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Resta la satira di costume, a cui alludono i diari del Gradenigo, ma questa volta riuscì inefficace, nè bastò mai da sola a formare una commedia vitale. Si può concedere che il Goldoni ridesse ingenuamente di qualche sciocco concittadino, tuttavia non seppe imprimere alla satira nessun vigore caratteristico. Le stesse caricature, di don Agapito, il patetico sonnolento, del ridanciano don Isidoro, di don Pippo dotto ignorante, e finalmente del borioso don Lucio, nobile di fresca data (R. Schmidbauer, Das Komische bei G., Mùnchen, 1906,) pp. 94-5 e P. Toldo, L’oeuvre de Molière, Torino, 1910, p. 398) non sono nuove, nè furono abbastanza studiate, come voleva il Goldoni, nella gran scuola del mondo. — Quanto alla satira sociale, fu lasciata in cura ai due servi Filippino e Gamba (ricordo il solito quadretto dei serventi presso la toletta della dama: I, 6) o alla stessa donna Berenice (ricordo le moderne conversazioni:) «Che fan certe signore? Stan li come colonne; - Non sanno che giocare, dir male e far l’amore» I, 8; v. anche IV, 8).
Nell’Ottocento questa commedia giacque in una giusta dimenticanza: tuttavia una recita ricordano i Teatri (Giornale drammatico ecc., Milano), nel ’30. Il Meneghezzi (Della città e delle opere di C. G., Milano, 1827, p. 170) volle per sua bontà collocarla accanto ad alcuni «capi d’opera» che sarebbero più popolari, se voltati «a facile ed elegante prosa». Lo Schedoni, naturalmente, ha un sacro terrore della Donna sola, e vi trova per di più «due o tre motti non lodevoli» (Principii morali del teatro ecc., Modena, 1828, pp. 63-4 e 101). G. Costetti, a proposito della Vedova in solitudine (scritta 1820) del Nota, scrisse che le nocque «la somiglianza con la Donna sola del G.» (La Comp. Reale Sarda ecc., Milano, 1893, p. 26) ma voleva dire, io credo, col Cavaliere di spirito (cfr. la Sorpresa dell’amore di Marivaux, ed. del 1727) benchè sia una storia più antica della Matrona d’Efeso.
Bellissima, per la pittura degli affetti familiari, e notissima, la lettera di dedica del Goldoni al suocero Connio, in cui rivive la virtuosa Nicolina, compagna amorevole del commediografo fino all’ultima vecchiezza (Mém.es, III,) ch. 38). Degni di nota due passi, dove l’autore si consola di non aver avuto figliuoli, e dove accenna all’arte difficile dello scrittore comico.
G. O.
La Donna sola fu impressa la prima volta nel 1761 a Venezia, nel t. VII dell’ed. Pitteri, e l’anno stesso a Bologna (a S. Tomaso d’Aquino, t. VII). Uscì ancora a Venezia (Savioli VII, 73; Zatta, cl. 3a, VIII, ’93), a Torino (Guibert e Orgeas VI. 75), a Livorno (Masi XXI, ’91), a Lucca (Bonsignori XXVIII, ’92) e forse altrove nel Settecento. — La presente ristampa seguì principalmente il testo del Pitteri, riveduto dall’autore.