Giuseppe Gioachino Belli

1837 Indice:Sonetti romaneschi V.djvu sonetti letteratura La pavura Intestazione 9 maggio 2024 75% Da definire

L'erede El cappellaro
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1837

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LA PAVURA.

     S’abbuscò una pavura, una pavura,
Che vvenne a ccasa com’ un spiritato.
Pareva, a vvédelo, un panno lavato,
Un morto esscito da la sepportura.

     Io fesce1 quann’entrò: “Cche ccos’è stato?
Che vv’è ssuccesso, sor Bonaventura?
Nun è ggnente:2 mannàteve3 addrittura
Sto vino ggiù ccór carbone smorzato.„4

     Ve sce fòssivo trova,5 sor’Irene!
Sudava freddo: nun j’era arimasta
’Na gócciola de sangue in ne le vene.

     Eh? un omo accusì ttenero de pasta
Sentì6 strilli e rrumori de catene!...
Eppoi disce uno er zangue je se guasta!7

4 marzo 1837.

Note

  1. Feci, per “dissi.„
  2. Niente.
  3. Mandatevi.
  4. [Usano infatti dare a bere agli spaventati del vino in cui prima spengono (smorzano) un carbone acceso.
  5. [Se] vi ci foste trovata.
  6. Sentire.
  7. [E poi dice, dicono, si maravigliano, che a uno il sangue gli si guasta! Come potrebbe essere altrimenti?]