La leggenda di Tristano/CCXXIII
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CCXXIII. — Quando messer T. vidde lo gigante che portava uno deli migliori amici ch’elli avesse nel mondo, «non mi dimandate se io fui allora ismarrito». Elli broccia immantenente lo cavallo delli sproni e incomincia a gridare: «Lascia lo cavaliere, lascia lo cavaliere». E elli lo lascia immantenente per correre sopra di lui. Quando messer T. lo vide venire sopra di sé, sí grande e sí forte come elli era e uomo che tanto male faceva a tutti, messer T. lasciasi correre immantenente e di sua lancia lo credette [abbattere], ma elli non poteo, per ciò che fieramente si teneva in sella. Elli ruppe sua lancia in tale maniera e passa oltra. Quando messer T. vidde che no l’avea abattuto, «ora sappiate che quando io vidi questo io non fui molto al sicuro, e io misi mano alla spada e dissi che andasse ogni cosa, sí come aventura la volesse menare». Sí se n’andò incontra alo gigante colla spada diritta contra monte, «e feci allora uno de’ meravigliosi colpi che io vedesse mai a mia vita. Che lo gigante era tutto armato; sí lo feri sí duramente, che li feci la testa partire bene da sé e lo corpo cadere in terra immantenente». E quando Dinadam vide lo grande colpo ch’elli avea fatto, elli disse tutto ridendo: «T., T., se m’aiuti Idio, a costui avete voi mostrato chi voi sete». «In tale maniera com’io v’ho contato fu morto lo gigante, e li pregioni che in pregione era fuorono diliberati». Messer T. disse: «Estor, ora m’avete fatto contare ciò che non v’are’ contato, né a voi né altrui, ché certo sappiate che cosa che io faccia io non conto volentieri». «Certo» disse messer Estor «qui hae una molto bella aventura; io non vorrei in nulla guisa che voi non me l’aveste contato».