La leggenda di Tristano/LXXVIII

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LXXVIII. — Ora torno alo conto d’una damigella ch’iera in corte delo re Marco, la quale volea bene a T. In qua dietro si contiene sí come T. noie volle dare suo amore; or si puose con Ghedin. E la damigella malvagia sí disse a Ghedin sí come T. usava di folle amore cola reina. Allora Ghedin si lo disse alo ree. E lo re disse: «Come il vi potremo noi cogliere e saperne la veritade?». E Ghedin rispuose e disse: «Bene, or vietate la camera e comandate a T. che non vi debia intrare. Ed allora egli non si ne potrae tenere d’entrarvi e cosí il vi coglierete». E allora disse lo re Marco che cosí farae. Allora sí comanda lo re Marco a T. ed a Ghedin ch’egli non debiano intrare nella camera dela reina sanza sua parola, ed eglino sí rispuosero e dissero che lo faranno volontieri. Allora disse T. in fra suo cuore che quello comandamento non si dice se non per lui. E T. allora fue piú infiamato del’amore di miadama la reina e sí favelloe a Braguina e dimandolla com’egli potesse favellare a madonna Isotta. Sí che trovarono l’andare per lo giardino del re e delo giardino montare in sun uno albore e dell’albore venire a una finestra dela sala [e dela sala] venire nela camera. [E in cotale maniera v’andò] e giacque co madonna Isotta. Allora sí n’avide la damigella che stava ala posta e andossine alo re Marco e disse: «Ree, ora è T. cola reina Isotta nela camera». E lo re bevasi incontanente e fae comandare ali suoi baroni che si lievino incontanente e vadano [p. 114 modifica] appresso di lui e prendano l’arme. Allora dice lo re: «Venite con meco». E lo re sí prende una spada e mettesi innanzi. E Braguina, quando sentio venire lo re, disse a T.: «Levatevi incontanente, ché [ecco] lo re Marco con grande gente». Allora non puote T. ricoverare a prendere altro ch’uno mantello e avolselsi in braccio. E lo re Marco fue ala porta e vide T. e disse a T.: «Oramai non può’ tu dire che tue non sii lo piú disleale e lo piú falso uomo del mondo». Ed amenagli un colpo dela spada e T. lo ricevette in sul braccio, ov’egli avea avolto il mantello. E T. diede alo re Marco uno colpo dela spada piattone in sula testa, sí che cadde in terra ispasimato e molto sangue gli uscio dela testa. E T. uscío fuori nela sala e li baroni sí veniano fuggendo l’uno in qua e l’altro in lae. E T. vassine ala finestra e discende giuso dell’albore e vassine via ala sua casa. E disse ali suoi compagni — ciò iera Sagrimon e Oddinello lo salvaggio e Sigris e un altro cavaliere e Governale — disse lo fatto sí come a lui iera incontrato. E li IIII cavalieri si erano quivi per vedere T. e chi v’iera per guerire di sue piaghe e chi v’iera sí come aventura gli porta. Ed allora í presero consiglio di partirsi, e incontanente sí prendono loro arme e vannosine allora via tutti e quatro insieme, sí come leali e buoni cavalieri, ch’egli amavano molto messer T. per la sua prodezza.