Mais "inquinato dal caldo": una storia italiana

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Nei giorni in cui si scopre che mezza Italia s’è bevuta latte tossico a causa del mais contaminato in periodi di grande siccità da una muffa cancerogena, scoperta culminata con l’arresto di otto persone in Friuli, volentieri accogliamo nel nostro appuntamento domenicale questa riflessione di un autorevole storico delle scienze agrarie. Aspettiamo reazioni e commenti.

daGiannella Channel ottobre 2013


Per molti uomini politici italiani è vero, sistematicamente, quanto è opportuno: è vero, cioè, quanto assicura consenso, voti, potere. Quanto susciterebbe scetticismo, indifferenza, o, addirittura, avversione, non può essere vero: per un nipote di Machiavelli il vero deve essere, fondamentalmente, utile.

Essendosi, nella vita, occupato sistematicamente di agricoltura chi scrive è stato ripetutamente condotto alle riflessioni che ha enucleato dalla lettura delle impegnative elucubrazioni di uno dei protagonisti della patria agricoltura, l’assessore emiliano Tiberio Rabboni, sull’arduo tema dei danni, negli anni recenti sempre più gravi, alle colture di mais, di una farfalletta nefasta, la Pyrausta nubilalis, che si accontenterebbe, parcamente, di cibarsi delle cariossidi di mais lasciando, al proprietario del campo, quanto non fosse riuscita a devastare. Malauguratamente, però, le feci dell’insetto costituiscono il pabulum prediletto di un’intera famiglia di funghi microscopici, che, a propria volta, rilasciano, tra i cataboliti, alcune delle molecole naturali dotate, nell’infinita gamma dei composti vegetali, del più virulento potere tossico. Basti ricordare che le fumonisine, una delle classi dei tossici in questione, sarebbero responsabili della mancata trasmissione dell’acido folico dalla gestante al feto, la ragione della tragica frequenza, trai figli delle donne messicane, che non conoscono il pane, e ci cibano di tortillas di mais, di casi di deformazione irreparabile del sistema nervoso, causa non curabile di alterazione dell’intero meccanismo di percezione-reazione di un essere vivente.



Etica dell’informazione, farfalle e micromiceti patogeni.

Al di là della curiosità personale chi, mi chiedo, occupandosi di cose agresti, potrà dimenticare le ardimentose evoluzioni in cui il signor Rabboni si esibì, sul numero di marzo del 2007 della rivista di cui è, formalmente, direttore, Agricoltura, in un articolo dall’eloquente titolo “Energie pulite per l’informazione agraria”? Senza menzionare quali fossero i rei dell’alterazione della verità dell’informazione rurale, l’Assessore si profondeva, riferendo della propria intervista alla devota associazione dei giornalisti campestri della regione, nell’appassionata dimostrazione di quale dovesse essere il tenore di un’informazione che, in sintonia con il verbo dell’Ufficio stampa regionale, pretendesse la qualifica di obiettiva, attendibile, illuminante. Dopo tanto impegnativa premessa affrontava, con collaboratori illustri, il tema della difesa dal mais dalla farfalla importuna e dalla corte di patogeni che le fanno corona.

Un esemplare di Pyrausta Purpuralis

Chiave logica dell’articolo, l’asserzione, premessa di quanto sarebbe seguito, che “Non esistendo mais immuni” la lotta alla farfalla dovesse essere condotta mediante “i mezzi agronomici tradizionali”. Ma è a tutti noto che mais immuni agli attacchi della piralide sono diffusi in tutto il mondo: essendo, purtroppo, mais b.t. cioè o.g.m., la verità doveva essere cancellata: nello spirito della diffusione di energie pulite per l’agroinformazione era necessario, infatti “al villan non far sapere”. Siccome i villani non sono, generalmente, stupidi avrebbero potuto chiedere, candidamente: ma perché allora, non ce li lasciate coltivare?

Seguiva la dimostrazione, che impegnava pagine intere, di quali fossero i “mezzi agronomici tradizionali” con cui affrontare la nefasta farfalla: un’intera gamma di accorte pratiche agronomiche, di cui veniva riconosciuta (un rilievo veridico si può reperire, con qualche fortuna, anche negli scritti di un assessore regionale) la scarsa efficacia, riconoscendo, con qualche espressione ermetica, che l’inefficacia imponeva l’uso degli insetticidi. Prescrivere l’uso di insetticidi sulle pagine di un periodico in cui tutto deve costituire inno alle benefiche forze “biologiche”spontanee (che producono veleni più potenti dei distillati dei più infernali laboratori chimici: si può scegliere tra il morso del cobra e l’ammanita in barbecue) avrebbe procurato qualche senso di colpa agli estensori, che non proponevano alcuna lista degli antiparassitari impiegabili, evitando, non senza furbizia, un onere gravoso, siccome quasi tutti gli insetticidi autorizzati per colture che potevano finire in una mangiatoia erano reputati, dopo innumerabili delusioni, del tutto inefficaci, ed era alquanto diffusa, nelle campagne emiliane, la sensazione che gli agricoltori “si arrangiassero” con princìpi attivi assolutamente proibiti, una notizia che, nello spirito delle “energie pulite per l’informazione agraria”, poteva essere opportunamente ignorata.


Le conseguenze nefaste di un’estate torrida.

Qualunque filosofia della verità, da Machiavelli a Tiberio Rabboni, deve avere la propria coerenza. Propone la prova della ferrea coerenza ai princìpi sanciti dalla Magna Charta delle “energie pulite” l’articolo con cui, sul numero di aprile (2013) della propria prestigiosa rivista, l’assessore Rabboni diffondeva la gioiosa notizia che “il mais colpito dalla siccità servirà a produrre energia” un articolo atteso dal mondo agricolo padano, che nell’estate 2012 ha assistito a un’invasione senza precedenti, favorita dalla siccità, di Pyrausta, che nei mais stremati dall’assenza di acqua si è moltiplicata prodigiosamente inducendo una proliferazione altrettanto incontenibile dei patogeni che si nutrono degli escrementi.

Chi scrive, potendo contare sull’antica, reciproca stima, dei titolari di uno dei più moderni laboratori per le analisi agrarie operante in Valle Padana, era informato, in novembre, che il 30% dei campioni esaminati nella provincia ove opera il laboratorio doveva considerarsi irreparabilmente contaminato, e per legge destinato all’eliminazione. Un calcolo alquanto semplice dimostrava che se la media di quella provincia fosse stata rappresentativa di quella padana, reputando improbabile che tutto quel mais sarebbe stato distrutto, per “tagliare” il mais italiano inquinato (e abbassarne il contenuto patogeno) sarebbero stati necessari 100 bulkers da 80.000 tonnellate, valore di ogni carico, dopo che gli Stati Uniti hanno triplicato, in quattro anni, il prezzo del mais, 8 milioni di dollari. L’elemento incredibile, autentico arcano della ragione di Stato del signor Rabboni, era che tutto il mais importato dagli Usa sarebbe stato mais o.g.m., che avremmo potuto produrre sui nostri campi non solo evitando i danni della farfalletta e dei suoi commensali, ma producendo una quantità di mais assai più prossima ai bisogni nazionali di quella trebbiata sui campi riarsi.

Nei più recenti mais o.g.m. prodotti dall’industria sementiera Usa sono stati inseriti i primi geni per la resistenza alla siccità: in agosto la stampa internazionale annunciava la catastrofe produttiva del Corn Belt, l’ultima settimana di agosto le nuvole dell’Atlantico, attraversato il Continente, riversavano su Iowa, Illinois, Indiana e Minnesota piogge ristoratrici: i nuovi mais o.g.m. non erano morti per la siccità, avevano chiuso gli stomi e interrotto, come un cactus del deserto della California, ogni scambio biologico con l’ambiente: imbibito, di nuovo, il terreno di acqua, avevano riaperto gli stomi, e ogni acro di mais aveva ripreso a produrre, ogni giorno quintali di carboidrati con cui ricolmare le cariossidi. Il raccolto record previsto in primavera non si sarebbe realizzato, ma gli Usa avrebbero prodotto tanto da soddisfare la domanda interna e quella internazionale (quella, quantomeno, di chi fosse in grado di pagare i nuovi prezzi).

L’aspetto incredibile della vicenda non era tanto, quindi, nella necessità di acquistare mais dagli Usa (abbiamo sempre integrato la produzione insufficiente con acquisti a Chicago) consisteva nella necessità, per consentire al signor Rabboni di appagare l’odio per la scienza di un mondo “ambientalista” talora ignorante (o mendace), di importare 3-4 volte i volumi tradizionali, acquistando mais o.g.m. (in Iowa e Indiana non si producono più gli antichi ibridi a fecondazione naturale) pagando il triplo del prezzo tradizionale per quanto avremmo potuto produrre, in quantità maggiore e senza i danni di farfalle e micromiceti, sui nostri campi.


Coerenza etica e prezzo della menzogna.

Raccolto il mais dai campi padani, verificata la quantità che per legge avrebbe dovuto essere distrutta, l’esistenza, nei magazzini di privati e cooperative, di centinaia di migliaia di quintali di mais inquinato è stata inclusa, dalla “cupola” che decide quale sia la verità da propinare alla plebe italica, tra gli arcana del potere di cui nessun cronista avrebbe avuto facoltà di dare notizia. Un perfetto sistema di omertà ha conservato, fino ad aprile, sul contenuto di quei magazzini, il riserbo più inviolabile. Chi scrive ha maturato un’antica esperienza di cosa avvenga al cronista che non rispetti le regole del potere: riceverà da tutti gli interlocutori (quali il gerente della rivista del signor Rabboni) una breve comunicazione che lo informa che qualunque forma di collaborazione, è, da qualche data antecedente (tanto da evitare ogni equivoco), definitivamente interrotta.

Si può immaginare quali siano state, in sei mesi, le pressioni dei detentori per una soluzione che consentisse di eliminare giacenze del tutto inopportune e, in qualche misura, illegali, siccome gli esami erano stati eseguiti, ma i risultati “protetti” dal segreto di Stato (o di Regione) E si può immaginare il respiro dei medesimi detentori quando, sfogliando il numero di aprile del mensile del signor Rabboni, hanno letto il titolo consolante verosimilmente distillato dall’Assessore: “Il mais colpito dalla siccità servirà a produrre energia”. Ho già dichiarato la personale ammirazione per la coerenza della filosofia dell’Assessore, che, quando sia utile, è pronto a negare l’esistenza di mais inattaccabili dalla farfalletta, e, quando muti l’opportunità, è altrettanto pronto a negare la stessa esistenza dell’ infausto lepidottero. Riflettete sull’espressione “il mais colpito dalla siccità”: qualunque mais “colpito dalla siccità” presenterà, infatti, cariossidi avvizzite, povere, quindi di amido, ma qualunque animale, bovino suino, volatile, le potrà consumare senza alcun danno per la salute propria e quella di chi, successivamente, ne mangerà braciole, lombi o cotolette. Ciò che non si può somministrare agli animali è il mais inquinato dalle micotossine. Siccome peraltro, il mais padano è inutilizzabile perché inquinato dalle micotossine, e l’evento avrebbe potuto essere evitato coltivando mais o.g.m, che dovremo importare in quantità astronomiche per “tagliare” quello prodotto sui campi padani, l’argomento è incluso tra quelli che potrebbero “inquinare” le felici sicurezze dell’italica plebe.

Tanto più che la notizia, in sé inquietante, può addirittura, secondo il principio delle “energie pulite”, essere convertita in notizia felice: il mais inquinato sarà proficuamente convertito in energia elettrica. Molti critici hanno eccepito l’insensatezza, in un Pianeta in cui si sta imponendo la penuria, di devolvere, in un paese che ha già coperto di cemento metà della pianura nel secolo scorso ancora inclusa tra più fertili del Globo, spazi irriproducibili alla produzione di elettricità. Fisso al bene futuro della società, incurante delle riserve dei nemici del progresso, il signor Rabboni ha attivamente operato per moltiplicare i grandi impianti per la conversione dei prodotti dei campi in energia elettrica: a umiliazione dei critici ignoranti o malevoli può proclamare, così, che, grazie agli impianti favoriti dalla preveggenza regionale la sciagura si converte in beneficio, il mais “colpito dalla siccità” si trasformerà in energia per un paese costretto ad acquistare energia da tutti i paesi confinanti. Il costo di quell’energia rispetto a quelle concorrenti resta, comunque, prudentemente, conservato nello scrigno dei misteri della ragione di Stato: ai cittadini si deve sempre dire la verità, ma, abbiamo verificato, quanto è inopportuno perde, irreparabilmente, i caratteri di verità, diviene eticamente doveroso, quindi, negarlo, dissimularlo, alterarlo.

La quantità di mais destinata ai bruciatori, secondo la lungimirante convenzione interregionale promossa dal signor Rabboni consisterebbe, dichiara l’articolo di Agricoltura, in 350.000 tonnellate. 3,5 milioni di quintali. Il calcolo tratteggiato da chi scrive in autunno portava a una cifra dieci volte maggiore: non ho alcuna difficoltà a riconoscerla errata in eccesso. Debbo esprimere, peraltro il dubbio che la cifra dell’Assessore non corrisponda all’entità complessiva del mais da distruggere nella Pianura Padana. Ma, fosse anche vera, la cifra proposta da Rabboni pone un problema che un barlume di onestà politica (la dote degradata da Machiavelli a pura dabbenaggine) imporrebbe quantomeno di enunciare: i mais coltivati in Italia, oramai anticaglie genetiche, non solo hanno favorito la proliferazione dell’insetto, non hanno opposto alla siccità alcuna resistenza. Sottraiamo a una produzione carente anche solo 3,5 milioni di quintali: cosa mangeranno, da giugno al prossimo raccolto, in settembre, vacche e maiali di una grande area zootecnica? Quanto dovremo importare per non dover macellare metà degli animali allevati nella Pianura Padana?

Nello spirito dell’integrale informazione dei lettori, che può non coincidere con la filosofia delle energie pulite, ma che reputa elemento chiave di ogni convivenza democratica, questo foglio chiede all’assessore Rabboni quanto mais dovrà importare, quest’anno la patria agricoltura, come può l’Assessore garantire che, siccome a Chicago si vende solo mais o.g.m., quanto importeremo sarà mais esente da manipolazioni al Dna, e se, come pare inevitabile, le importazioni saranno di mais o.g.m, quanti milioni di dollari ci sarà costato non produrre il medesimo mais sui campi della fertile Pianura Padana. Sfidando l’eventualità di essere considerati (con quanti non hanno mai fatto delle massime di Machiavelli regola di vita) impenitenti sognatori, contiamo su una risposta di Tiberio Rabboni.

Antonio Saltini