La gente di spirito/Atto quinto/Scena settima
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Giuseppe Giacosa - La gente di spirito (1872)
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Ernesto e detta.
Ernesto entra, la guarda, siede sul sofà e continua a guardarla.
- Eulalia
si volge e lo vede.
- Era qui lei?
- Ernesto
- No. L'ho incontrato che usciva. Mi rallegro.
- Eulalia
- Grazie.
- Ernesto
- Dunque è deciso?
- Eulalia
- Disapprova?
- Ernesto
- Oh! Io non disapprovo mai. Approvo... o taccio.
- Eulalia
- E tace ora?
- Ernesto
- Supponendo che osassi un consiglio, non lo seguirebbe mica, lei.
- Eulalia
- Chissà!
- Ernesto
- No... non lo seguirebbe. Solo che ne fosse innamorata, di Carlo, le mie parole potrebbero trovar credito presso di lei. Ma il suo è puro dispetto, e non ci si rinunzia così facilmente a una creduta vendetta.
- Eulalia
- Chi le dice che sia dispetto?
- Ernesto
- La conoscenza che ho di lei... la rapidità degli avvenimenti... l'impossibilità di una spiegazione diversa.
- Eulalia
- Come è sicuro ed assoluto nei suoi giudizi!
- Ernesto
- Oh! le scappatoie! Ha paura della verità, ne convenga. Lo sente anche lei, che io penso giusto. Ebbene, peggio per lei... non doveva provocarla questa verità.
- Eulalia
- Chi le ha dato il diritto di parlarmi a quel modo?
- Ernesto
- Lei stessa, interpellandomi. E poi, c'è sempre qualcheduno al mondo, a cui tocca la parte di giustiziere. È un'espiazione. È la mia. Di fronte a un pericolo serio come il suo, non mi è più permesso ridere, e devo esorcizzare. Lo so che le mie parole cadranno al vuoto, non importa... le avrò dette, e se ne ricorderà sempre. Quando un uomo sfatato come io sono, in qualunque modo e per qualunque causa ciò avvenga, apparisce sul cammino di chicchessia... non lo si dimentica più. Ci sono certe visioni che non appaiono che nei momenti supremi, sature di una potenza divinatrice. Sono una di quelle. Guardi, se me lo dice ancora di tacere! Non è vero forse che questa in cui io la getto, è la più forte delle emozioni che lei abbia provate finora? Lo subisce il mio fascino, perché ha del provvidenziale. Ed è trista sulle mie labbra, questa parola: Provvidenza! Ebbene, io la tengo lì, oppressa, an-sante, cogli occhi febbrili, colle narici spalancate, soggiogata sotto il peso delle mie previsioni, che sono oracoli... Lei sposerà Carlo, lo sposerà senza arrecargli pure un atomo d'amore e senza riceverne, lo sposerà dubitando di lui, lo sposerà forse cogli occhi gonfi di lacrime e col cuore gonfio di rimpianti, lo sposerà sospirando, lamentando, evocando i suoi bei sogni di convento e le sue fantasie di giovinetta, che non ritorneranno più, che non ritorneranno più, che non ritorneranno più. Da principio saranno meschine ipocrisie, saranno larve e sembianti d'amore che non inganneranno né lui né lei, ma gli altri tutti, e godrà la felicità del parere felice. Ma poi quella maschera inutile cadrà ancor essa, e allora sorgerà in lei la sete dei sollazzi, delle appariscenze, delle vacuità, del turbinio, e cercherà i rumori del mondo per dimenticare l'immensa solitudine dell'anima. E poi, un giorno, sentendosi stanca e credendosi sicura, vorrà far ritorno a se stessa, e si accorgerà di non aver dimenticato, e sarà come io sono, vecchia troppo per ricominciare a vivere, e non avrà vissuto, e troverà forse allora, come io trovai, la prima gioia vera, dopo le gioie dell'infanzia, nell'amarezza delle lacrime. Se sapesse come è triste quel destare invidia sempre, facendo pietà a noi stessi! La sua vita sarà come la mia, e io non le parlo così nella speranza di distorla dai suoi propositi, ma per poterla poi un giorno far sovvenire delle mie parole. Sarà un triste giorno, quello, per lei, ma allora avrà trovato un amico, e ne avrà bisogno, perché sarà molto disgraziata.
- Eulalia
- Grazie del vaticinio, signor indovino. E io che da principio l'ho quasi preso sul serio!
- Ernesto
- Quand'è così... ridiamo. Lo so scovare ancora il mio bel riso. Ho le labbra indocilite... dall'abitudine. Ridiamo? Difatti, sa un po' del Don Chisciotte la mia tirata, e lei e io siamo gente di spirito, e ci vuol altro per i nostri palati! Però confessi che fui eloquente. Ho filato il mio bravo discorsetto, col suo esordio, colla sua perorazione e colla chiusa, da disgradarne un Demostene, e ho fatto negromante da disgradarne Nostradamus. Vogliamo ridere?
- Eulalia
- Che strano uomo è lei!
- Ernesto
- No... sono un uomo come accomoda. Ce n'ho per tutti e per tutti i gusti; ma il mio mestiere è di godermela e di lasciar fare: il più bel mestiere che sia. Ho un solo difetto. Parlo qualche volta cogli altri come parlerei con me, se mi parlassi... e allora mi accorgo che gli altri mi ascoltano come io mi ascolterei. Ora mi bisognerà farmi perdonare il mio sermone... ecco... non le scriverò nessuna poesia per nozze... è un bel regalo!
- Eulalia
- Lei è nemico del signor Carlo?
- Ernesto
- No... sono il secondo del suo avversario. Oh scusi...
- Eulalia
- Lo sapevo.
- Ernesto
- Del duello?
- Eulalia
- Sì, del duello... che non avrà luogo.
- Ernesto
ironico.
- Ah!
- Eulalia
- Sono io che proibii assolutamente...
- Ernesto
- Naturale!
- Eulalia
- Come sarebbe a dire?
- Ernesto
- Nulla... solo... ancorché non lo avesse proibito lei, il duello non sarebbe stato egualmente.
- Eulalia
- Perché?
- Ernesto
- Perché son sicuro che la persona che fu oggetto della contesa non lo avrebbe permesso.
- Eulalia
- La persona?...
- Ernesto
- E io l'avrei avvertita in tempo.
- Eulalia
- Ma non... Chi è questa persona?
- Ernesto
- Non lo sa?