacciati.

Sorridi, briccone. Quelle tue piccole amiche magre e brune ti vengono avanti alli occhi mentre mi leggi. Ed il minore tra i giuocolieri, il fanciulletto è fors’anche il più petulante. Decisamente tu stai in dubbio quando ti diletti colle une e coll’altre se tu stia spassandotela coll’amico o colle amiche tanto è asprigno e forte il sapore delle loro frutta acerbe.

Ecco perché frequenti l’antro d’Eli-Azar, finché non ti buscherai qualche coltellata alle reni: ecco perché sudi e ti ricuoci di giorno sulla spiaggia, o goloso di feminette e di bamboli, o goloso di lucide monete.

Ma d’altra parte Mammea che sa mettersi a cavalcioni sulle ginocchia di chi la chiama, che si fa volontieri accarezzare e reclina la testa come una colombella sull’omero, ride gorgogliando: il suo corpo fresco e grassoccio posa e tien caldo; dalla tonacella, che non le giunge oltre al basso delle coscie, lascia trasparire i seni tondi e rosati come mele appiuole. Ella sa guardarti come conviene, quando è l’ora e con un suo gesto impreveduto può, abbracciandoti, farti cadere la testa nella valletta delle mammelle perché riposi e vi stia tra un cuscinetto e l’altro.

Oh! vecchia birba di un Klinios; tutto io ti prometto, ma non questo di sciuparmi oltre misura e prima ch’io arrivi in patria, Mammea, sì che tornando da questo luogo di frescura, non possa paventare di gettar l’àncora in un porto sfondato dove il ferro acuto non trovi modo di incanagliarsi bene ed esattamente: sta coi bardassa e le altre, già che hai fatto dell’uno e dell’altro canale un mare aperto e navigabile con assai troppa facilità.

Ora sta bene, ottimo, e ricordati del tuo Philonides che ti vuol bene.