La fame del Globo/Cap. 4
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L’ultimo notiziario della Fao propone due notizie chiave. Dopo quattro anni le produzioni cerealicole hanno tornato a superare i consumi: la penuria è scongiurata. Ma l’Asia pare consumare meno riso, più frumento e più mais: la prova di una mutazione degli equilibri alimentari destinata a trasformare l’economia del Pianeta
Il lettore dell’ultimo notiziario Fao, la più completa fonte di informazioni sulla produzione e gli scambi di derrate alimentari del Pianeta, è colpito da due notizie. La prima: superando la storica vetta dei due miliardi di tonnellate di frumento, riso e mais, la campagna 2004-5 ricondurrà la somma delle produzioni cerealicole al si sopra dell’entità dei consumi. La seconda: la stessa campagna segnerà la seconda contrazione successiva nel commercio mondiale del riso.
Il mondo è ormai, una sola grande collettività: tutte le sere i cittadini del Globo sono informati del numero dei soldati deceduti, nelle ultime ventiquattro ore, nelle guerre intercontinentali di George Bush, eppure per quattro anni successivi i campi del Pianeta hanno prodotto cereali in quantità inferiore ai consumi e nessuno ne ha informato sei miliardi di consumatori ugualmente interessati alla sicurezza degli approvvigionamenti. Per quattro anni i consumi sono stati assicurati contraendo le scorte, che sono giunte al livello più basso degli ultimi decenni: 440 milioni di tonnellate, il 20 per cento del fabbisogno, l’equivalente dei consumi di sessanta giorni, una quantità che non permetterebbe all’umanità di superare un’annata in cui un andamento climatico avverso imperversasse su continenti diversi.
Possiamo sperare nel futuro, ma il faticoso recupero della produzione, dopo quattro anni deficitari, ci ricorda che l’equilibrio tra produzione e consumo di alimenti si realizza, ormai, nel confronto sempre più teso tra una domanda che continua a crescere impetuosa e una produzione che ansima: su decine di milioni di ettari la fertilità si deteriora, si dilata il cemento, le disponibilità d’acqua si contraggono.
Riso: si contraggono gli scambi
La seconda notizia è assai meno clamorosa: la riduzione delle quantità di riso esportate nel 2004 è stata di 400.000 tonnellate, per l’anno successivo è prevista di 900.000 tonnellate. Il commercio internazionale del riso supera ancora i 26 milioni di tonnellate: si è indotti a relegare i due dati tra le fluttuazioni che caratterizzano tutti gli scambi di derrate, a negare loro qualunque significato. Una riflessione sulle tendenze poliennali del quadro alimentare induce, tuttavia, a riconoscere nei due dati indizi di un fenomeno tutt’altro che privo di significato: se li connettiamo alla constatazione che l’Asia produce sempre più frumento e mais, e al rilievo che le produzioni di frumento e mais crescono, nel Continente, ad un ritmo assai più rapido di quello che conosce il riso, quei dati si rivelano elementi di un fenomeno che potrebbe produrre effetti capitali per gli equilibri del Pianeta.
Frumento e mais costituiscono, storicamente, i caposaldi di due civiltà alimentari, quella europea e quella mesoamericana. All’alba del Novecento il mais costituiva ancora l’alimento chiave di intere società: c’era, ad esempio, in Italia, una società che viveva di mais, il cibo dei contadini. Nello stesso paese convivevano una società del frumento, la società che comprendeva i ceti alti e quelli medi, e una società del mais, la società contadina. Oggi frumento e mais sono elementi della medesima civiltà alimentare, quella civiltà occidentale che consuma il pane come complemento a alimenti di origine animale, carni di pollo, di suino e di vitellone, e latticini. Carne e latticini sono ottenuti, nel quadro agrario occidentale, dal mais, il fondamento della nutrizione degli animali, quindi la base di tutti gli alimenti che derivano dagli allevamenti. Con il contributo dell’orzo, consumato in quantità imponenti per ricavarne la birra, frumento e mais sono la chiave delle consuetudini alimentari dell’Occidente, le consuetudini dei paesi di matrice europea ubicati sulle sponde dell’Atlantico, Stati Uniti e Canada su quella occidentale, i paesi dell’antica Comunità Europea su quella orientale. La chiave della civiltà alimentare che si è contrapposta, nella seconda metà del Ventesimo secolo, a quella dell’Africa e dell’America Latina, che con qualche semplificazione possiamo definire civiltà del mais e del sorgo, e a quella dell’Asia, la civiltà del riso, nella quale la ciotola di riso è sempre stata integrata con verdure, dai germogli di bambù ai fagioli.
Il frumento sfida il riso
A metà degli anni Sessanta la Rivoluzione verde ha diffuso in Asia il frumento, le cui produzioni hanno iniziato una progressione vorticosa. Nei decenni successivi a fianco del frumento è iniziata lo coltura dei mais ibridi, e anche le produzioni di mais hanno iniziato a crescere a ritmi inarrestabili. La Cina, il paese emblematico del riso, nel quale mais e frumento erano le produzioni di aree peculiari, dove le condizioni climatiche erano avverse al riso, oggi produce 91 milioni di quintali di frumento, un’entità equivalente a quella dell’Unione Europea, primo produttore mondiale, prima dell’ultimo allargamento, e 141 milioni di tonnellate di mais, 10 meno dell’Unione Europea a venticinque membri, secondo produttore mondiale dopo il titano americano.
La rivoluzione alimentare asiatica è iniziata. Dove condurrà? La risposta è ardua, ma è ragionevole supporre che, se disponessero della ricchezza necessaria, i cittadini del Continente, che sono la metà della popolazione del Pianeta, realizzerebbero livelli di consumo comparabili a quelli occidentali. Quattro dati sono sufficienti a dimostrare quale sarebbe il significato dell’evento: il consumo di carne corrisponde a 120 chilogrammi pro capite all’anno negli Stati Uniti, a 90 nell’Unione Europea (quindici membri), corrisponde a 4 chilogrammi in India, a 46 in Cina. Supporre che il consumo di carne aumenti, nei prossimi dieci anni, di 30 chilogrammi pro capite in ciascuno dei due paesi, quindi di 30 chilogrammi per due miliardi di persone, significa postulare un fabbisogno di mais che, siccome il tasso di conversione del mais in carne corrisponde, secondo le specie animali, ad un fattore tre-otto, supponiamo cinque, toccherebbe i 300 milioni di tonnellate, l’equivalente della produzione degli Stati Uniti, un paese che è, esso solo, il continente del mais. E il computo ignora i latticini e la birra, e si limita ai due paesi chiave dello scacchiere, trascurando nazioni in cui si stanno sviluppando, con intensità diversa, gli stessi processi: Indonesia, Filippine, Pakistan. Comprendendo le variabili trascurate si impone, ineludibile, la domanda se Cina e India, e il resto dell’Asia, dispongano delle superfici, e dell’acqua, necessarie a raddoppiare la produzione mondiale di cereali foraggeri. Una domanda che impone, inequivocabilmente, una risposta negativa. Cina e India non dispongono della superficie necessaria a produrre, quanto elevati si possano postulare i rendimenti unitari, un miliardo di tonnellate di mais. La Cina, caso emblematico, dispone della più piccola superficie agraria pro capite al mondo, un decimo di ettaro, una superficie dalla quale è già prodigioso che riesca a ricavare la quantità di carne che i cinesi consumano annualmente, da cui è inverosimile si possa ricavare tanto mais da produrre la carne, il formaggio e la birra che consuma un europeo.
Quanta terra occorre per mangiare carne?
Ma se l’antico Celeste Impero dispone, tra i le potenze mondiali, di una superficie agricola pro capite esigua, tutti gli analisti concordano nel riconoscere che quella superficie sarà drasticamente contratta dal travolgente progresso economico in corso nel Paese, che imporrà di convertire in strade, aeroporti e aree industriali milioni di ettari dai quali oggi si ricava uno straordinario raccolto di riso e, nel corso dell’inverno, un abbondante raccolto di frumento. Come concordano nel ritenere pressoché impossibile che la Cina riesca a destinare alla propria agricoltura, in futuro, la quantità d’acqua che oggi destina alle proprie risaie, 400 miliardi di metri cubi, sempre più contesi dai centri urbani, dalle acciaierie e dalle industrie chimiche. Se muterà dieta, l’Asia importerà cereali, importerà tutti i cereali che le consentiranno le disponibilità economiche. Siccome quelle disponibilità economiche stanno dilatandosi ad un ritmo impressionante, è, probabilmente, già iniziata la più grande rivoluzione dei flussi di derrate della storia umana.
E’ un rilevo non privo di significato per un paese, quale il nostro, che negli ultimi cinque decenni ha drasticamente contratto, confortato dalla facilità delle importazioni, le proprie capacità produttive. Non esistono dati certi, ma è verosimile che negli ultimi cinque lustri l’Italia abbia coperto di cemento la superficie corrispondente ai due terzi del proprio fabbisogno di frumento tenero. Che oggi non saprebbe più dove produrre. Eravamo certi di poterlo acquistare in cambio dei nostri televisori, delle nostre scarpe, di camicie, pantaloni e piastrelle ceramiche. Oggi televisori, scarpe, camicie, pantaloni e piastrelle ceramiche, ai nostri antichi clienti le vende la Cina. Che vuole mangiare quello che, fino ad oggi, abbiamo mangiato noi.
- Spazio rurale, L n. 3, marzo 2005