La buona madre/Lettera di dedica

Lettera di dedica

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La buona madre L'autore a chi legge
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A SUA ECCELLENZA

Il Signor

STEFANO GUERRA.


S
o che V. E. s’informa spesso di me, e dolcemente si lagna, che io non le scrivo. Le sue doglianze provengono da quell’amore, che ella benignamente mi ha sempre mai dimostrato, ed arrossisco di non avergli date maggiori prove della mia rispettosa riconoscenza. Prendo ora la penna in mano per iscriverle, per ringraziarla della bontà sua generosa, e per assicurarla della costante ossequiosa mia servitù; ma non so dove addrizzar la mia lettera. So che il viaggiare è in lei la passione predominante1, non so dov’ella presentemente si trovi. Prendo per ciò il partito di stampar questo foglio, e di metterlo in fronte ad una Commedia che ho l’onore di dedicarle, sicuro che essendo Vostra Eccellenza associata alla mia Edizione, il Tomo le perverrà da per tutto 2. Io mi lusingo ancora di rivederla in Francia. Me lo ha Ella promesso di qui partendo; e merita bene questo Paese, che un Viaggiatore lo veda, lo riveda, e lo preferisca.

Ella ha veduto tutta l’Italia, ha fatto due volte il viaggio della Germania. È venuta in Francia, è passata in Londra, e prima di ritornare alla Patria, non ha potuto a meno di non ripassar a Parigi, ed ha preferito questo delizioso soggiorno a quelle [p. 380 modifica]Corti, dov’ella fu sì teneramente accolta, e sì magnificamente trattata. Parigi, per chi ha danari, è il più bel Paese del Mondo. Per goderselo, bisogna potervi menare la vita ch’ella vi ha menato. Un buon appartamento, degli abiti da comparire, dei pizzi, dei diamanti, e dei luigi da spendere. Andar la mattina per la Città in abito di confidenza. Mettersi a mezzogiorno in parata, e far le visite di complimento. Andar agl’inviti, o dar da pranzo in casa. Andar il dopo pranzo ai passeggi, o ai Teatri.

Passar la sera in Compagnie, o nobili, o geniali, o di confidenza. Chi potesse leggere il diario, ch’ella fa esattamente de’ di lei viaggi, vedrebbe che la vita, che si mena a Parigi, è la miglior vita del Mondo. Abbiamo visitato insieme quasi tutte le delizie Reali. Ma ve ne restano ancora a vedersi. Venga a compir l’opera, e ne sarà ancor più contenta. Se per ragioni sue, o del rango ch’ella occupa, non può sì presto riprendere un nuovo viaggio, vorrei almeno ch’ella destasse ne’ suoi concittadini il desio di viaggiare. Niente più contribuisce a formare lo spirito, ed a migliorare la società del proprio paese. Basta non imitare il Cavaliere Ernold, ma osservare i precetti di Milord Bonfil3.

Vi è il buono, e vi è il ridicolo dappertutto, ma il ridicolo di Parigi non è certamente quello che si crede in Italia. Bisogna vedere per assicurarsi della verità. In tre anni ch’io sono in Francia, non mi è ancora riuscito di scoprire un Petit Maître, che si accosti all’immagine che se ne formano gl’Italiani. O il carattere della Nazione è cangiato, o dicono il falso tutti quelli che ne hanno scritto e parlato. Le caricature in Francia sono in oggi sì delicate, che bisogna avere tutta l’acutezza di spirito per ravvisarle.

L’uniformità è quella che domina in questo Paese. Tutti cercano d’imitar gli altri, e quello che sarebbe portato a qualche caricatura, si maschera, e si fa forza per comparire uniforme. Malgrado lo studio dell’uniformità, traspira un poco il carattere particolare, ma la caricatura divien sì leggiera, che sfugge assai facilmente agli occhi del forestiere. Vostra Eccellenza si ricorderà, che abbiamo fatte insieme queste medesime osservazioni; ma s’ella [p. 381 modifica]ritorna qui, vedrà che ne ho raccolte ancor delle migliori, dopo che ho trasportato il mio soggiorno da Parigi a Versailles4. La Corte è il Centro della Nazione dove l’arte usa più di cautela, ma dove si sviluppano meglio le verità. Io ho l’onore di vivere fra Cortigiani, ma non saprò mai essere Cortigiano! amo la sincerità, l’ho ereditata dal mio Paese, la custodisco con gelosia, come custodisco gelosamente quel titolo, con cui ho l’onore di sottoscrivermi ossequiosamente

Di V. E.

Parigi li Febbraro 17665.

Umiliss. Devot. Obblig. Serv.
Carlo Goldoni.


  1. In una riferta del confidente G. B. Medri, in data 22 agosto 1760, si legge: «S. E. Stefano Guerra parte per Vienna, et indi al Campo Austriaco la entrante settimana, e voleva condurre seco un tale Luigi Sagramora, che possiede la lingua tedesca. Ma questo non è voluto andarvi, dicendomi, che detto Gentiluomo è una sbrega [chiacchierone, spaccone], e che si fa poco onore, facilissimo trovare impegni con qualunque sorta di persone, come à fatto in altro viaggio dell’anno scorso in molte Città, e particolarmente in Genova». Anche G. Casanova ricorda un episodio del soggiorno di Stef. Guerra in Inghilterra, circa l’anno 1703, e dice di lui: «grand original qui, après ses voyages, retourna dans notre patrie plus bête qu’ il n’en était parti» (Mém.es, ed. Garnier, VII, 9).
  2. La presente lettera di dedica fu stampata in testa alla commedia nel t. IX dell’ed. Pasquali di Venezia, sulla fine dell’anno 1766.
  3. Si veda la Pamela, vol. V della presente edizione.
  4. In una lettera dei 2 apr. 1735 il Goldoni scriveva al march. Albergati Capacelli: «...Passo la mia vita più a Veisailles che a Parigi...»; e in altra dei 3 maggio, allo stesso, annunciava di «aver ottenuto un alloggio in Corte».
  5. Manca nel testo la data del giorno.