La fine di un Regno (1909)/Parte III/Documenti vol. II/V
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Testamento del principe di Butera.
L’anno 1855 il giorno 24 aprile in Genova, io sottoscritto Pietro Lanza e Branciforti ho scritto di proprio pugno a’ termini delle leggi vigenti in Sicilia e firmato il presente mio testamento olografo, che ho consegnato al mio caro fratello Padre Lanza dell’Oratorio di San Filippo Neri di Palermo, perchè lo dasse in deposito presso il Padre Preposito dell’Olivella affine di pubblicarsi ed avere il suo pieno vigore seguita che sarà la mia morte.
Riflettendo maturamente sulla brevità ed inanità della vita umana e sui pericoli, cui va essa esposta, e potendo da un istante all’altro essere chiamato da questa all’altra vita, credo convenevole e doveroso esprimere in questo foglio l’ultima mia volontà, e disporre del mio patrimonio, raccomandandone a’ miei eredi e successori ed esecutori testamentarii lo esatto adempimento in tutte le singole parti; quindi raccolti i pensieri e sentimenti miei tutti, ed invocato l’aiuto del divino spirito, ccsì la riepilogo e manifesto.
1° Chieggo perdono a Dio onnipotente di tutte le mie colpe e de’ peccati commessi da quando ebbi l’uso della ragione e per tutto il periodo della mia vita, imploro la infinita misericordia per i meriti del Redentore Signor nostro Gesù Cristo e per intercessione della Beata Vergine, e nel punto di morte raccomando specialmente a Dio l’anima mia, perchè, spoglia e monda da’ vincoli materiali e dagli effetti terreni, possa essere accolta nell’eterna beatitudine e godere la gioia e la pace de’ giusti e degli eletti.
2° Io non rammento avere giammai fatto di proposito mala a chicchesia, ho anzi avuto ognora il sentimento ed il desiderio del bene e l’ho praticato per quanto era in me, allorchè l’occasione mi si è offerta. Ho sempre procurato di aiutare e di soccorrere il prossimo. Però se qualcuno avessi offeso senza volerlo, ne chiedo solenne ammenda.
3° Perdono a’ miei nemici, se ne ho, ed a chi mi abbia offeso; particolarmente poi nel punto di morte non serbo odio, nè rancore contro chi mi ha fatto passare nell’esilio i più begli anni della mia vita, allontanandomi dal seno della famiglia, e dandomi così la maggior pena che il mio cuore abbia provata, quale fu quella di essere separato e lontano dal mio venerato genitore, allorchè Dio lo chiamava agli eterni riposi.
4° Raccomando caldamente a tutti i miei figli di tener sempre cara la fede e la patria. Per fede intendo la credenza in Dio trino ed uno, la incarnazione e redenzione di Gesù Cristo figlio suo e Signor nostro e di tutte le verità rivelate e insegnate con tradizionale e non interrotta continuazione nel simbolo degli Apostoli della Chiesa Cattolica, che siede in Roma, e le di cui dottrine e precetti mantenuti coll’unità racchiudono la verità; e compresi rettamente e puramente praticati, essi soltanto son capaci a render paga e soddisfatta la coscienza umana nel pelago tempestoso della vita.
Per patria intendo la Sicilia e l’Italia. Si adoprino dunque i miei figli ad essere buoni cristiani cattolici e buoni cittadini, e saranno così uomini onesti e generosi.
Sfuggano ed evitino le opinioni estreme, si guardino sempre ed in ogni cosa dagli eccessi, oppugnino e detestino la tirannide, come la licenza, e confidino non nel plauso della corrotta società che porta gli errori in trionfo, ma nella misericordia Divina o nella pace e serenità della propria coscienza.1
- ↑ Archivio Scalea.