La pastorizia/Dedica
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Ritratto | I | ► |
AL CONTE
PAOLO TOSI
Cesare Arici
Seguitando le Greche Muse nella bellissima Italia la fortuna del Popolo Romano, ricrearono nel solo Virgilio il divino spirito di Esiodo e d’Omero. Che se per consentimento de’ posteri venne ad Omero attribuita la palma dell’epopeja, Virgilio ben altrimenti prevalse ad Esiodo; e le Georgiche, ispirate d’un affetto mirabile, sono tuttavia la guida più sicura del retto intendere in ogni maniera di buone lettere. Onorando egli, non meno delle sedie curuli e de’ fasci consolari, l’aratro dimenticato, acquistò la debita gloria a questo leggiadro modo di comporre, perchè le Muse immortali non isdegnarono per la sua bocca di ammaestrare i rozzi agricoltori, infiorando delle più splendide grazie i precetti dell’arte.
Il grande amore ch’io posi, dolcissimo amico, nello studiare e tradurre ai nostri modi le Georgiche, mi creò nella mente il pensiero di comporre ed ornare delle squisite bellezze latine alcun mio vago ed utile argomento, per così ben meritarmi dalle moderne lettere, avviandole, per quanto è da me, alla corretta ed elegante semplicità degli antichi. La rigenerazione delle pecore nostrali colle finissime di Spagna, avanza in bene per tutta Italia la speranza dei coltivatori, mercè la saviezza de’ governi che ne prospera l’intento; la qual cura, non ultima lode del rustico sapere, ho tolto novellamente a descrivere in un compiuto poema.
Perchè io poi vi chiami a Mecenate, intitolandovi l’opera mia,
Credo che il senta ogni gentil persona;
chè a tutti è palese la benevolenza che io vi porto, e l’amore che vi scalda a tutte le arti belle ed alle Muse principalmente; le quali, togliendovi spesso alle severe formule del vostro Eulero, vi permettono manifesto quel bello ideale, che a pochi è dato di ravvisare nelle opere ammirande della natura. Con quel sereno e riposato animo adunque col quale l’egregio Attico ricevea tra gli ozj della dottissima Atene gli scritti del suo Cicerone, abbiate voi la mia Pastorizia; nella quale mi sono studiato di raccogliere quanto al peregrino argomento concedeva l’imitazione della natura, la favola, e l’affetto animatore delle immagini.
Io vorrei che questi versi piacessero tanto agli Italiani, da vincere la guerra del tempo e dell’invidia; perchè durerebbe così memoria di nostra amicizia. Che se questo nè so, nè debbo sperarmi, vagliano almeno a ricordarvi, lontano, il vostro amico, e l’amore verso quei dolci studj, che ne involano al conflitto pericoloso delle mutabili opinioni degli uomini, ed alla vanità di molti desiderj.
Brescia, il 30 ottobre, 1814