La bbotta de fianco

Giuseppe Gioachino Belli

1831 Indice:Sonetti romaneschi VI.djvu sonetti letteratura La bbotta de fianco Intestazione 10 luglio 2024 75% Da definire

Furtuna e ddorme La serva de lo spappino
Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti dal 1828 al 1847

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LA BBOTTA DE FIANCO.[1]

     E cchi vv’ha ddetto mai, sora piccosa,
Che in ne la zucca nun ciavete sale?
Io nun ho detto mai sta simir-cosa,
Ché discènnola a vvoi, direbbe[2] male.

     Anzi, le bburle a pparte, sora Rosa.
Pò èsse tistimonio er zor Pascuale,
Si jjerzera votanno l’orinale
Nun disse[3] che vvoi sete appititosa.

     E cciaggiontài,[4] guardate si cce còjjo,[5]
Ch’ortr’ar zale ch’avete in ner griterio,[6]
Tienete er pepe drento a cquell’imbrojjo.

     Scappò[7] allora ridenno er sor Zaverio:
“Co’ ssale e ppepe e cquattro gocce d’ojjo,
Poderissimo[8] facce[9] er cazzimperio.„[10]

10 novembre 1831.

Note

  1. Il frizzo.
  2. Direi.
  3. Dissi.
  4. Ci aggiuntai (aggiunsi).
  5. Ci colgo.
  6. Criterio.
  7. Scappare, in romanesco, vale anche: “uscir dicendo.„ [E, con l’aggiunta del fuori, vale lo stesso a Firenze, quantunque manchi anche al Rigutini-fanfani: — “Che bella cosa,„| scappò fuori di punto in bianco Gervaso, che Renzo voglia prender moglie...„ Prom. Spos., cap. VII.]
  8. Potremmo.
  9. Farci.
  10. Nome volgare della salsa, composta cogli anzidetti ingredienti, [e che a Firenze si chiama “pinzimonio.„]