XIII. L'organizzazione dei lavoratori

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XII XIV


Il brano che segue è tratto da una conferenza indetta dal Gruppo Socialista di Cremona e dalla locale Unione Operaia Istruttiva; è una delle piú belle della Mozzoni, per quanto sia stata quasi improvvisata. La Mozzoni fu infatti chiamata a sostituire il socialista Prampolini, che avrebbe dovuto essere il secondo oratore dopo L. Bissolati. Decisa nell’assunzione del motivo classista rispetto ai limiti della democrazia borghese, essa vi porta di suo il senso del valore del dibattito culturale, della «battaglia delle idee» come elemento permanente della cultura socialista. La Mozzoni si rende ben conto, contro lo schematismo del tempo, che anche la teoria piú avanzata finisce asfittica se viene coltivata nella serra dell’esclusivismo. L’elogio del commercio, della circolazione delle merci e delle opinioni, probabilmente di origine cattaneana, si unisce alla denuncia delle «paternità e maternità imposte» che farebbe pensare a una lettura del Manifesto («... il borghese vede nella donna soltanto uno strumento di produzione...»), come anche il cenno all’internazionalismo, che traduce il motivo tipicamente mazziniano del contrasto irriducibile tra «internazionalismo dinastico» e «internazionalismo popolare». Il cenno mostra che la Mozzoni ebbe almeno percezione della trasformazione in atto nei gruppi reazionari: di qui a poco, nacque infatti il «nazionalismo» organizzato, che fin dall’inizio fu espansionista ed imperialista, e del quale fu naturale antagonista il naturale alleato dei movimenti di liberazione - inclusa quella femminile -: l’internazionalismo socialista.


Tutte le questioni sociali, prima di trovare la loro formula esatta, precisa, conterminata, scientifica, attraversano periodi piú o meno lunghi di confusione.

Nate nell’ordine istintuale dalla ribellione cieca e tumultuaria dei sensi contro il male che si sente e non si sa definire entrano piú tardi nel dominio del sentimento, meno confuso, ma pur sempre nebuloso e sfumato.

È il periodo dei lamenti, della rettorica, dell’accademia, dei discorsi interminabili, slabbrati, eccessivi.

I sofferenti vanno brancicando nel buio; si ravvicinano simpaticamente, come le goccie d’acqua che per legge di omogeneità gravitano le une verso le altre; sentono confusamente i loro mali; fanno appello a Dio ed agli uomini, invocano la carità, la giustizia, imprecano al cielo ed alla terra; non vedono la via d’uscita.

Ma questo periodo, che partito cieco dall’istinto, va man mano illuminandosi alla luce tenue del sentimento, alla fine del suo percorso si affaccia al cielo luminoso della ragione. Questa s’incammina diritta alla realtà, discerne i confini, verifica le misure e le proporzioni delle cose, apprezza le possibili forze d’azione e di resistenza, illuminando e tracciando la via pratica da percorrersi per arrivare alla soluzione.

Guai però se questo periodo si prolunghi eccessivamente! Guai se l’invasione del dottrinarismo riesca a dividervi in sette e scuole, in partiti e in fazioni!

L’immenso movimento sociale andrebbe miseramente a perire in una sterile accademia, disseccato e isterilito come un qualunque luogo pio scientifico.

Io non credo di illudermi, né di adularvi, se vi ritengo maturi all’ultimo periodo pratico.

Ma se della pratica tutti sentite il bisogno imperioso, pochi ne hanno il bernoccolo; e intanto l’immenso sfiatatoio dei discorsi, dei comizii, delle dimostrazioni, delle commemorazioni, va disperdendo nell’aria delle preziose energie, le quali, condensate e conglomerate, dovrebbero con bene studiata efficacia di mezzi, dirigersi ad un fine comune e pratico.

Il movimento operaio tedesco non ringagliardí e non percorse mai tanto cammino come quando tutte le valvole furono chiuse e tappate dalle leggi eccezionali.

Sotto la enorme pressione di quelle leggi, i vapori intellettuali, non potendo esalare al di fuori, si dettero a spingere vertiginosamente in avanti il movimento sociale, trascinando ponti, edifizii, argini e dighe, e forzando perfino lo stesso Imperatore ad entrare, come e per quanto lo può un Imperatore, nell’orbita sua.

Tutti i vostri amici vi gridano: «Organizzatevi, organizzatevi!» Voi stessi ne sentite il bisogno imperioso. Voi sapete di avere nelle mani un enorme materiale, e non vedete ben chiaro il modo di servirvene.

Avete amici devoti e provati, circoli, associazioni, biblioteche, banche, cooperative di consumo e cooperative di produzione, un capitale sociale enorme, che fin da otto anni fa ascendeva a un miliardo e parecchi milioni; e intanto molte delle vostre associazioni sono condotte e amministrate da persone estranee ai vostri bisogni e ai vostri interessi, e che anzi avrebbero interessi in assoluta antitesi coi vostri. Molti dei vostri sodalizii incubati, nati e cresciuti negli opificii industriali sotto il patronato dei principali (che fondarono associazioni e scuole come i re diedero le costituzioni e radunarono i parlamenti), vivendo come in terra di servitú, si tengono in disparte dal movimento operaio; e intanto il vostro denaro circola nelle banche della opulenta borghesia, ingegnandosi anch’esso a sostenere e puntellare quell’organismo economico, contro il quale declamate tutti, e che è tanto esiziale ai vostri interessi.

Ricchi di tutto questo materiale da guerra, come Davidi impacciati dal peso e dal numero delle vostre armi, le maneggiate timidi e incerti, e siete lontani ancora le mille miglia dal cavarne tutto il frutto che potreste.

Eppure voi siete già oggi a un punto di organizzazione da aver capito almeno che in voi stessi, in voi soli, stanno gli elementi di tutto il rivolgimento sociale.

Ma dall’averlo capito al volerlo ed al volerlo tutti, ci corre.

Non lo vogliono tutti coloro che si sono raccolti in associazioni sotto la disciplina e direzione di gente indifferente ai vostri bisogni ed estranea alla vostra classe.

Non lo vogliono quelli fra voi che hanno morso all’amo della dottrina, che insegna non dovere l’operaio occuparsi che della sua famiglia e del suo mestiere.

Non lo vogliono quelli fra voi che insegnati o dal quietismo ascetico, o dallo scetticismo fatalista, pensano che tutti i mali che vi affliggono sono voluti da Dio, o prodotti di un destino cieco ed invincibile e che quindi, tanto per l’un caso come per l’altro, la migliore filosofia è di rassegnarsi e pazientare.

Non lo vogliono quelli fra voi che disperdono in poche ore, gozzovigliando, il frutto del lavoro di molti giorni, pensando che basti al lavoratore il sollievo di poche ore, per aiutarsi a trascinare in qualche modo la stentata vegetazione del proprio individuo, che, per un pleonasmo abituale, egli chiama vita.

Non lo vogliono, e non possono volerlo, quei ritardatarii che, non ascritti ai vostri sodalizii, vivono lontani e al difuori di quell’orbita, nella quale circolano le idee, che preparano il riconoscimento dei diritti del lavoro.

Ora, non vi par egli urgente ed indispensabile trovare la via perché tutti arrivino a volere quello che a voi tutti importa; dacché la vostra vittoria è subordinata alla vostra concordia, e la vittoria non avrà mai luogo, se non sarete unanimi in una sola fede, in un medesimo voto, in un unico patto?

A questo dunque bisogna arrivare con la propaganda assidua, continua, operosa, instancabile; una propaganda, non già da tempi apostolici e a passi di formica, o da Franchi Muratori, cospirando nelle tenebre, ma franca, leale, aperta, forte ed onesta, quale ve la consentono i tempi, e i mille rapidissimi fili di trasmissione delle idee che sono oggi nelle mani di tutti.

Pari a quegli eroi primitivi, che camminarono alla conquista di nuove terre e nuove genti, con la spada in una mano e la legge nell’altra, voi, facendo procedere di pari passo la idea e l’azione, la organizzazione delle coscienze e la organizzazione delle masse, dovete educarvi e disciplinarvi, e correre insieme alla conquista dei poteri sociali, provvedere al presente e all’avvenire.

Se voi adottate il criterio che le vostre ricchezze sociali, oltre che pei santi fini della mutua assistenza, dovrebbero impiegarsi agli scopi che vi legano, nella identità degli interessi, in un patto naturale di confederazione coi vostri fratelli lavoratori di tutto il mondo, allora intenderete presto il da farsi.

Suppongo per un momento che voi siate in gran parte conservatori. Questo può essere perfettamente. L’arguto autore della commedia I Conti d’Agliate ha messo in iscena, con verità perfetta dei contadini che sono aristocratici e teneri del cerimoniale quanto dei ciambellani di palazzo.

Tutto è possibile a questo mondo.

Voi dunque siete conservatori.

Sarà però sempre vero che il vostro interesse è diverso, anzi opposto a quello di coloro che vi fanno lavorare.

Sarà sempre vero che i vostri padroni e principali vorranno pagarvi il meno possibile per la maggior possibile quantità di lavoro.

E sarà non meno vero e costante che voi vorreste un maggior salario per la minor possibile produzione.

Io suppongo altresí volontieri che, tanto voi come i vostri principali e padroni, siete il fiore degli onesti uomini; ma resterà sempre vero che i vostri rispettivi interessi sono diversi, anzi contrarii; la qual cosa viene a stabilire che, malgrado la qualunque opinione che voi professiate, in politica, in religione, in sociologia, od in qualsiasi ordine d’idee, una cosa avete tutti comunque senza eccezione, i vostri interessi, gli interessi di classe. Per questi, malgrado ogni supponibile buona volontà da parte vostra, come da quella dei vostri principali, dovete per forza di cose combattervi e lottare.

Quand’anche voi rimaneste inerti in una rassegnazione stoica, o cenobitica, di fronte ad ogni esorbitanza di sfruttatori, il sopralavoro e le conseguenze della sopraproduzione ci penserebbero essi a svegliarvi, e ad obbligarvi con la suprema ragione della fame a reagire.

Il capitale, a volta sua, è costretto, per la suprema ragione della concorrenza, a non accordarvi quartiere ed a sfruttare fino agli estremi confini del possibile voi, le vostre donne, ed i vostri bambini. Il presente organismo economico a base capitalistica, senza precisamente volerlo, è però, di fatto, calcato sul modello del Codice Schiavista della Carolina del Sud, il quale preludiava alla esposizione dei singoli articoli di legge con questo monito: «La legge si propone l’interesse del proprietario senza riguardo al benessere dello schiavo.»

Né a questo criterio, che sta nel fatto a base dell’attuale regime capitalistico di fronte agli sfruttati, può ostare la legge; perché le leggi economiche sono tanto impellenti, quanto quelle della fisica e della meccanica; epperciò i governi borghesi che, sia per condiscendere a certe insistenze, o per momentaneo bisogno di popolarità, propongono leggi protettrici del lavoro, sanno già anticipatamente che non caveranno un ragno dal buco, quand’anco si propongano e decretino con tutta buona fede, se vi pare di poterla benignamente supporre.

Ammesso che, come classe, avete, tutti quanti siete lavoratori del mondo, gli stessi interessi, pur riservando le vostre personali opinioni, e le vostre sociali autonomie, dovete, per forza di cose, gravitare verso un centro comune, essere mossi dagli stessi moventi e indirigervi ad un unico e medesimo scopo.

«Voi siete la forza, siete il numero, siete il diritto», diceva Gladstone ad una rappresentanza d’operai. «La vittoria domani sarà vostra se saprete essere concordi.» E l’illustre statista inglese, che ha troppo talento per vedere dei sobillatori al posto della fame, e della ribellione al posto del diritto, era cosí convinto di questa vostra vittoria, che pregava gli operai di voler essere «giusti e generosi» nel giorno della vittoria.

Organizzarvi, vuol dire disciplinarvi, vuol dire educarvi; e le classi dirigenti, se invece di essere comprese da uno stupido panico che altera le proporzioni, le distanze e l’indole del pericolo, fossero veggenti come Gladstone, dovrebbero esse medesime promuovere e favorire la vostra organizzazione, perché essendo la vostra vittoria sicura, questa sarà tanto meno violenta, quanto meno improvvisa, e quanto più preparata dalla educazione intellettuale, morale e politica.

È quindi nel ben inteso interesse delle classi borghesi, non meno che nel vostro, che io vi propongo un modo pratico di organizzazione.

Supponete che voi, lavoratori di tutta Italia delle città e campagne, che appartenete a sodalizii, comunque siano, fondiate, previa intelligenza, in un congresso per mezzo di appositi delegati, un centro direttivo della vostra agitazione, centro nel quale si sposerebbero il pensiero e l’azione, ed al quale convergerebbero le forze sparse dei lavoratori, che, localizzate oggidí, rimangono isolate ed impotenti, oppure sono traviate ad altri fini, o sfruttate da interessi estranei e contrarci.

Questo centro deve possedere per la propaganda ed educazione, come per l’attività elettorale, un giornale di gran formato, quotidiano, da fondarsi mediante un capitale fornito da tutte le casse sociali, prelevandosi in una quota che rappresenti qualche cosa come un soldo settimanale per ciascun socio.

Non credo di sbagliar troppo, presumendo che una simile quota potrebbe contribuirsi anche dall’accattone non che dall’operaio.

Questo giornale potrebbe chiamarsi «Il Monitore degli Operai», «La voce dei Lavoratori» o come meglio vi torna. E per dirvi che dal nome voi capite la cosa.

In questo foglio voi dovete trovare la piú ampia cronaca del movimento operaio di tutto il mondo, mediante le corrispondenze dalle associazioni operaie nazionali ed estere e dalle borse del lavoro, vostri corrispondenti naturali.

In questo foglio i lavoratori di Sicilia dei campi e delle miniere, li abitatori delle grotte della campagna romana, racconterebbero ai braccianti del Polesine, agli avventizii ed obbligati di Lombardia, alle filatrici dell’altipiano, alle risaiuole delle pianure irrigue, i loro dolori, le loro speranze, i propositi, le resistenze, i vantaggi ottenuti, i mezzi impiegati.

Le borse del lavoro, che sorgeranno man mano nei grandi centri, porterebbero da un capo all’altro della penisola, e dall’estero in Italia, e viceversa, le informazioni generali e locali sul mercato della mano d’opera, le domande, le offerte, le possibili imprese industriali ed agricole cui possano concorrere le associazioni di lavoratori, le mercedi correnti.

Gli agricoltori, stremati dalle fatiche e dalla fame, non sarebbero piú facile preda ad incettatori senza cuore, dacché le vostre corrispondenze vi darebbero chiara e sicura notizia del come corrano le cose in qualsiasi paese, e quali siano i vantaggi veri, o le delusioni amare, che aspettano i vostri compagni di lavoro oltre l’Oceano.

Ma questo centro direttivo deve anche, e sopratutto, essere un focolare d’azione, il quartiere generale della guerra che combattete e donde debbono partire, ed al quale debbono convergere, tutte le fila della vostra organizzazione.

Nel tempo delle elezioni amministrative e politiche esso deve divenire un’attivissima e poderosa leva elettorale, dalla quale deve emanare, dietro le sicure notizie locali, la parola d’ordine a tutti i sodalizii dei lavoratori d’Italia, che, sottratti cosí ad influenze estranee ai loro interessi, là come a stella polare, dovrebbero unicamente guardare ed ispirarsi.

E qual partito, quale potenza, quale corruzione potrebbe sostenere l’impeto della vostra forza numerica, disciplinata e tutta diretta ad uno scopo chiaro, semplice, determinato? Quale partito potrebbe sperare, non che di vincervi, di lottare con voi, che costituite gli otto decimi della popolazione d’Italia?

Vostro intento dev’essere di promuovere questa stessa organizzazione in tutti i paesi civili, dove esiste un movimento, od anche solo un elemento operaio.

Con due dozzine di siffatte sedi centrali attive, voi sapete ogni giorno come procedono i vostri interessi economici, sociali, morali e politici in tutto il mondo, corrispondete fra voi attraverso ai mari; assalite le sedi del potere in ogni paese e, solo che lo vogliate, stabilite in un breve volgere di anni un internazionalismo a programma economico-sociale, che lotta con sicura fortuna contro l’internazionalismo politico-dinastico dei governi presenti.

Le linee doganali, che oggidí, malgrado le maschere dei monopolii governativi, dei protezionismi industriali e dei trattati commerciali, che vorrebbero farvele credere qualche cosa di utile alle rispettive nazioni e protettrici dei loro singoli interessi, in realtà (istituzioni scritte sulla falsa riga della politica) non sono che circoscrizioni convenute e mantenute per delineare, circoscrivere e garantire le feudalità dinastiche; vengono da voi sorpassate, non dalle idee soltanto, ma dai patti dei nuovi Governi diretti da Assemblee, nelle quali la voce dei lavoratori tuona piú alto di tutte le altre, dacché i lavoratori non hanno interesse a queste barriere artificiali che alterano sofisticamente il valore delle merci, dividono i mercati, aumentano le distanze, e, senza impedire la sopraproduzione, rendono piú difficile il consumo.

Il vostro affratellamento e la vostra vittoria, abbattendo i confini artificiali, riduce tutto il mondo ad un solo mercato e restituisce ogni produzione al suo terreno naturale.

I singoli prodotti, anziché penosamente e costosamente ottenuti in ambienti disadatti e refrattarii, per vincere la concorrenza straniera, o le difficoltà dell’importazione, o superare, comecchessia, difficoltà convenzionali, frutti di una produzione spontanea e naturale, si diffondono dapertutto coi liberi scambii e con infinito minor costo per la gravitazione spontanea degli interessi, sostituita a quel sistema convenzionale autoritario, che è carattere delle amministrazioni presenti, e triste eredità delle antiche di voler tutto decretare, legiferare e violentare dal pensiero e dalla parola fino ai fatti economici.

E la guerra, come potrebbe essa durarla quando nelle assemblee legislative imperassero i lavoratori? essi che alla sanguinosa Dea recano a torrenti il tributo del sangue, pur non avendone toccato mai alcuno dei tristi vantaggi?

E contro chi vorrebbero essi i lavoratori portare le armi, se i loro interessi veri sono gli stessi in tutti i paesi, se gli stessi moventi li accomunarono, se i medesimi ideali li ispirarono, se i vecchi rancori che divisero i popoli e misero a ferro e fuoco il mondo civile furono sempre elaborati e rinfocolati, o dalle superstizioni religiose nell’interesse del clero d’ogni confessione, o dagli interessi dinastici, od oligarchici degli antichi governi?

Voi capite che questa pacifica evoluzione, che mette capo e si riassume in una radicale rivoluzione, non ha bisogno di violenza: ché anzi dovrete guardarvene accuratamente, non lasciandovi neppure adescare dalle provocazioni dei poteri legali, ai quali importa impedire qualsiasi vostra organizzazione.

La violenza induce inevitabilmente la reazione e con questa un sovraccarico di mali e una immane perdita di tempo, di lavoro, di forze e di consensi.

Dicono che la storia è la maestra della vita: ma è anche vero che la storia non imparte le sue lezioni che a metà. Essa afferma certi principii generali che rilevano dalla natura umana e sono perciò stesso permanenti ed identici in tutti i tempi, ma non ripete mai le sue combinazioni pratiche.

Se per distruggere il dispotismo o una oligarchia basta una insurrezione, e magari un intrigo da serraglio, una levata di scudi di pretoriani, o anche l'a solo di un assassino, per conquistare le sedi dei moderni poteri rappresentativi è indispensabile l’affiatamento, il numero, la disciplina, la organizzazione.

La trasformazione economica, morale e sociale, sarà il prodotto naturale, la pacifica emanazione della vostra azione legislativa; come la organizzazione feudale era la naturale emanazione della legislazione signorile, come la presente organizzazione sociale è il naturale impasto delle idee dell’89 che hanno auspicato l’avvenimento della borghesia collo svolgimento delle sue energie intellettuali, economiche, industriali e politiche.

Se non che la forza del numero della quale sarete indubbiamente arbitri, in quel giorno ed in quell’ora nella quale saprete essere concordi, se vi assicura fatalmente la vittoria, non saprebbe conservarvene il frutto, se non a patto che sia profondamente elaborata nelle vostre coscienze la sapienza e la tolleranza civile.

Che l’impazienza dei vostri dolori e l’entusiasmo santo dei vostri ideali non facciano velo alla mente d’alcuno di voi!

Vi è in tutte le cose un principio dinamico di conservazione, pel quale non appena un ente qualsiasi organico, nell’ordine fisico, come nell’ordine morale, sociale e politico, ha affermato la sua esistenza, tosto pone in opera ogni mezzo per conservarsi.

Senza la coesistenza e la coazione dei due principii opposti, la rivoluzione e la conservazione, non v’è consorzio umano possibile, dal piú elementare al piú complesso.

La rivoluzione impedisce il ristagno e la petrificazione.

La conservazione impedisce lo sfacelo e la confusione. Distruggete da cima a fondo l’ordine sociale presente, sicché non resti di esso né un re, né un prete, né un carnefice, né un gendarme, né un banchiere; ed erigetene un altro nuovo di zecca, dalle fondamenta. Quando l’avrete fatto, vorrete conservarlo, dacché il pazzo soltanto non cura la durata dell’opera sua.

Questa verità è il fondamento della tolleranza civile, è la salvaguardia dagli eccessi che travisano le rivendicazioni piú legittime, le ribellioni piú logiche e le intenzioni piú rette, e deve farvi sentire la necessità di una forte e larga coltura.

Ecco perché io vorrei che la redazione del vostro giornale fosse affidata a cultori capaci e convinti della sociologia, senza selezione di scuola o di parte. Non si può credere di conoscere alcuna dottrina, se, oltre all’averla studiata in sé stessa, non fu studiata comparativamente alle altre congeneri; e mancando ogni termine di confronto per apprezzarla, mancano in noi le ragioni per preferirla. La nostra coscienza potrà essere sorpresa, prevenuta, soperchiata, ma non convinta.

Il contradditorio immediato sulle colonne dello stesso foglio, contradditorio condotto con tutto il calore e la verità della convinzione da scrittori professanti sinceramente le dottrine che difendono non cogli artificii oratorii del polemista di mestiere che suppone l’avversario, e gli presta gli argomenti che vuole, deve essere il modo piú efficace ad accaparrare i lettori, come ad illuminarli sul valore delle diverse opinioni.

Da questa mostra permanente di fatti e di idee saranno attratti i lettori di tutti li umori e di tutte le opinioni.

Le convinzioni che si formarono sotto l’influenza di prevenzioni, di stimoli appassionati, o di effimeri infervoramenti, senza la controprova degli argomenti contrarii e del sereno esame, si fortificheranno, o si riformeranno. Gl’incerti troveranno i mezzi di determinarsi. Gl’indifferenti finiranno per essere attirati nella circolazione generale.

Da principio ognuno di voi vorrà leggere soltanto gli scritti firmati dal nome degli amici suoi, che parlano secondo la voce che dentro nell’anima gli parla, gradita e persuasiva.

Ma domani, ma dopo, ma un bel giorno un operaio, ad esempio, che non si è mai voluto associare al movimento generale perché secondo lui «a questo mondo le cose sono sempre andate cosí, e se non le andassero cosí, andrebbero peggio», quell’operaio dice a sé stesso: «Oh vediamo un poco che ragione mi sa dire, quello là, contro le leggi repressive che ha emanato l’Austria, la Germania, la Spagna, o quella qualunque Russia, o Turchia che non può soffrire gli scioperi e le coalizioni degli operai!» Egli pensa sempre che al postutto il piú sicuro è sempre di starsene cheti, per non pescarsi malanni peggiori.

Ma intanto, crollando la testa, legge. Procedendo nella lettura le distrazioni diminuiscono, la testa non crolla piú, gli occhi si fanno piú intenti, e continua con interesse crescente la lettura...


... Le altre classi sono forti... ma qui il pensiero del nostro neofito apre una parentesi involontaria e gli si affaccia un aspetto impensato della questione.

I borghesi sono forti?... Forti di che? Forti dei lavoratori vestiti da soldati - Forti dei lavoratori vestiti da questurini - Forti dei lavoratori che sparano i loro fucili e i loro cannoni - Forti dei lavoratori che costruiscono le loro corazzate e manovrano le loro torpedini - Forti dei lavoratori che montano la guardia alle loro fortezze - che scavano le loro miniere - che fondono i loro milioni - che conducono le loro locomotive - che custodiscono le loro linee doganali - che presidiano i loro fortilizii - che stampano i loro libri e i loro giornali - che difendono, vestiti da carabinieri, le loro persone e le loro proprietà - che trasportano attraverso ai mari ed agli oceani le loro merci...

Ma allora, riflette il nostro neofito, allora i forti siamo noi! E questo pensiero ritorna una, tre, venti, cento volte a battere al suo cervello.

Ormai gli è entrato il dubbio che tutto il presente organismo sociale riposi su una base falsa e sofistica, e che, un urto ben dato, potrebbe spostarla dal suo falso centro di gravità. Egli non la vede molto solida né in diritto, né in fatto.

Evidentemente l’equilibrio di questo edificio pare divenga ogni giorno un esercizio acrobatico, penoso, e affaticante pei governi... e questo si vede.

La questione sociale deve essere trattata e svolta nel vostro giornale da una redazione capace, e serena sotto tutti i punti di vista.

Il socialismo di Stato, l’individualismo, il socialismo cristiano, il collettivismo, l’anarchia, le ragioni della evoluzione e quelle della rivoluzione, tutto deve esservi rappresentato e trovarvi campo aperto con quella forte libertà di spirito, e civile tolleranza, che torna cosí difficile alla gente latina, educata da lunghi secoli all’autoritarismo dogmatico della religione e alla oppressione politica.

La vostra educazione deve essere completa.

Voi dovete poter dimostrare a voi stessi le vostre convinzioni, e queste non debbono poter essere scosse da obbiezioni imprevedute, né da smarrimenti morali nati dalla paura...

... Non assalite quindi di fronte queste difficoltà - giratele. Adottate nella vostra organizzazione la strategia militare di Napoleone primo. Egli non perdeva il suo tempo, come i vecchi pilastri da caserma, quali erano i generali delle potenze avversarie, a stringere di regolare e accademico assedio ad una ad una tutte le fortezze che incontrava per via. Le girava bravamente e andava diffilato a presentare ai nemici la battaglia in campo aperto. Quando la battaglia era vinta in aperta campagna, la fortezza si arrendeva senza colpo ferire, od era compresa nel trattato di pace.

Fate anche voi cosí. Non domandate le carte a coloro che invitate ad entrare nella vostra organizzazione; non presentate loro un credo da confessare, un solenne patto da giurare come cospiratori da melodramma; non perdete il vostro tempo a fare ad uno ad uno dei socialisti, rimettendo a piú tardi, quando saranno tutti fatti, ad allinearvi per la battaglia.

Allineatevi subito, concentratevi, agite.

Contate sulla scintilla d’entusiasmo che si sprigiona dall’azione, il cui fine è, o appare sempre piú, prossimo e determinato. Quanto la teorica, che si dirige in gran parte al cervello è fredda, altrettanto l’azione che abbraccia tutto l’uomo è calda e stimolante.

Quando avrete avviata l’azione, avrete assai piú facilmente ragione delle opinioni individuali, poiché dovete ritenere per fermo che gli interessi eccitati educano le opinioni con molta maggiore speditezza che i libri e le parole.

Recapitolando quindi le mie idee, propongo ai lavoratori di promuovere, in Italia, presso tutti i sodalizii operai delle città e delle campagne una intesa, per la fondazione di un centro intellettuale e direttivo della loro agitazione.

Questo centro, dovendo far procedere di pari passo il pensiero e l’azione, la propaganda e l’agitazione, dovrebbe constare in un grande organo di pubblicità, quotidiano, con ufficii di redazione di amministrazione e di direzione.

La redazione dovrebbe essere affidata ad un personale retribuito, capace, reclutato nel vasto campo dei cultori della sociologia di qualunque scuola, che svolga quindi la questione sociale da tutti i punti di vista, perché il giornale si diffonda dappertutto, possa essere letto da tutti, e fare anche presso le classi colte una efficace e seria propaganda.

L’amministrazione dovrebbe essere tenuta da operai, delegati dalle assemblee delle associazioni, le quali tutte contribuiscono alle spese, quotando ogni socio di un soldo per settimana.

Le corrispondenze sarebbero fornite dalle associazioni operaie e dalle borse del lavoro.

La direzione dovrebbe essere composta di soli operai. Essa potrebbe ammettere nelle adunanze del personale direttivo individui non operai con semplice voto consultivo. Essa deve occuparsi dell’agitazione elettorale, e di tutte le azioni e resistenze che dovessero organizzarsi nell’interesse del movimento generale.

La direzione deve altresí procurare di porsi in relazione coi centri dell’agitazione operaia nei paesi esteri, stimolare, in quelli, la fondazione di organismi uguali, e far atto ufficiale di presenza in tutti i congressi operai internazionali.

Scopo dell’organizzazione anzidetta, chiaro e determinato, dev’essere conquistare dappertutto i seggi legislativi, per fondare a suo tempo la Costituente dei lavoratori.

L’organizzazione deve tenersi nei confini della piú rigorosa legalità, per non perdere né un giorno, né un’ora, né un minuto del suo lavoro...


... Sono donna, e come tale, benché io sappia che dal progresso delle idee socialiste molto bene può derivare al mio sesso (sempre che gli uomini si decidano a mettere un giorno d’accordo le loro opinioni con le loro azioni) nessuno scopo individuale, né prossimo, né remoto, può ispirarmi, che non sia l’affetto che nacque con la mia ragione pei diseredati.

Il cristianesimo trovò la donna schiava, e la lasciò serva.

La Rivoluzione borghese la trovò serva, e la lasciò incapace, interdetta, pupilla.

La rivoluzione sociale la troverà minorenne; e come la lascierà? Se interrogo le vostre dottrine, devo credere ch’ella troverà finalmente la sua intera veste giuridica e la perfetta sua personalità sociale. Ma io so purtroppo che le azioni degli uomini non sono guidate dalle loro opinioni, bensì dai loro interessi; sicché un famoso statista contemporaneo inglese poté dire: «Io ho udito molti discorsi che hanno mutato la mia opinione, ma non ne ho mai udito uno che abbia cangiato il mio voto.»

Tuttavia ho molta fiducia in voi. Quello statista, membro stagionato di una società decrepita e incadaverita nel macchiavellismo, doveva naturalmente avere la coscienza cartilaginosa e incapace di sentire.

Ma voi siete giovani! Non che insensibili, la vostra sensibilità è irritata dai patimenti, dalla lotta, e dalla angosciosa vicenda quotidiana delle speranze e dei terrori nella guerra acuta che combattete per l’esistenza.

Voi dovete avere la fede dei giovani, la integrità dei forti e la ingenuità delle intelligenze che non conobbero i sofismi.

Vogliate ricordare in ogni momento della vostra battaglia e quando le vostre rivendicazioni saranno un fatto compiuto, che se una sola ingiustizia sarete per tollerare, quella sarà il baco che roderà tutto il vostro edificio.

Io ho parlato fin qui ai lavoratori in generale; e se l’eguaglianza predicata or è un secolo dalla borghesia con la proclamazione dei diritti dell’uomo avesse concluso a qualche cosa, dovrei aver parlato tanto agli uomini quanto alle donne. Ma, correndo le cose ben altrimenti, ne viene che quando si parla di lotta legittima, di diritti da conquistare, di bisogni da soddisfare, non si può intendere mai di aver parlato alle donne ove non sia esplicitamente detto.

Finora le donne non hanno intera veste di cittadine e di maggiorenni che davanti al Codice Penale e al Ministero delle Finanze.

Quando gli operai saranno arrivati a toccare la vittoria che Gladstone assicurava loro, le donne saranno da capo a rivendicare che cosa? semplicemente la loro libertà personale.

Vittoriose come lavoratrici coi loro compagni, dovranno riprincipiare a lottare contro di essi come persone.

Pare oggi ancora cosa tanto strana a molti che la donna possa avere opinioni diverse da quelle del padre o del marito, vocazione diversa da quella del maneggiare l’ago, essere magari portata a vita autonoma nel celibato, voler darsi a certi studii anziché a certi altri, respingere insomma quel regolo prepotente e autoritario che fa di mezza la umanità una cosa accessoria, subordinata e relativa all’altra metà, che non ha di proprio né moventi, né mezzi, né finalità: tutto ciò dico pare ad alcuni una cosa cosí eccentrica ed assurda che fa loro l’effetto come se un pesce volesse volare ed un uccello nuotare.

Ho udito degli oratori applauditi, e degli scrittori reputati, dire che le donne che pretendono queste cose (che tutti gli uomini ritengono naturalissime per sé stessi) escono dalla loro natura.

Come un essere qualsiasi possa non che riescire, pur immaginare, di uscire dalla propria natura, non saprei; questo però so, che sono ormai tante le donne che pretendono queste cose, e gli uomini che le trovano ragionevoli, e sono i piú intelligenti in ogni paese, che è assai lecito il sospetto che quella loro natura sia molto sofisticata.

Ho io bisogno quindi di dirvi, o lavoratrici, che, se associandovi come tali, nella battaglia coi vostri compagni, voi obbedite alla stessa legge, cui essi obbediscono, e lo fate con maggior ragione perché lo sfruttamento che si fa delle vostre membra delicate è ancor piú intenso: avete per dippiú il diritto, il dovere, in nome della dignità e libertà umana, di ribellarvi contro le tante diminuzioni della vostra personalità giuridica, sociale e domestica, di cui tutte le passate e presenti civiltà furono cosí feconde per la donna?

Io lo so, che, pur troppo, se lo sfruttamento che si fa dell’uomo nel presente regime capitalistico è enorme, quello che si fa di voi è doloroso, è iniquo e commove profondamente a pietà ed indignazione.

Tuttavia, non lasciate il vostro posto di lavoratrici, respingete ogni legge inopportunamente o ippocritamente protettrice. Siete già troppo tutelate, protette, custodite, difese.

Tutta questa paternità e maternità che vi si impone non richiesta, che vuole ad ogni costo esercitare intorno a voi, e sopra di voi un protettorato in ogni ordine, atto, fatto e momento della vostra vita; che ha, volta a volta, per delegati, e rappresentanti il padre, il marito, il confessore, il magistrato, il poliziotto, la scuola; che v’inculca la fede, il rispetto, il timore, il riserbo, l’umiltà, la passività, l’affetto virtuoso alle pareti della vostra casa, anche quando è una tana, tutti in una volta li effetti concentrici e negativi che annichiliscono e polverizzano la dignità e personalità umana; tutto questo insieme opprimente, asfisiante, ammolliente, deleterio è quello appunto che costituisce la vostra eterna servitú.

L’uomo è armato della forza del braccio, è armato del voto, è armato della legge, la quale, se non vale al lavoratore contro il suo sfruttatore, vale molto bene ai vostri mariti contro di voi.

Voi non avete che un’arma - il lavoro e la indipendenza economica che ne consegue - e sopra tutto il lavoro collettivo dell’opificio, che vi porta fuori delle mura domestiche, vi porta in una cerchia d’interessi e di idee estranee alla famiglia ed eguali a quelle dei vostri compagni, che vi permette di associarvi.

La servitù delle donne ha durato e dura tanto, per ragioni affatto speciali, principalissima fra le quali, quella dell’essere esse isolate le une dalle altre nelle rispettive case. L’opificio le accomuna, le assorella, permette l’affiatamento e la organizzazione.

Approfittatene - buttate fuori le vostre idee - comunicatevi i vostri sentimenti - non rientrate nel vostro cuore le ribellioni che dentro vi nascono. Queste franche manifestazioni educheranno in voi il coraggio e col coraggio la fiducia e il sentimento del vostro diritto, educheranno gli uomini a capirlo essi pure, a sentirlo, a rispettarlo.

Voi soffrite, le vostre madri hanno sofferto, le vostre figlie soffriranno cosí del pari, se voi non penserete seriamente a domandar conto, non a Dio, ma agli uomini dei mali che vi opprimono.

Ma la vostra protesta non deve essere individuale, isolata, fatta all’orecchio dell’uno o dell’altro. Questa fu fatta in tutti i tempi senza alcun risultato. Deve essere collettiva, fatta a voce alta, a tutti gli uomini, in tutte le occasioni, a tutti gli enti costituiti che vi opprimono, che vi escludono, che vi diminuiscono. Raccoglietevi in associazioni, e che le vostre bandiere portino scritta sui due lati la resistenza, quella delle lavoratrici e quella delle donne.

Associatevi intanto ai vostri compagni nella battaglia del lavoro contro il capitale.

Ogni rivoluzione ha fatto qualche cosa per noi, tanta è la virtú logica delle idee, benché le donne secondassero quei movimenti fascinate da nobili ideali, i cui vantaggi rimanevano sempre irrealizzabili per esse.

Oggi la coscienza di molte si è destata - la libertà ci è apparsa non come un ideale astratto, rettorico, o circoscritto in un certo ordine di fatti sociali, ma ampia, intera, pronta ad amplettere tutto l’ente umano e ad informarne il pensiero, gli affetti e le azioni - e noi sentiamo che ci batte in petto lo stesso amore di libertà, lo stesso sentimento del diritto alla luce, all’aria, al moto, alla vita, al lavoro nobile, utile, retribuito - sentiamo di avere moventi nostri, idee nostre, di volere certe cose, di non volerne certe altre, di rappresentare metà del valore della umanità, di essere produttrici preziose come lavoratrici e come madri, e che quindi non la servitù e la tutela ci compete, ma che i nostri interessi siano discussi e presi in seria e pratica considerazione; ci compete il voto consultivo e deliberativo nei consigli delle nazioni e della umanità.

Note

  1. L'organizzazione dei lavoratori, a cura del Gruppo Socialista e della Unione Operaia Istruttiva, Cremona, Tipografia Sociale, 1890.