La donna sola/Nota storica
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NOTA STORICA
Veramente l’edizione Pitteri assegna questa commedia al carnovale del 1758, ma leggesi nei Nolatorj inediti del Gradenigo, ai 4 gennaio 1757 (1756 M. V.): «Si diede permissione di valersi della maschera diurnamente, e nel Teatro di S. Luca si recitò una Commedia intitolata la Donna sola. Li personaggi sembravano adattati ad alcuni Nobili Giovani, et al fare di certe Dame, che affettano primaria vista». Lo stesso Goldoni poi nella prefazione al Raggiratore (t. III, 1757, dell’ed. Pitteri; vol. XIII della presente ed.) dice che la Donna sola cadde susseguendo alle recite felicissime della Ircana in Ispaan, tragicommedia scritta e rappresentata, come si sa, nell’autunno del 1756.
Singolare è la presente commedia, perchè fra i personaggi uno soltanto è di sesso femminile, come il titolo mostra. Che fosse scritta per Clarice, ossia per Caterina Bresciani, si indovinerebbe, anche se i Mémoires (II, cap. XL) lo tacessero: il carattere della sdegnosa attrice fiorentina non era del tutto modesto (v. anche il romanzo di Ant. Piazza, Il Teatro, II, p. 21, ricordato dal Bartoli e dal Rasi) e vien fatto di dubitare che nella Introduzione dell’autunno 1755 (vol. XII, 326 e 329) il Goldoni si burlasse di lei urbanamente. Se pensiamo in fatti alla Donna stravagante, alla Vedova spiritosa, alla Bella selvaggia, alla Dalmatina, alla Donna forte e ad altri tipi di donne che il commediografo veneziano in questo periodo inventò a bella posta per obbedire all’indole della celebratissima Ircana, possiamo con facilità rappresentarci la figura artistica della bella attrice, per la quale l’antico autore del Belisario e della Rosimonda lasciavasi deviare lungi dalle immortali pitture delle classi borghesi e popolari della sua Venezia.
Non è vero che la Donna sola piacesse (Mem.es, l. c.), anzi «precipitò» (pref. del Raggiratore cit.): e ci pare che il brutto esito non faccia torto al buon gusto dei Veneziani. Che mai potevasi ammirare in quella serie monotona di scene punto drammatiche? L’autore vagheggiò forse un’altra Mirandolina, più elegante e più imperiosa, che trascinasse alla sua catena ben sei adoratori a un tempo, di tutti ricevendo la servitù, e a nessuno concedendosi: ma donna Berenice, la nuova Circe, è un’immagine debole e confusa di donna, e i suoi cavalieri non sembrano più che ombre ridicole. Eppure i modelli non dovevano mancare al Goldoni nella sua Venezia; e una maga indiavolata era certamente l’amica Cornelia Barbaro (vedova d’un Gritti), a cui proprio allora il commediografo dedicava la Pupilla, e scriveva: «Il tempo che mi resta, allor ch'io sono con voi, gentilissima Arisbe, non l’impiego senza profitto. Il mestiere ch' io faccio ha bisogno d’aiuti, e le persone di spirito, come Voi siete, mi provvedono alla giornata». E il Chiari proprio di lei cantava sospirando: «Di nessun ligia - Tutta di tutti». — Qua e la si ammira, è vero, qualche spunto grazioso, specialmente nel difficile atto quarto che segna il trionfo di Berenice, la quale parte tenendo per mano, l’uno a destra, l’altro a sinistra, i due più ostinati rivali, don Claudio e don Filiberto. Ma il dialogo di solito languisce, l’azione vien meno: subentra l’inverosimiglianza, e la noia domina. Resta la satira di costume, a cui alludono i diari del Gradenigo, ma questa volta riuscì inefficace, nè bastò mai da sola a formare una commedia vitale. Si può concedere che il Goldoni ridesse ingenuamente di qualche sciocco concittadino, tuttavia non seppe imprimere alla satira nessun vigore caratteristico. Le stesse caricature, di don Agapito, il patetico sonnolento, del ridanciano don Isidoro, di don Pippo dotto ignorante, e finalmente del borioso don Lucio, nobile di fresca data (R. Schmidbauer, Das Komische bei G., Mùnchen, 1906,) pp. 94-5 e P. Toldo, L’oeuvre de Molière, Torino, 1910, p. 398) non sono nuove, nè furono abbastanza studiate, come voleva il Goldoni, nella gran scuola del mondo. — Quanto alla satira sociale, fu lasciata in cura ai due servi Filippino e Gamba (ricordo il solito quadretto dei serventi presso la toletta della dama: I, 6) o alla stessa donna Berenice (ricordo le moderne conversazioni:) «Che fan certe signore? Stan li come colonne; - Non sanno che giocare, dir male e far l’amore» I, 8; v. anche IV, 8).
Nell’Ottocento questa commedia giacque in una giusta dimenticanza: tuttavia una recita ricordano i Teatri (Giornale drammatico ecc., Milano), nel ’30. Il Meneghezzi (Della città e delle opere di C. G., Milano, 1827, p. 170) volle per sua bontà collocarla accanto ad alcuni «capi d’opera» che sarebbero più popolari, se voltati «a facile ed elegante prosa». Lo Schedoni, naturalmente, ha un sacro terrore della Donna sola, e vi trova per di più «due o tre motti non lodevoli» (Principii morali del teatro ecc., Modena, 1828, pp. 63-4 e 101). G. Costetti, a proposito della Vedova in solitudine (scritta 1820) del Nota, scrisse che le nocque «la somiglianza con la Donna sola del G.» (La Comp. Reale Sarda ecc., Milano, 1893, p. 26) ma voleva dire, io credo, col Cavaliere di spirito (cfr. la Sorpresa dell’amore di Marivaux, ed. del 1727) benchè sia una storia più antica della Matrona d’Efeso.
Bellissima, per la pittura degli affetti familiari, e notissima, la lettera di dedica del Goldoni al suocero Connio, in cui rivive la virtuosa Nicolina, compagna amorevole del commediografo fino all’ultima vecchiezza (Mém.es, III,) ch. 38). Degni di nota due passi, dove l’autore si consola di non aver avuto figliuoli, e dove accenna all’arte difficile dello scrittore comico.
G. O.
La Donna sola fu impressa la prima volta nel 1761 a Venezia, nel t. VII dell’ed. Pitteri, e l’anno stesso a Bologna (a S. Tomaso d’Aquino, t. VII). Uscì ancora a Venezia (Savioli VII, 73; Zatta, cl. 3a, VIII, ’93), a Torino (Guibert e Orgeas VI. 75), a Livorno (Masi XXI, ’91), a Lucca (Bonsignori XXVIII, ’92) e forse altrove nel Settecento. — La presente ristampa seguì principalmente il testo del Pitteri, riveduto dall’autore.