La persuasione e la rettorica (1915)/La persuasione

PARTE PRIMA
DELLA PERSUASIONE

I
LA PERSUASIONE

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PARTE PRIMA
DELLA PERSUASIONE

I
LA PERSUASIONE
Prefazione L'illusione della persuasione


Αἰθέριον μὲν γάρ σφε μένος πόντονδε διώκει,
πόντος δ' ἐς χθονὸς οὖδας ἀπέπτυσε, γαῖα δ' ἐς αὐγὰς
ἠελίου ἀκάμαντος, ὁ δ' αἰθέρος ἔμβαλε δίναις
ἄλλος δ' ἐξ ἄλλου δέχεται, στυγέουσι δὲ πάντες.
(EMPEDOCLE)



So che voglio e non ho cosa io voglia. Un peso pende ad un gancio, e per pender soffre che non può scendere: non può uscire dal gancio, poiché quant’è peso pende e quanto pende dipende.

Lo vogliamo soddisfare: lo liberiamo dalla sua dipendenza; lo lasciamo andare, che sazi la sua fame del più basso, e scenda indipendente fino a che sia contento di scendere. - Ma in nessun punto raggiunto fermarsi lo accontenta e vuol pur scendere, ché il prossimo punto supera in bassezza quello che esso ogni volta tenga. E nessuno dei punti futuri sarà tale da accontentarlo, che necessario sarà alla sua vita, fintanto che lo aspetti (ὄφρα ἂν μένῃ αὐτόν) più basso; ma ogni volta fatto presente, ogni punto gli sarà fatto vuoto d’ogni attrattiva non più essendo più basso; così che in ogni punto esso manca dei punti più bassi e vieppiù questi lo attraggono: sempre lo tiene un’ugual fame del più basso, e infinita gli resta pur sempre la volontà di scendere. –

Che se in un punto gli fosse finita e in un punto potesse possedere l’infinito scendere dell’infinito futuro – in quel punto esso non sarebbe più quello che è: un peso.

La sua vita è questa mancanza della sua vita. Quando esso non mancasse più di niente – ma fosse finito, perfetto: possedesse sé stesso, esso avrebbe finito d’esistere. – Il peso è a sé stesso impedimento a posseder la sua vita e non dipende più da altro che da sé stesso in ciò che non gli è dato di soddisfarsi. Il peso non può mai esser persuaso.


Né alcuna vita è mai sazia di vivere in alcun presente, che tanto è vita, quanto si continua, e si continua nel futuro, quanto manca del vivere. Che se si possedesse ora qui tutta e di niente mancasse, se niente l’aspettasse nel futuro, non si continuerebbe: cesserebbe d’esser vita.

Tante cose ci attirano nel futuro, ma nel presente invano vogliamo possederle.

Io salirò sulla montagna – l’altezza mi chiama, voglio averla – l’ascendo – la domino; ma la montagna come la posseggo? Ben son alto sulla pianura e sul mare; e vedo il largo orizzonte che è della montagna; ma tutto ciò non è mio: non è in me quanto vedo, e per più vedere non mai «ho visto»: la vista non la posseggo. – Il mare brilla lontano; in altro modo esso sarà mio; io scenderò alla costa; io sentirò la sua voce; navigherò sul suo dorso e... sarò contento. Ma ora che sono sul mare, – «l’orecchio non è pieno d’udire» e la nave cavalca sempre nuove onde e «un’ugual sete mi tiene»: se mi tuffo nel mare, se sento l’onde sul mio corpo – ma dove sono io non è il mare; se voglio andare dove è l’acqua e averla – le onde si fendono davanti all’uomo che nuota; se bevo il salso, se esulto come un delfino – se m’annego – ma ancora il mare non lo posseggo: sono solo e diverso in mezzo al mare.

Né se l’uomo cerchi rifugio presso alla persona ch’egli ama – egli potrà saziar la sua fame: non baci, non amplessi o quante altre dimostrazioni l’amore inventi li potranno compenetrare l’uno dell’altro: ma saranno sempre due, e ognuno solo è diverso di fronte all’altro. –

Gli uomini lamentano questa loro solitudine, ma se essa è loro lamentevole – è perché, essendo con se stessi, si sentono soli: si sentono con nessuno e mancano di tutto.

Colui che è per sé stesso (μένει) non ha bisogno d’altra cosa che sia per lui (μένοι αὐτόν) nel futuro, ma possiede tutto in sé.

«Non avrà loco fu sarà né era
ma è solo, in presente e ora e oggi
e sola eternità raccolta e 'ntera».1


Ma l’uomo vuole dalle altre cose nel tempo futuro quello che in sé gli manca: il possesso di sé stesso: ma quanto vuole e tanto occupato dal futuro sfugge a sé stesso in ogni presente.

Così si muove a differenza delle cose diverse da lui, diverso egli stesso da sé stesso: continuando nel tempo. Ciò ch’ei vuole è dato in lui, e volendo la vita s’allontana da sé stesso: egli non sa ciò che vuole. Il suo fine non è il suo fine, egli non sa ciò che fa perché lo faccia: il suo agire è un esser passivo: poiché egli non ha sé stesso: finché vive in lui irriducibile, oscura la fame della vita. La persuasione non vive in chi non vive solo di sé stesso: ma figlio e padre, e schiavo e signore di ciò che è attorno a lui, di ciò ch’era prima, di ciò che deve venir dopo: cosa fra le cose.

Perciò è solo ognuno e diverso fra gli altri, ché la sua voce non è la sua voce ed egli non la conosce e non può comunicarla agli altri. «I discorsi si stancano» (Ecclesiaste). Ma ognuno gira intorno al suo pernio, che non è suo, ed il pane che non ha non può dare agli altri.

Chi non ha la persuasione non può comunicarla (μήτι δύναται τυφλὸς τυφλὸν ὁδηγεῖν) (S. Luca).

Persuaso è chi ha in sé la sua vita: l’anima ignuda nelle isole dei beati (ἡ γυμνὴ ψυχὴ ἐν τοῖς τῶν μακάρων νήσοις) (Gorgia).

Ma gli uomini cercano τὴν ψυχὴν e perdono τὴν ψυχήν. – (S. Matteo).

Note

  1. E Parmenide:
    οὔ ποτ' ἔην οὐδ' ἔσται, ἐπεὶ νῦν ἔστιν ὁμοῦ πᾶν, ἓν ξυνεχές. –