La palermitana/Libro primo/Canto I

Libro primo - Canto I

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DEL LIBRO PRIMO DELL’UMANITÀ DI CRISTO

CANTO I

Qualità dell’autore. — Invocazione. — Essenzia del Figliuol di Dio.

Or ch’io son posto a fren di quell’etade,
ch’altrui distempra per molt’anni e indura
nel già preso costume e qualitade.
pianta mi trovo alfine arsiccia e dura,
5che poma non fruttò se non acerbe,
d’ogni stagion a’ vermi sepoltura.
Pur non mai tardi, a ciò che in me si serbe
nelle radici un poco di vigore
d’un vivo fonte al piè misto fra l’erbe.
10Chi sa se forse al frequentato umore
ringiovenisca il tronco, e ancor s’appigli,
e in foglie’l ramo e in frutto vada il fiore!
Che se del ciel gli augei, del campo i gigli
produce l’alto Patire e d’ésca ’i sazia.
15quanto più noi ch’eredi siamo e figli!
Venga pur, Signor mio, quella tua grazia,
cui degli eletti hai l’alto imperio dato
(oh beato chi in ciò si ti ringrazia!);
venga in quest’arso legno e infracidato,
20il qual per lei fuor d’uso uman germoglie
più frondi e fior di qual sia bosco e prato!
Né pur vedrassi volto in fiori e foglie,
ma tal frutto di lui corremo ancora
qual nel tuo sacro e bel giardin s’accoglie.

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25Frutto non dá, se non verdeggia e infiora
palmite alcuno a l’alma vite giunto,
che di tua man piantata innalzi ognora.
Questa si è il tuo Figliuol, che, in croce, punto
nei piedi, nelle man, nel capo e petto,
50il sangue ci donò, d’amor consunto.
Egli, ch’è vigna eletta, umore eletto
mandò fuor per le piaghe a vene sciolte,
ond’esce a noi di tutto il ben l’oggetto.
Quinci li rami e le propaghi molte,
35mardri, confessori e verginelle,
alme al gran ceppo del tuo Figlio accolte.
Però lor gemme, fronde ed uve belle
non puon non esser buone, sendo inserte
di sapienza in petto e in le mammelle.
40O spirti degni, od alme sante e certe
del fermo bene, al mal fugace dopo,
o giunte in ciel per vie malvage ed erte,
per quell’amor, che in voi piú di piropo
fiammeggia ardente e piú del sol riluce,
45u’ non piú rai per piú splendor fann’uopo,
date, vi priego, all’intelletto luce
di questo mio vecchi’uomo infermo e stanco,
che non mai tardi a voi si riconduce !
Di forze si, ili buon voler non manco
50lavar le macchie mie nei pianti amari ;
ma di me stesso in tirannia son anco!
Per aspri monti e tempestosi mari
errai gran tempo lá dond’esce il sole
al nido ove ripone i lumi chiari.
55E come quel che tutto intender vuole,
d’Egitto prima, poi d’Atene e Roma
bramoso entrai nelPonorate scole.
Qui le virtú, per cui tanto si noma
l’umana sapienza, aver contesi
60per irmi carco di si nobil soma.

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Ma poi che gli anni verdi, non che i mesi,
del senno stoico diffalcai nei sogni,
poi che i fior senza frutti andáro spesi,
io, del ver lume privo e colmo d’ogni
65nebbia fallace, tratto fui lá dove
Giesú sovvenne a’ nostri uman bisogni.
Giesú, di Dio figliuol, con alte prove
d’umiltá santa armato, a sé suppose
quanto di sopra e sotto al ciel si muove.
70Dirò dunque di Lui com’ei s’ascose
dentro a quest’ombre nostre per salvarne,
promesso al fido Abramo, al santo Mòse.
Io vidi l’alto Dio, celato in carne,
vagir sul feno, predicar salute
75e del suo sangue in croce alfin lavarne.
Vidilo abbietto e carco di ferute,
vidilo morto, e poi, di terra scosso,
vidilo trionfar per sua virtute.
Però, Giesú, per tua mercede smosso
80io dal torto cammin de’ saggi erranti,
di te sol dicer voglio, deggio e posso!
Tu la virtú mi dá’, Signor, ch’io canti
te solo Dio nel ciel, sol Bene eterno,
sol giusto in terra, solo onor de’ santi !
85Le infinite tue posse non discerno,
se miro in ciel l’immenso amor, se in terra,
il giusto tuo furor se nell’inferno.
Per te sta il ben di gloria, che si serra
dal mortai occhio; il ciel per te s’aggira
90con le ben giunte stelle, e mai non erra;
per te cagiona il sol quanto si mira
ver’noi calar giú d’alto, e piogge e nevi,
e ’l fiato, ch’or veloce or lento spira.
Tu, stando, il moto fai; tu duo piú levi
95degli elementi sotto ai ciel sospendi,
e al centro andar giú lasci duo piú grevi.

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Quando aggeli gli umor, quando gli accendi
dond’è il fuoco, la grandine, il baleno,
Tacque, che dal mar tolte al mar le rendi,
ioo Per te natura e il tempo non vien meno:
l’una di produr forine e sempre fare
quel che l’aer, la terra, il mar n’è pieno;
l’altro disfarlo e d’ora in ora trare
quattro stagion per giorni e mesi a fine,
105chiudervi Tanno e poi ricominciare.
Tu d’opre umane autor, tu di divine,
scegliesti l’uomo sol ch’erede fosse
di tutto ciò che intorno ha il ciel confine.
Ma l’incostante ingrato il collo scosse
no dal tuo si leve giogo, e per cagione
di tutto il mal da tutto il ben si mosse.
Le qualitá che tanto gli fúr buone,
fatte contrarie, oppresso si il lasciáro,
vassal di morte e servo di Plutone.
115L’ira tua giusta ed il flagello amaro
di legge, del peccato e inferno insieme
con lor pungenti spiedi il circondáro.
Ma troppo, Signor mio, le piaghe estreme,
che dánnogli nel petto e nella gola,
120troppo la morte sua ti tocca e preme !
La tua dell’altre amata piú figliuola,
dolce Pietade, al collo si ti cinse
ambo le braccia ed intertenne sola;
cosi ben disse, cosi ben ti strinse
125con argomenti saldi, che per l’uomo,
ver’uomo, nascer d’uomo ti sospinse.
Salisti alfin in croce, ove del pomo
l’acerbitá si scosse. Il fato anciso,
morso l’inferno, il re delTombre domo,
130sciolti noi fummo e aperto il paradiso.