La liberazione della donna/XIV
Questo testo è completo. |
◄ | XIII |
Il testo di questa conferenza, che si riporta intera, indica il grado di maturità al quale era pervenuto, sul piano ideale, politico e organizzativo, il movimento socialista per l’emancipazione della donna al cadere del secolo, quando cioè la composizione della classe operaia era tale che la maggioranza dei lavoratori nelle fabbriche erano donne. Non va dimenticato, infatti, che la nascita dell’industria tessile segnò, in Italia come ovunque, l’inizio della «rivoluzione industriale»; e poiché la maggior parte dei tessili erano donne, la scomposizione dei ruoli all’interno della famiglia operaia sostenne e alimentò la lotta contro le vecchie consuetudini, le preclusioni antagonistiche e le iniziative per l’eguaglianza sociale tra i sessi. È abbastanza ovvio che le sigaraie siano state più interessate dei sigarai all’inclusione delle donne nell’elettorato. Senza l’ingresso delle donne nelle fabbriche, non vi sarebbero mai state donne nelle scuole, negli uffici, nei partiti politici. Non sarebbero mai stati discussi i problemi del matrimonio dissolubile o della maternità volontaria.
Anche il pericolo che le donne restassero, come accadrà nel nuovo secolo, parzialmente allontanate proprio dalle industrie più meccanizzate (e meglio retribuite) è intravisto dalla Mozzoni, e non per nulla tra i gruppi «discriminati» cui si richiama qui per analogia c’è il lavoratore nero, in termini marxisti, l’operaio di recente origine contadina doppiamente sfruttato. Facendo leva sulla liberazione della donna dagli antichi vincoli, il processo di trasformazione della vita familiare entrava in una fase nuova, e mentre i democratici e i socialisti secondavano la tendenza oggettiva all’estinzione delle forme preborghesi di sfruttamento (i bambini dei due sessi entrati nella fabbrica non ne uscirono per tornare a lavorare come allievi dipendenti dei genitori artigiani - senza orario né salario -, ma per avviarsi alla scuola, intanto elementare. In prospettiva si creavano insieme le istituzioni scolastiche e i loro critici: contro la realtà di un indottrinamento pietrificante e di una gerarchia burocratizzata, lo spirito critico diveniva un’esigenza di massa), i reazionari favorivano la tendenza opposta, alimentata dalla borghesia per le necessità dello sfruttamento, a protrarle nel tempo e ad accentuarle (il lavoro a domicilio non fu «dissolto», ma piuttosto integrato all’industria e massificato). Ma come il pregiudizio antifemminista, di origine lontanissima (si può anche risalire, come faceva Engels, all’origine della società divisa in classi, coincidente con la «disfatta storica del sesso femminile»), mantenuto dalla borghesia se non altro per mantenere le discriminazioni salariali - ma le ragioni sono poi le stesse di ogni altra discriminazione - finiva per vivere di vita propria e andava a nutrire la prospettiva dei ritorni reazionari, cosí anche la lotta contro il «pregiudizio» fatta propria dalle forze sociali e politiche che la rivoluzione borghese aveva creato - la classe operaia e il suo partito politico - manteneva viva nei socialisti l’idea di quella società di liberi ed eguali che la socializzazione dell’economia aveva il fine di creare.
Alla Mozzoni mancava forse una qualsiasi conoscenza del marxismo. Ma le bastava rivendicare i diritti individuali partendo dagli individui «assoggettati», vale a dire dalle donne, per avviare nella direzione giusta un problema che resta tra i principali del nostro tempo, perché resta appunto tra i problemi del socialismo, che soltanto sul terreno del socialismo può trovare soluzione. E poiché la prospettiva del socialismo non è un miraggio avveniristico, ma nutre di sé, ai nostri tempi, obiettivi civili ed economici, nel quadro degli orientamenti politici generali, la lotta per i diritti civili ed economici investe direttamente il movimento di liberazione della donna anche ai nostri tempi, nel quadro dei rapporti tra i partiti politici avanzati, in Italia, in Europa, e probabilmente ovunque.
Care Sorelle del Lavoro,
In capo allo Statuto del vostro sodalizio ho letto queste parole: «Totalmente libere dai pregiudizii di una educazione artificiosa, noi ci leviamo a nuova vita.
«Ce lo impone il moto di redenzione ognor piú irrompente che vivamente agita le classi operaie di tutto il mondo. E come potremmo restarcene spettatrici indifferenti, quando le nostre condizioni di schiavitú economica-morale, ed il fatale, continuo aumento dei nostri bisogni di donne, di madri e di operaie, naturalmente ci sospingono verso le lotte e le forze dei lavoratori maschi?
«Oh che è forse giusto e civile il concetto di inferiorità sociale col quale siamo considerate, ed in nome del quale ci si vorrebbe eternamente ignoranti ed oppresse?
«No, no; altamente affermiamo che contro tale educazione vogliamo ribellarci virilmente e che in nome dei nostri speciali diritti ed interessi di operaie e di personalità complete, ci stendiamo fraternamente le mani e scendiamo in campo con la forza dell’associazione.
«Le vane paure, le stupide finzioni, i piccoli egoismi, le facili illusioni e le menzogne d’ogni fatta non hanno piú eco in noi.
«Tutte quante apparteniamo alla grande famiglia dei diseredati; con essa dividiamo le fatiche e le privazioni; con essa dunque vogliamo sperare e combattere fino alla completa emancipazione da ogni sorta di servaggio.»
Ricordarvi queste parole e questi concetti che stanno a capo del vostro Statuto sociale vale quanto dire che io mi vedrei qui a parlare a convertiti; e che tutto quanto io posso dirvi intorno ai vostri interessi ed alle vostre aspirazioni, Voi lo sapete già, non solo, ma è già in Voi convinzione, è già divenuto succo e sangue nelle anime vostre.
Tuttavia, l’avermi Voi invitata ad essere Madrina della vostra bandiera, di quella bandiera nelle cui pieghe sta scritto «Emancipazione», mi obbliga a svolgere questo argomento.
E con gioia io lo raccolgo, e lo svolgo davanti a voi nelle condizioni dell’oggi.
Fino dalla mia prima giovinezza esso fu il grido infaticabile dell’anima mia.
Quel grido echeggiava allora in un deserto, e in mezzo ai delirii giulivi della recente libertà, esso non suscitava intorno a me che scandalo e derisione.
Quegli uomini che avevano cospirato per la libertà, sofferto nelle fortezze nordiche e sfidato i patiboli nel nome santo di essa, che aveano combattuto per lei, che la ponevano al dissopra d’ogni umano bene, che si ribellavano dal fondo dell’anima all’idea di essere sudditi e non cittadini - quegli stessi uomini non capivano che la donna potesse ribellarsi alle catene e si sdegnasse dello stato di servitú; - essi che si erano emancipati dal dogma, si scandalizzavano che la donna ripudiasse la condanna biblica alla eterna soggezione; - essi che si erano conquistati con battaglie cruente i diritti politici, si meravigliavano che la donna volesse, dicevano, caricarsi le spalle dell’uggioso fardello del voto, far l’elettore e l’eleggibile, e aspirare a cotali altre miserie delle quali è tribolata la vita del libero cittadino.
Per essi la donna avea torto marcio se non si sentiva felice, Vestale dal peplo affritellato, accanto alla pentola; era degenere, ridicola, se non sentiva di quale e quanto decoro la rivestisse la sua condizione di pupilla e di interdetta, di proprietaria libera soltanto di fare il suo testamento, di madre investita di una patria potestà teorica, datale con la magna solennità con la quale i nostri legislatori affermano i grandi principii; e toltale con quella disinvoltura con la quale essi sono usi di trattare la gente di cui non hanno bisogno.
Per loro che interessi avea mai, la donna, da difendere o da far valere? Dacché gli uomini erano soddisfatti che cosa mancava alle donne? Evidentemente esse erano pervertite, deliranti, si era in presenza di un fatto morboso, patologico.
Non è meraviglia se, dopo aver durato lunghi anni in una controversia sostenuta dagli innumerevoli avversarii, in parte con tutta la ingenuità d’un egoismo lungamente educato,2 e in parte con evidente mala fede, io non abbia receduto dall’antica convinzione mia; non solo, ma che per dippiú io creda oggi piú che mai fermamente, che la rivendicazione dei diritti civili, politici e sociali della donna, è la suprema, la piú importante, la piú decisiva di tutte le questioni sociali; e, non che accessoria e relativa, come la predicano taluni socialisti che pure la comprendono, io pensi ancora essere questa questione la rocca, la cittadella dove rifugiati il diritto divino, il diritto della forza, e il sistema dello sfruttamento di un individuo sull’altro, possono ancora sfidare per secoli tutte le rivoluzioni possibili.
Infatti il diritto divino perseguitato e trafitto nella teocrazia e nella monarchia, si appiatta e si nasconde nel diritto del maschio, che permane indiscusso e aprioristico, al diffuori d’ogni base razionale di diritto. Il diritto della forza sconfitto dalla filosofia e dal giure interno ed internazionale delle genti civili, perdura nell’uomo di fronte alla donna a mantenere il monarcato domestico, e tutte le impotenze, incapacità ed esclusioni di lei, le quali tutte concludono in un aumento di beneficii e di forza giuridica, domestica e sociale per l’uomo.
Il sistema dello sfruttamento capitalistico costretto a capitolare di fronte alla resistenza operaia rimpetto all’uomo, continua e continuerà a sfruttare la donna con la minore mercede, perché il salario partendo per lei da un criterio speciale, continuerà ad applicarsi non al valore del lavoro, ma all’inferiorità del lavoratore.
Senza mettere nel conto lo sfruttamento che le deriva oggi e continuerà a derivare alla donna, dalla esclusione dalla maggiore e piú nobile e piú lucrosa parte del lavoro sociale; per cui, esclusa dalla concorrenza, deve offrire allo sfruttamento la sua propria persona e lasciarsi divorare, infangare, opprimere, dispregiare al dissotto del bruto.
Per tutte queste ragioni la rivendicazione dei diritti della donna e la redenzione di lei è la suprema, la piú vasta e radicale delle questioni sociali; è quella che andrà a sfidare fino nei suoi ultimi trinceramenti l’egoismo dell’uomo, la sua libidine di dominio e di sfruttamento, quella che non lascierà indifferente né un uomo, né una donna, quella che dal trono al tugurio, ad ogni talamo, ad ogni focolare porterà la controversia e la lotta, e conterà in ogni casa una vittoria e una sconfitta.
Ed io reputo di capitale importanza destare l’attenzione delli operai, e sopratutto la vostra, o lavoratrici, sopra una funesta opinione che va attecchendo anche fra scrittori e ardenti socialisti intorno a questa questione; opinione che le è del tutto esiziale.
Pur troppo lo spirito umano che è capace di tutte le altezze scientifiche ed idealiste, come di tutte le assurdità, è anche capacissimo di accogliere e professare la contraddizione, sicché si vedono socialisti, e socialisti di polso, i quali non credono, non vogliono, e combattono caldamente la emancipazione della donna: e la meraviglia che suscita codesto fatto è anche maggiore, ove si constati esservi fra cotali socialisti, degli studiosi e dotti economisti.3
È perciò che molti di essi affettano di non parlarne mai, o di parlarne come di un accessorio, di una cosa relativa, di una frondosità quasi della questione sociale.
Altri riguardano la donna e la sua complessa posizione sociale come una cosa a sé, che vuol essere considerata con criterii affatto speciali e subordinati alle necessità della specie; necessità che in ultima analisi sono poi la necessità, gli utili, i vantaggi dell’uomo, adulto, o bambino: dacché l’uomo sia egli prete, o re, o nobile, o borghese; creda egli nel diritto divino, o nel privilegio monarchico e signorile, o nel verbo democratico, o sociale, è pur sempre un perfetto egoista; e come tale, si è foggiato per proprio beneficio, di fronte alla donna, una specie di diritto divino del maschio, che egli reputa e tiene volontieri, al dissopra e al diffuori di quei canoni di logica e di equità, che hanno tanto servito a lui stesso per la rivendicazione delle proprie libertà.
Cosí Proudhon dopo avere, con una cotal aria di fastidio, vagliato e dibattuto fra sé e sé, il problema della posizione sociale della donna, conclude, che «cortigiana o massaia, egli non vede per lei altra uscita. Ella è per lui una creatura irrazionale, inferiore, al diffuori della giustizia; fatta anzi per tollerare la ingiustizia».
Michelet, tutto sdilinquito nell’amore e nel miele, riguarda la donna come una bimba malata, che ha bisogno incessante di cure, di riguardi, di minute ed amorose sollecitudini da parte dell’uomo.
Per lui, quindi, considerare codesta graziosa e fragile impotenza, come una capacità, come un valore, volere che serva a qualche cosa, che lavori, che produca alcun che, oltre i bimbi; che assuma delle responsabilità, degli ufficii, delle funzioni, è una brutalità, una ingiustizia, una barbarie. - Parlare per lei di diritti, di dignità, di personalità giuridica, politica o sociale è un non senso.
Il Comte ama figurare l’uomo rivestito, rispetto alla sua famiglia, di una specie di pontificato, o monarcato teocratico, in forza del quale egli risponde di essa in faccia alla Società ed alla Natura, con una miscela ben condizionata di diritto divino ed umano, naturale e scritto; e quindi i figli nella minore età, e la moglie perennemente, non hanno personalità propria, ma sono del tutto assorbiti nella personalità del padre e del marito, che impersona la famiglia, la rappresenta, la riassume, la contiene.
E codesto criterio, a cento anni dalla dichiarazione dei diritti dell’uomo e della grande Rivoluzione che ha posto sugli altari la dea Ragione al posto del Dogma, regna tuttora felicemente nei nostri codici, ed è bevuto avidamente dalla acerba gioventú che si affolla intorno alle cattedre universitarie.
Gran maledizione sociale codesta che i giovani debbano, per forza, essere educati dai vecchi!
E, con piú o meno felici varianti, intorno alle dottrine degli scrittori accennati, si aggruppano in gran numero i socialisti della prima parte di questo secolo, di quel periodo nel quale il problema sociale era tuttora avvolto nelle nebbie accademiche. Campo sterminato nel quale divagano non meno sterilmente che insanabilmente gli spiriti, che portano, non solo nella vita vissuta, ma altresí nello studio, un subiettivismo troppo petulante, che ottenebra i liberi orizzonti delle intelligenze geniali!
Buttiamo ora uno sguardo sugli scrittori socialisti dell’oggi, di quegli scrittori la cui penna è un braccio, i cui libri sono una azione, le cui parole sono fatti, dacché sulle loro pagine il problema sociale è rispecchiato nella sua nuda e cruda realtà con esattezza fotografica di particolari, con calore passionato e luce massima d’evidenza, come dee farsi da gente che sa il metodo positivo e lo applica magistralmente, sicché radicano le convinzioni, intanto che agitano il sentimento e muovono le volontà.
Eppure anche per questi il problema delle rivendicazioni della donna, giace nel sottinteso. Per essi, la donna è naturalmente, manco a dirlo! eguale all’uomo; l’avvenire è fecondo di promesse per lei - ma se poi si degnano, e assai di rado, di scrivere direttamente sull’argomento, o dirigono a lei qualche pagina, o capitolo, lo fanno invariabilmente nello stile parafrasato col quale le parlavano, nelle epoche rispettive, i preti, i riformisti, i filosofi, i democratici. - La eccitano alla lotta, a lavorare, a sacrificarsi, perché essa pure ne avrà beneficii certi, e grandissimi; ma intanto, predicano essi, i suoi interessi, non sono pel momento da discutere; questo farebbe una importuna digressione - il suo vantaggio verrà da sé - è contenuto necessariamente nella dottrina che si vuol far prevalere. -
Gli scrittori socialisti sanno che se la donna si mettesse a camminare a ritroso, la causa delle rivendicazioni operaie e proletarie sarebbe perduta; ma in pari tempo non hanno tempo da dedicarle lo studio, né la volontà di consacrarle l’energia e l’azione; e trovano più comodo ripetere la storia dell’umano egoismo in tutta la sua ingenuità.
Sono ancora gli uomini che nella Grecia antica armavano gli Iloti per difendere dagli invasori le proprie libertà - che in Roma armavano gli schiavi per la difesa della Repubblica - che nell’America del Sud armavano i negri contro i Nordisti abolizionisti; - e che borghesi dell’89; illuminati di Germania; liberali di Francia; radicali di Spagna; carbonari d’Italia; democratici cospiratori del ’48, e combattenti del ’59, educavano la donna al patriottismo, le insinuavano delle calde aspirazioni di libertà politica, e la spingevano ad affrontare le fortezze e i patiboli, sempre per la libertà loro - che quanto poi alla sua, non era mai il momento opportuno di parlarne - era sempre certissima e convenuta - ma altrettanto sempre di là da venire.
E codesti ultimi socialisti riposano tranquilli nella loro coscienza, del non spendere intorno alla questione delle rivendicazioni femminili né propaganda, né energia di alcuna sorta, per lo stesso riflesso pel quale se ne schermivano tutti quei loro nominati predecessori nelle varie tappe percorse dal progresso civile e umanitario.
Naturalmente, diceva S. Paolo or fa la bellezza di 19 secoli, quando faceva la sua propaganda del Cristianesimo - «davanti a Dio non v’è né ricco, né povero, né Ebreo, né Greco, né uomo, né donna... ma tutti sono liberi in Cristo».
Naturalmente, dicevano i riformisti, «la Bibbia è lasciata al libero esame dell’individuo e la interpretazione di essa è determinata dallo Spirito Santo, ispiratore di ogni fedele. In molti punti essa è dichiarativa di fatti e non insegnativa o sentenziatrice di Precetti». E così la condanna biblica della donna era scalzata alla base ed essa avea diritto di ripudiare ogni interpretazione autoritaria e affermativa della sua servitú.
Naturalmente, dicevano i filosofi e borghesi dell’89, la dichiarazione dei diritti dell’uomo implica i diritti della donna dacché la umanità è androgina - sarebbe assurdo pretendere altrimenti.
E la donna a sperare, anzi a credersi redenta.
Naturalmente, diceva la democrazia italiana raccolta a solenne parlamento in Roma, per bocca dei suoi piú illustri rappresentanti, la donna ha gli stessi diritti politici e sociali dei cittadini dell’altro sesso, e votava come un sol uomo, per mezzo dei suoi 800 mandatarii, niente meno che questo ordine del giorno, da me presentato e svolto in mezzo a una battaglia indescrivibile: «Il Comizio dei Comizii, riconoscendo nel diritto del voto il diritto umano:
« - Considerando che l’umanità è costituita e rappresentata dall’uomo e dalla donna;
« - Riconoscendo impossibile la soluzione della questione sociale se non cessino per la metà del genere umano le attuali condizioni di esclusione, di minorità e di assenza;
« - Coerente ai suoi principii, e sollecito della giustizia che è l’utile di tutti;
«Riconosce, afferma e proclama così nell’uomo come nella donna il diritto alla integrità del voto.»
E la donna poté credersi finalmente arrivata alla meta e in vista ormai della sua terra promessa.
Naturalmente, dicono i socialisti d’oggi, quando si dice, rivendicazione di tutti i diritti politici, economici, civili, lo si dice per tutti; e noi non dobbiamo neppure distinguere fra l’uomo e la donna, perché la sola distinzione, farebbe quasi credere che si possa da noi sottintendere una qualsiasi differenza di qualsiasi natura.
Ma io vi dico, o care Sorelle del Lavoro, che se noi ci lasciassimo turlupinare e addormentare un’altra volta da codesta ninna nanna eterna, noi saremmo stupide come tonni, che ripetono ogni giorno l’identico viaggio, per incappare ogni giorno nelle identiche reti, e meriteremmo per davvero la nostra sorte.
Infatti S. Paolo che aveva dichiarato l’uomo e la donna «eguali e liberi in Cristo» sentenziava poi ch’essa doveva portare la podestà sul capo.
I riformisti che aveano insegnato il libero esame e legittimata la interpretazione individuale della Bibbia, giudicarono che la soggezione della donna era sentenza rigorosa ed inappellabile, e non già dichiarazione profetica del fatto.
I borghesi e filosofi dell’89 risero in faccia a Olimpia de Gouges, a Luisa Lacombe e a tutte le donne che, parafrasando la dichiarazione dei diritti dell’uomo, con nitida, stringente e logica illazione, applicavano ai diritti della donna i principii in quella affermati, e ne chiedevano l’applicazione.
I democratici del Comizio di Roma, raggiungendo il colmo nell’irragionevole, sfogarono in appresso, sui giornali, il loro rammarico, di aver dovuto votare alla unanimità quell’ordine del giorno, posti fra l’uscio e il muro dall’obbligo della coerenza. Alberto Mario dichiarò quel voto un pleonasmo, ed altri democratici, che vanno per la maggiore, opinarono avere quel voto coperto di ridicolo il Comizio e non l’hanno a tutt’oggi perdonato alla rea convinta e confessa che vi sta davanti.
Ora, care Sorelle del Lavoro, come ad un giudice che lo voglia, non manca mai un cattivo ragionamento per cavarne una sentenza ingiusta, od un articolo purchessia di un codice qualunque, per farsene un gancio da appendervi la sua coscienza; cosí teniamo per sicuro che alla domane della Rivoluzione sociale, abbia dessa avuto svolgimento evolutivo, o esplosivo; l’egoismo dell’uomo non sarà mai a corto di argomenti, per mantenere intorno a noi lo statu quo, pur trasformando tutto per conto suo; e statevi pur sicure che egli si destreggierà al possibile per accettare la vittoria nei suoi beneficii e respingerla nella parte passiva.
Pensiamo perciò seriamente ai casi nostri, e vediamo di non lasciarcela fare un’altra volta.
Mettiamo da banda la parte di angelo della quale ci hanno dalle origini della storia incaricate, e che vorrebbero farci rappresentare fino alla fine dei secoli, salvo a pagarcene il grosso incomodo col sospirarci intorno degli idillii e dei sonetti.
È passato, pur troppo, il tempo beato dei pastorelli teneri e delle verdi Arcadie.
La vita è dura; e la lotta per l’esistenza ogni dí piú aspra ed angosciosa, ci comanda che, per noi e per le nostre figlie, si pensi a rivendicare quei diritti complessi, che sono le armi, con le quali soltanto si può combattere e vincere la rude battaglia della vita.
No, io non sono della opinione di quei socialisti i quali pensano che le cose vanno da sé, per forza di logica, per naturale illazione, per analogia.
Non v’è nulla di semplice in natura e meno che mai nello spirito umano. I nostri cervelli sono altrettante combinazioni chimiche di una varietà infinita, e le idee piú disparate, possono confondere fraternamente i loro atomi misteriosi, nelle cellule recondite della testa umana.
Ne viene, che, come abbiamo constatato che vi furono ieri, e vi sono oggi, dei socialisti che sono avversi alla rivendicazione dei diritti della donna; che non la credono di pari valore dell’uomo; che non vogliono concorra liberamente con lui in tutto il lavoro e le funzioni sociali; che non concepiscono la convivenza dell’uomo e della donna che a base di monarcato a favore dell’uomo; che considerano la donna come un essere al diffuori, e al dissotto della sfera nella quale si dibattono gli interessi della umanità, rappresentata per costoro dai soli maschi; cosí cotali socialisti sopravviveranno alla Rivoluzione sociale, come sopravviveranno a tutte le rivoluzioni l’egoismo ed il pregiudizio, e, malgrado tutta la logica, la connessione e l’analogia, la donna resterà, l’indomani della Rivoluzione sociale, pupilla, interdetta, esclusa, subordinata, accessoria, né più né meno che oggi, ove la sua mente e la sua coscienza prima, e quella dell’uomo insieme, non si siano da lunga pezza acclimate in un ambiente nuovo di rispetto alla donna e di ricognizione intellettuale e cosciente del di lei valore e diritto.
Bisogna che l’ambiente ideale domestico e sociale sia cosí rinnovato intorno a lei, che i pregiudizii di ieri, e quelli di oggi intorno alla di lei inferiorità, al pari che di tutti i pregiudizii di opportunità pei quali è trattenuta in codesta inferiorità, non siano piú che argomenti e materia di storica erudizione e non rispondano più con nessun addentellato al modo attuale di vedere, di giudicare e di sentire.
E infatti, vediamo un po’ addentro lo stato presente dell’agitazione operaia, e caviamone la logica previsione del come cammineranno le cose, domani, su questo rispetto.
Una autorevole rivista, «La Critica Sociale», facevasi ultimamente l’organo di quei socialisti di cui vi parlavo or ora; che pensano le cose procedere e maturare da loro stesse per forza naturale e logica colla soluzione del problema economico. Una volta, vi si legge, la donna stava rinchiusa in casa, occupandovisi servilmente. Come poteva surgere in lei la coscienza di essere un valore sociale, una creatrice della ricchezza?
La macchina, la grande forza rivoluzionaria delle industrie, ha rivoluzionato anche la donna. Ella fu irreggimentata come l’uomo negli opificii, divide oggi con lui lo sfruttamento del capitalismo, ed anche per conseguenza la ribellione e la aspirazione a scuoterne il giogo. Donde l’interesse della donna a conquidere il diritto civile e politico, ad ottenere le otto ore di lavoro, e con queste un maggior agio ad istruirsi e divenire valida alleata del movimento operaio moderno. Fin qui le idee de «La Critica Sociale».
Ma che la operaia possa divenire, e sia per divenire valida alleata del movimento operaio moderno, nessun dubbio, neppur l’ombra di un dubbio!
Quello di cui non solo dubito, ma che credo assolutamente erroneo, è proprio quello che «La Critica Sociale» crede fermamente, che cioè la questione della donna in fondo, in fondo, sia esclusivamente una questione economica, e che vada risolta da sé con la risoluzione di quella.
Domani gli operai otterranno le otto ore di lavoro in tutto il mondo, e piú tardi la giornata legale del lavoratore diverrà di sole sei ore e piú tardi ancora anche piú breve, allorché la macchina sarà proprietà del lavoratore. Che ne avverrà nei rispetti della questione della donna?
L’uomo, che, non sudando piú neppure una camicia per guadagnare la vita, divenutagli facile per la maggior scarsità della offerta della mano d’opera, pel maggior valore di questa, per la minore produzione e pel conseguente aumento del valore di essa, che cosa farà?
Esso dirà alla donna, moglie in faccia a Dio ed agli uomini, oppure amante comecchessia: «Io guadagno quanto basta per me, per te e per i figli, e ancora ho del tempo per studiare e per ricrearmi. Non occorre quindi che tu ti affanni e lasci i bimbi al presepio o presso i vicini. Stattene in casa, riposa e accudisci ai comodi interni della famiglia.» E la donna, educata al par dell’uomo a non vedere che la questione economica (e non la questione di dignità, di libertà, di moralità, d’indipendenza, di legittima influenza nella famiglia e nella società) troverà che quel ragionamento non fa una grinza, e darà la sua adesione. Quello che farà la donna operaia propriamente detta, lo farà pure, per le stesse ragioni, la maestra, la telegrafista, la telefonista, l’impiegata postale e ferroviaria, la banchiera, la commessa, qualunque donna che lavori.
Le condizioni generali economiche saranno migliorate, l’impiegato civile sarà pagato meglio perché diminuiti gli eserciti: a forza di strillare si sarà riescito a sfrondare le pubbliche amministrazioni dai rami secchi e a divellere intorno ad esse le vegetazioni parassitarie. Quindi le giovani donne che oggi cercano un diploma, o studiano le lingue, o si danno alla contabilità, o cercano comecchessia si sgravare il padre e il marito di parte della spesa domestica, o per lo meno del loro vestiario (perché c’è da fare, e molto, oggi a sbarcare il lunario associando gli sforzi di tutti) domani a questione economica risolta, preferiranno ridivenire le signorine di una volta, che aspettavano tranquillamente il marito, gareggiando l’una con l’altra in eleganza, in fronzoli, in leziosaggini, per essere le ricercate e le preferite; dacché il matrimonio tornerà a diventare l’impiego ottimo e massimo della donna.
Ora che cosa si sarà guadagnato, domando io, a quei socialisti che aspettano la redenzione della donna dalla pura e semplice risoluzione della questione economica?
Che cosa si sarà guadagnato da lei in dignità, in moralità, in giustizia, in indipendenza, come valore sociale? Ridivenuta ella un non valore, ed una parassita, gli uomini del domani, non capiranno piú neppur quello che capiscono oggi, in cui essi vedono la donna lavorare dapertutto, e rappresentare una immensa parte della ricchezza sociale.
Chi vorrà piú che la donna abbia voce negli interessi generali? Chi le affiderà piú un mandato politico, giuridico od amministrativo? Come potrà ella piú rimuovere da sé quella oltraggiosa taccia d’imbecillità sotto la quale soccombe dalla remota tradizione romana?
No, voi non avrete risoluto la questione - l’avrete scapezzata e sepolta per altri secoli.
Ora dunque che fare? - Eccolo.
Le acque del fiume non dilagano se non dopo che le onde ne hanno scalzato a lungo i margini e le dighe. - Il vulcano non erutta, se non dopo che i gas interni hanno compiuto un lungo lavoro di condensamento mettendo in fuga l’aria da ogni fessolino e da ogni speco. Non altrimenti, le trasformazioni sociali non avvengono, se non quando siano state lungamente maturate nelle menti e nelle coscienze, e ne siano messe in fuga tutte le idee e pregiudizii incompatibili col nuovo ordine di cose che si vuole attuare.
Ora questo non è, purtroppo, ancora, l’ambiente nel quale si svolge l’organizzazione operaia.
Io so di associazioni, dove le sezioni femminili sono trattate come pupille, e nelle quali i soci, padri, fratelli e mariti si considerano come soci con le loro figlie, sorelle e consorti, fino a che codeste sono del loro identico parere o comunque non dimostrino di dissentire da loro nelle assemblee, il che avviene spesso, per indolenza magari, per passività di spirito, o pel solito santo amore di pace e di quiete, che è la bazza eterna dei prepotenti.
Ma se esse poi vogliono far valere le loro opinioni, e propugnare le loro idee e mantenere le loro pretese contro di loro, nel limite e colle forme consentite dagli statuti sociali a ciascun socio, allora essi buttano a monte il gioco come bambini viziati, e appellano alle qualità di padri, di fratelli e di mariti, pretendendo, che, a questi titoli, le socie si rassegnino e cedano sempre.
Il coraggio delle proprie convinzioni, l’energia nel farle valere, l’ardore della lotta, leale, logica, aperta, valorosa, perseverante, che essi ammirano negli individui del loro sesso, li indispettisce, li imbizza, li ributta nelle donne. L’uomo vecchio lotta sempre col nuovo.
Non vogliate quindi, o care Sorelle del Lavoro, addormentarvi sul soporifero predicato che la donna arriverà da sé con la semplice soluzione del quesito economico.
No, essa non arriverà che studiando, persuadendo, lavorando e lottando.
Ricordate che l’uomo può, e sa, sopratutto, essere illogico, anche senza volerlo, per movimento passionale, istintuale e inconsapevole dell’animo.
Dacché, quindi, voi dichiarate di entrare nella grande organizzazione operaia sgombre da pregiudizii, spogliate anche questo, se l’avete, di credere che la questione economica sia tutto, e che le altre, e la vostra sopratutto si risolva con questa - e che l’uomo per amor di logica e zelo di giustizia, alla domane della vittoria verrà a portarvi in casa il prezzo del vostro concorso.
Voi non avrete mai altri diritti, all’infuori di quelli che avrete saputo conquistarvi - non occuperete mai altro posto all’infuori di quello che avrete saputo prendervi - non godrete mai altra libertà, fuori che quella che saprete difendere ogni giorno ed ogni momento.
Sulla soglia delle vostre sedi sociali, spogliate la vostra qualità di madri, sorelle, figlie, o mogli dei vostri compagni, e i relativi rapporti imposti dal Codice Civile. Cominciate ad inaugurare, volere, esigere, una assoluta parità di trattamento coi soci. Vogliate far parte della amministrazione interna della grande federazione operaia e della sua direzione morale. Nelle assemblee imponete la discussione dei vostri interessi e dei problemi che vi riguardano come sesso. Durante le agitazioni elettorali amministrative e politiche vogliate che le questioni che vi riguardano come donne, facciano parte del programma elettorale, e negate nelle assemblee il vostro voto, se lealmente non si accettino e non si impongano ai candidati.
Bisogna approfittare di questo periodo di tempo nel quale la donna ha un valore come produttrice, e l’uomo ha bisogno di lei nell’agitazione economica, per imporgli e fare con lui l’agitazione per il di lei voto amministrativo e politico.
Di questo si ha bisogno perché la donna possa imporre la sollecitudine dei suoi interessi ai deputati, i quali dal canto loro non hanno nessun interesse e nessun desiderio di esser posti in condizione di dover accontentare diecimila elettori invece di cinque.
Risolta la questione economica senza aver fatto una corrispondente agitazione per la emancipazione della donna, gran parte delle lavoratrici di oggi passeranno moralmente nella categoria delle borghesi e delle dame, le quali non si curano della emancipazione appunto perché la questione economica non esiste per loro.
Ma se la soluzione della questione economica troverà la donna elettrice - allora la sua posizione sociale andrà ogni giorno migliorando e le questioni che la riguardano saranno progressivamente risolte.
Qualunque partito o persona che vuol vincere, deve creare degli interessi corrispondenti al suo bisogno; e su questi fare assegnamento, e non già sulla giustizia, la logica e la coerenza degli uomini.
Il quale concetto esprimeva a meraviglia Cromwell quando diceva: «Preghiamo Iddio e teniamo asciutte le polveri.»
Nell’interno delle vostre case, e sulle vostre ginocchia, formate, educate gli uomini ai nuovi principii, e nelle vostre sedi sociali lavorate del pari a formare l’ambiente nuovo, e non vogliate riguardare come socialisti convinti e sinceri se non coloro i quali, non solo accettano apertamente senza equivoci, senza sottintesi, e sopratutto senza restrizioni e senza dilazioni, la questione della emancipazione femminile, ma che sentono ancora la necessità e il dovere di fare la propaganda e la fanno.
Sorelle del Lavoro,
Questa vostra bandiera, alla quale mi onoro altamente di essere pronuba, vi parla tutto un linguaggio lusinghiero di promesse e di propositi.
Il soldato imbaldanzisce davanti alla sua vecchia bandiera, dai colori stinti e dal tessuto sbrandellato. Il suo antico cuore batte d’orgoglio, e la sua mente rivede radiosa i campi di battaglia, dove al suono di gioconde fanfare egli e i suoi compagni si massacravano, per lo piú senza saperne il perché, gloriosi se vincitori, eroi se vinti, e... a mio debole avviso, imbecilli sempre.
Questa vostra bandiera è nuova - e non vi ricorda nulla. I suoi colori fiammeggianti vi dicono che essa non ha storia, ed aspetta che voi la scriviate, amazzoni dell’avvenire, coll’azione, coll’intelletto, coll’eroismo.
Essa è oggi il simbolo della vostra concordia e presiede gioconda nei suoi brillanti colori, alla festa del lavoro, ma non dimenticate, che, dal primo giorno nel quale gli uomini espressero con esterni segni le loro idee e i loro sentimenti, la bandiera fu inseparabile dalla idea di azione, di battaglia e di vittoria.
Possa un giorno questa bandiera, dimessi i vivaci colori, ma ricca di una storia di lavoro, di concordia, di lotte e di eroismi, salutare col giorno della redenzione del proletariato, quello altresí della emancipazione della donna.
Note
- ↑ I socialisti e l'emancipazione della donna, a cura della Società Mutua e Miglioramento fra le Sorelle del Lavoro di Alessandria, Alessandria, Tipografia Panizza, 1892.
- ↑ All’epoca della revisione del Codice Civile io pubblicavo La Donna e i suoi rapporti sociali. Era il primo libro che, in Italia formulasse nettamente la questione femminile e la considerasse da ogni parte. Concludevo formulando 18 capi di domande le quali erano altrettante riforme, che reputavo possibili e pratiche nelle condizioni giuridiche delle donne.
Di quei volumi moltissime copie spedii alle due Camere.
Quando furono pubblicati il progetto del Ministero e il controprogetto del Senato, diedi in luce a mia volta un opuscolo nel quale esaminavo i due lavori, negli articoli che riguardavano le condizioni giuridiche delle donne, e la intera edizione distribuii alla Camera, al Senato, ai membri della Commissione di Revisione, ai giornali giuridici ed ai giureconsulti piú eminenti ed influenti della penisola.
Pel diritto del voto, contro il regolamento sanitario dovunque e sempre, in Italia ed all’estero, incoraggiata od osteggiata, i diritti e gli interessi delle donne furono l’obbiettivo costante dei miei studii e dell’opera mia. - ↑ Per la stessa ragione per la quale il commercio non ha pregiudizii, non dovrebbero neppure averne gli economisti, pei quali la sintesi e l’obbiettivo di tutta la scienza sociale, è contenuto nel problema della produzione della ricchezza e della sua distribuzione.
Ora che pensare di economisti i quali trovano opportuna la soppressione della virtualità produttiva di mezza la umanità per la segregazione della donna dalla libera concorrenza?
Non fu mai dimostrato e non fu mai neppur tentato di dimostrare dai piú maniaci misogini, che la virtualità della donna, intesa nel senso piú lato e comprensivo, sia al disotto della virtualità della massa degli uomini mediocri.
Ora ridotta la questione della libera concorrenza di tutti, a tutto il lavoro sociale, a questi modesti termini, non è la esclusione della donna insieme ad un immenso danno per lei, un danno non meno grande per la società tutta quanta?
Si obbietterà da taluno che la produzione è già soverchia e mi si mostrerà la crisi della disoccupazione sempre piú incalzante e piena di minaccie. Ma è troppo evidente che il male non istà già nella soverchia produzione bensí nella viziosa distribuzione di essa.
Vedete gli abitatori dell’immenso centro africano. Essi sono nudi, vivono in capanne rudimentali, non conoscono alcun conforto della vita. Strade, ponti, case, sistemazioni di acque, protezione di uomini, di animali e di cose contro i diluvii tropicali - tutto è da fare.
Vedete la immensa Pampa, le sterminate distese del Sud-America, attraverso alle quali le locomotive corrono i giorni e le notti senza tregua, non incontrando che torme di animali fuggenti, le foreste interminabili, le cui intricate liane non sono infrante che dall’impeto possente dei jaguars in corsa. Vedete quei fiumi dalle onde sonanti, vasti come mari, sui quali gli scarsi coloni non hanno altri ponti ed altre navi che le groppe dei loro cavalli, quei deserti desolati dove pochi uomini tuttora primitivi vagabondano per lunghi giorni dietro i bisonti fuggenti a caccia di pelli e di cibo.
E nella stessa Europa, la Siberia, non è dessa una vasta regione dai climi svariati e in gran parte pressoché inesplorata? I paesi stessi piú popolosi e civili non hanno dessi vaste contrade deserte, incolte o quasi? Non voglio ripetere a proposito dell’Italia cose risapute e dette a sazietà; ma non è certo deficienza della natura, se gli uomini oggi viventi non sono tutti nutriti, vestiti e ricoverati secondo il loro bisogno.
I popoli si espandono colla guerra, imitando le invasioni barbariche, e quindi la distribuzione e le ribellioni che ne conseguono, allontanano la possibilità della pacifica produzione, la quale, abbisogna anzitutto di relazioni cordiali fra gli uomini.
C’è da lavorare come c’è da vivere per tutti sulla terra. L’insipienza e l’egoismo soltanto rendono vana la infinita provvidenza della natura.