La locandiera/Lettera di dedica
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ALL’ILLUSTRISSIMO E CLARISSIMO
SIGNOR SENATORE
GIULIO RUCELLAI
PATRIZIO FIORENTINO
CAVALIERE DELL'ORDINE DI S. STEFANO,
SEGRETARIO DELLA GIURISDIZIONE ecc.
Con questo picciolissimo cenno di quanto ho potuto scorgere in Voi di luminoso e di grande, ragionevole non sarà poi l’apprensione mia d’inviare a Voi, per iscorta della Commedia che vi presento, quest’umile, riverente mio foglio?
Io non ho il dono che Voi avete di restringere il molto in poco; manca a me quel brio, quella vivacità, quella prontezza di spirito, che brilla nei Vostri ragionamenti, ed egualmente s’ammira ne’ Vostri scritti; onde conoscendo me stesso e l’altissima sproporzione che da Voi mi allontana, arrossisco nel comparirvi dinanzi, rozzo nello stile qual sono, e scarsissimo di concetti.
Pure fia necessario che qualche cosa io vi scriva, raccomandando alla protezione Vostra questa Commedia mia, che ha per titolo La Locandiera. Fatto questo, lo che in due sole righe consiste, miglior consiglio reputo per me certamente fermar la penna, anzi che sconciatamente adoprarla. Volea parlarvi della Commedia medesima che vi presento: ma s’ella ha qualche cosa di buono, lo rileverete Voi assai meglio di quel ch’io vaglia a descriverla; e vanamente studierei di giustificarla nei suoi difetti, poichè questi da Voi saranno con fondamento a mio rossor conosciuti. Spero bene, ciò non ostante, essere da Voi compatito per due ragioni: la prima, perchè un Cavaliere benignissimo ed amoroso Voi siete, il quale quanto più è dotto, sa maggiormente le imperfezioni degli uomini condonare; ed in secondo luogo, perchè niuno meglio di Voi sa conoscere quanto malagevole cosa sia la formazione di una Commedia, e a quante leggi vada ella soggetta, e quanto facilmente nel dipingere la natura si possano prendere degli abbagli. Se dunque non ho coraggio di favellare di me, come arrischiarmi potrei a ragionare qualche poco di Voi? In una lettera che precede, e dedica, ed offerisce un’Opera, qualunque siasi, pare necessarissimo l’elogio del Mecenate. Io mi confesso volonteroso di farlo, ma incapace di mettere la volontà mia in effetto. Entrar io non posso, senza confondermi, nelle dignità, nelle glorie dell’antichissima Vostra Famiglia, e molto meno delle infinite eroiche virtù che vi adornano ragionare potrei. Appresi sin da principio difficilissimo cotale impegno. Ho empito un foglio non saprei dire io medesimo di quai parole. Inutili forse tutte, fuori di queste ultime, colle quali vi chiedo dell’ardir mio umilmente perdono, raccomando me e la Commedia mia all’altissima protezione Vostra, e con profondissimo ossequio umilmente m’inchino.
Di V. S. Illustriss. e Clariss.
Umiliss. Devotiss. e Obbligatiss. Serv. |
- ↑ Nel t. II dell’ed. Paperini di Firenze, dove uscì per la prima volta nel 1753 questa lettera di dedica, leggesi: mi proposi nell’animo.
- ↑ Pap.: la Commedia medesima con una rispettosa mia lettera.
- ↑ Pap.: ha quello mirabile.
- ↑ Pap.: ho poi.
- ↑ Pap.: delle cognizioni maggiori, dei pensamenti nuovi, delle massime ecc.