VI. Petizione per il voto politico alle donne

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VI. Petizione per il voto politico alle donne1
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La petizione per il voto alle donne del 1877 non è la prima del genere in Italia, ma è la prima ad iniziativa della Mozzoni, e di qualche consistenza: pubblicata su «La voce del popolo» dell’11 marzo 1877 e su «La donna» del 30 marzo dello stesso anno, si inserisce nel clima di speranze suscitate tra i democratici dall’avvento della Sinistra al potere nel 1876.

Ha poco piú che un valore documentario, ma serve a rilevare come anche la rivendicazione di un diritto parziale e limitato sollevasse allora un’ondata di proteste quasi incomprensibili oggi. Per le discussioni sull’elettorato, che ovviamente furono l’occasione in cui vennero fuori le opinioni prevalenti in individui e gruppi politici intorno alla destinazione piú o meno naturale delle donne, possono servire da scorta le sedute del giugno 1877 della Camera dei deputati, e quelle del novembre 1883 del Senato del Regno.


Signori Senatori, Signori Deputati

Il presidente del consiglio dei Ministri nel suo programma di Governo, il quale ebbe efficacia di commuovere a speranza tutti gli italiani, stigmatizzò alcune leggi che basandosi sopra nude persecuzioni legali infirmano la realtà. Ora una classe innumerevole di cittadini trovasi avviluppata in una veste giuridica, la quale, emanazione di tempi disparati, reliquia di tradizioni antiquate, che il progresso delle scienze sociali ha demoliti da ogni altra parte, rappezzatura di Diritto Romano e di diritto consuetudinario straniero, astrae dalla realtà presente e si afferma come un fatto isolato nel corpo delle istituzioni moderne.

Ora questa massa di cittadini che ha diritti e doveri, bisogni ed interessi, censo e capacità, non ha presso il corpo legislativo nessuna legale rappresentanza, sicché l’eco della sua vita non vi penetra che di straforo e vi è ascoltata a malapena.

Noi italiane ci rivolgiamo perciò a quel Parlamento, che col Governo ha convenuto doversi alla presunzione sostituire la realtà, affinché posti in disparte i dottrinarii apprezzamenti e le divagazioni accademiche sulla entità e modalità della nostra natura, e sul carattere della nostra missione, voglia considerandoci nei nostri soli rapporti con lo Stato, riguardarci per quello che siamo veramente: cittadine, contribuenti e capaci, epperò non passibili, davanti al diritto di voto, che di quelle limitazioni che sono o verranno sancite per gli altri elettori.

A questa parità di trattamento con i cittadini dell’altro sesso, non conoscendo noi altro ostacolo che la tutela della donna maritata, domandiamo che sia tolta, come non d’altro originata che dalla legale presunzione della nostra incapacità, facendo noi considerare agli onorevoli legislatori, che avendo il Governo italiano promosso con ogni cura l’istruzione femminile e trovandoci noi, perciò, al giorno d’oggi, alla eguale portata intellettuale di una quantità di elettori che il legislatore dichiara capaci, stimiamo che nulla costi acché venga a noi pure accordato il voto politico, senza del quale i nostri interessi non sono tutelati ed i nostri bisogni rimangono ignoti.

Fiduciose nella saviezza e giustizia dei legislatori, le sottoscritte insistono perché sia fatta ragione alla loro domanda.

Note

  1. Petizione per il voto politico alle donne, in «La donna», Venezia, 30 marzo 1877.