Giovanni Prati

Olindo Malagodi 1847 Indice:Prati, Giovanni – Poesie varie, Vol. I, 1916 – BEIC 1901289.djvu sonetti La paura Intestazione 23 luglio 2020 25% Da definire

In morte della fanciullina Lidia Vaglienti La neve di Natale
Questo testo fa parte della raccolta VIII. Da 'Storia e fantasia'
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V

LA PAURA



     Quando, al notturno lume,
sovra le insonni piume,
chiede bramoso il pargolo
fole e poi fole ancor,
               5la improvida nutrice
i suoi racconti dice
di larve e di fantasime,
di maghi e incantator.


     E denso al poveretto
10sorge il respir dal petto,
la pallida paura
gli bagna il volto e il crin,
               e, sotto alla pressura
di quelle tetre imagini,
15cala sull’ansie pálpebre
il sonno al fantolin.

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     Ma in quella torva pace
la fantasia non tace.
Ei sogna; e sulla cóltrice
20si sente camminar
               l’ombre de’ morti, e vede
cappe, ferètri e tede;
e qui un castel, lá un’orrida
selva al dormente appar.


     25Poi le vedute forme
cangian movenze e norme:
stridere il gufo ascolta,
del malaugurio re;
               vede le streghe in vòlta,
30e al lume delle lampade,
chiuso in mantel di porpora,
l’uom dal forcuto piè.


     E, imprigionato ancora
da quelle larve, ei plora
35sommessamente, e spasima,
dal sonno per uscir;
               e alfin d’acute strida
empie la notte infida,
e sbarra gli occhi, esanime
40quasi dal reo patir.


     Ma perché dunque ei prova
questa temenza nova,
ei che di nulla intende,
vergin di cure il sen?
               45perché, mentr’egli ascende
verso il rosato esistere,
la morte co’ suoi funebri
sogni a turbar lo vien?

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     Ahi! per entrar negli anni
50de’ tuoi veraci affanni,
apre il fatal vestibolo
questa paura a te,
               o fantolin, che senti
nei vani apparimenti
55d’una gran colpa il gemito,
che colpa tua non è!


     Nato dal fianco d’Eva,
anche su te si aggreva
il duro fallo antico,
60che impaurir ti fa;
               e, incognito nemico,
t’alberga nelle viscere
questo terror, che il dèmone
de’ giorni tuoi sará.


     65Della natura istrutto,
tu tremerai di tutto;
ché annida in ciel la folgore,
ché regna il nembo in mar.
               Tu nella verde selva
70udrai ruggir la belva,
fredda vedrai la vipera
le rose avvelenar.


     E l'uom?... Chi mai lo solve
questo di gloria e polve
75fiero viluppo arcano,
che sol Chi ’l fece il sa?
               la cui terribil mano
oggi in Abel s’insanguina,
diman diventa artefice
80d’ogni ideal beltá.

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     Cosi, del core in fondo,
tu tremerai del mondo,
del tempo, del tuo spirito
audace e menzogner;
               85sin tremerai di quella
tua giovinetta bella,
che, in riso e forma d’angelo,
ti dorma all’origlier.


     Sará talor gentile
90quel tuo terror, poi vile
diventerá coll’uso
del secolo crudel,
               che a nulla crede e, chiuso
ne’ suoi superbi còmputi,
95i pochi rai contamina,
che qua ci manda il ciel.


     Avrai tesauri teco?
Spavento è l’aer cieco,
donde ti spia la cupida
100pupilla del ladron.
               Ingegno avrai? Spavento
è un basso vulgo, intento
a flagellarti e sperdere
della tua fama il suon.


     105E se cadrai?... Dall’alma
ti fuggirá la calma.
Ti sentirai retrorso
lo spettro del terror.
               Nell’ombra il tuo rimorso
110assurgerá, coi vitrei
lumi in te fissi, a stringerti
d’un gel di morte il cor.

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     Funeste e paventose
le piú innocenti cose
115ti appariran. Di tossico
si tingerá il ruscel;
               del mite sole i rai
stilleran sangue; e udrai
di fiere trombe un sònito
120nel lene venticel.


     Questa è la colpa. È questo
il punitor funesto,
l’irto spavento, il bianco
figliuol della viltá.
               125E che dall’egro fianco
te lo divelga e il dissipi
per le agitate tenebre,
altri che Dio non v’ha.


     Tu, fantolin, non temi
130oggi il mio canto, e gemi
sol delle vacue favole,
che la nutrice ordí.
               Ma ne saprai l’occulto
senso, o futuro adulto.
135Cresce veloce agli uomini
sull’ombre vane il dí.


     Con tutti, o fantolino,
del mondo e del destino
tu tremerai quel giorno,
140che ti sia noto il ver.
               Giá ti susurra intorno
la livid’onda e il turbine
Su! la barchetta edifica,
o povero nocchier.

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     145Poni al timon la Fede,
che, pur cercando, crede;
l’agil Speranza agli alberi;
all’ardue vele Amor.
               Una tra l’ago e il polo
150insegni all’altra il volo,
e spiani il terzo i vortici
col soffio vincitor.


     Cosí, nocchier sereno,
spenti i terrori in seno,
155la cimba il profetato
suo corso adempirá;
               e lene, addormentato
sull’ondeggiante féretro,
ti rapirá per l’aere
160la bella Eternitá.