La donna di governo/L'autore a chi legge
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L'AUTORE
A CHI LEGGE1.
Non istarò a ripetere quel che più volte ho detto intorno al naturale mio abborrimento per li soggetti scostumati e pericolosi. S’io fossi imprudente a segno di compiacermene, la pubblica onestà e la Santa Providenza de’ Magistrati porrebbe2freno all’incauta licenza, e detto sia a gloria de’ Comici de’ nostri tempi, non ci sarebbe alcun recitante, che esporsi volesse a sostenere un tristo carattere.
Eppure anche i tristi caratteri s’hanno da far conoscere sulla Scena, per rimproverarli, per opprimerli, per isvergognarli. L’arte insegna in tal caso a moderarne l’aspetto, a estendersi sin dove la modestia il permette, e lasciar campo all’uditore di concepire il di più, che non apparisce sul Palco, e che l’Autore ritiene nella penna per onestà e per dovere. Si trovano delle Donne pur troppo, che costrette dallo stato loro a vivere del pane altrui, se ne abusano malamente, e guadagnando l’animo del Padrone, lo conducono dove l'ambizione o il mal costume le porta.
Ho veduto cogli occhi miei delle Famiglie in disordine, in disunione, in rumori grandissimi per causa di quelle lusinghiere serventi, che aspirano a dominare. Entrano in casa per Governanti delle Famiglie, e il loro governo tende per ordinario a fabbricare la propria fortuna sulle rovine dei Figliuoli medesimi. Succede poi bene spesso, che altri divori alla Governante ciò ch’ella con mala arte procaccia, ma non sì spesso accade ch’ella finisca con quel rossore e con quel castigo che merita, poichè gli acciecati Padroni lasciano talora anche dopo morte la memoria della loro fatuità e debolezza, beneficandole per le loro insidie, e per le loro studiate simulazioni.
Io ho avuto in vista in questa Commedia di smascherare alcune di queste false zelanti per li loro padroni, e d’illuminare altresì que’ tali che più credono ad una mercenaria adulatrice servente, anzichè ai parenti, agli amici, ed al loro sangue medesimo.