La Perla Sanguinosa/Parte prima/7 - La caccia ai fuggiaschi

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7 — La caccia ai fuggiaschi


Lo stupore prodotto da quelle misteriose parole, pronunciate da quell'uomo che essi credevano ormai morto in fondo alle acque, fu così profondo, che per qualche minuto i tre fuggiaschi dimenticarono perfino le scialuppe dei sorveglianti, lanciate sulle loro tracce con la speranza di raggiungerli.

«Ti disputerò Juga! Davati ti lancia la sfida!» Come mai quell'uomo conosceva la fidanzata infelice del pescatore di perle?

Davati! chi era costui? Non era facile spiegarlo. Solo allora i fuggiaschi compresero che l'accanita sorveglianza del cingalese per impedire a loro, o meglio a Palicur, di fuggire aveva un motivo ben diverso da quello che avevano supposto fino a quel giorno.

Il malabaro stava per aprire le labbra, quando il quartiermastro lo prevenne, dicendo:

«Parleremo di ciò più tardi. Abbiamo la pelle da salvare. Ecco che anche il Nizam si mette della partita. Guardiamoci dai suoi cannoni.»

E infatti i fuggiaschi non potevano ritenersi ormai salvi. Quattro scialuppe, montate dai migliori tiratori del penitenziario e dai remiganti più robusti, si erano staccate dalla scogliera e davano vigorosamente la caccia alla barca a vapore.

Non erano però le scialuppe a preoccupare il quartiermastro. La macchina ormai funzionava e quei remi, per quanto poderosamente manovrati, non potevano competere coll'elica che già girava vorticosamente e che aumentava di momento in momento il numero dei suoi giri.

Era il Nizam a costituire il vero pericolo, almeno pel momento, poiché la scialuppa a vapore era ormai fuori portata dalle palle delle carabine, ma si trovava ancora sotto il tiro delle artiglierie.

La nave, che portava ogni quindici giorni le provviste destinate al penitenziario, subito avvertita della fuga dei tre forzati, si era a sua volta messa in caccia. Era un vecchio piroscafo di tre o quattrocento tonnellate, con macchinario non troppo in buono stato a dire il vero, ma certo ben provvisto di combustibile, montato da una cinquantina di marinai dello Stato e armato di quattro pezzi d'artiglieria disposti sul ponte in barbetta.

La scialuppa, che aveva un buon forno verticale, poteva senza difficoltà guadagnare via, sviluppando una velocità di undici nodi all'ora, ma per quanto tempo? Il combustibile accumulato da Jody poteva durare tutt'al più quaranta ore, se usato con economia, mentre il Nizain ne aveva forse per qualche settimana, senza bisogno di rifornirsi.

«Getta carbone, Jody, — disse il quartiermastro che si era collocato alla barra del timone. — Il Nizam sta girando la scogliera.»

«E le barche?»

«Non occupartene.»

I sorveglianti, vedendo la scialuppa fuggire verso il sud, per mettersi al riparo dietro una punta rocciosa che si spingeva molto innanzi sul mare, avevano aperto un violentissimo fuoco colle carabine, fuoco affatto inefficace perché, come abbiamo detto, i fuggiaschi si trovavano ormai fuori tiro.

La nave a vapore, che affrettava la marcia, comparve a sua volta, mostrando i suoi tre fanali che spiccavano vivamente nelle tenebre. Quasi subito una fiamma balenò a prora, seguita da una formidabile detonazione. Si udì in aria il ronfo rauco del proiettile, poi si vide un getto di spuma balzare in alto a trenta metri dalla prora della scialuppa.

«Assaggiano, — disse Will. — Al terzo colpo ci prenderanno, se saremo ancora a tiro. Jody, carica la valvola o la scialuppa verrà spaccata!»

Un secondo sparo rimbombò sul ponte della nave a vapore e la palla s'affondò a quaranta o cinquanta metri dalla poppa della scialuppa. Will si voltò vivamente, guardando il Nizam.

Le scialuppe dei sorveglianti si erano fermate e tornavano lentamente verso Port-Cornwallis, avendo ormai compreso che sprecavano forze e munizioni senza alcun risultato.

La nave invece forzava le sue macchine, per raggiungere i fuggiaschi prima che potessero mettersi fuori portata dalle sue artiglierie. Dalla sua ciminiera uscivano, a gran volate, nubi di fumo miste a scorie, che salivano in cielo fiammeggiando.

«Se ci sbagliano siamo salvi, — mormorò il quartiermastro. — Ancora mezzo minuto e le sue artiglierie diverranno inutili. Palicur... Jody... tenetevi pronti a gettarvi in acqua. Se ci spaccano la scialuppa, ripareremo sulla costa, se saremo ancora tutti vivi.»

Un terzo lampo balenò sulla nave, verso poppa questa volta.

Il quartiermastro si curvò istintivamente e forse con quell'atto salvò la propria vita, poiché un istante dopo una palla passava quasi rasente la scialuppa, perdendosi in mare a brevissima distanza.

«Siamo salvi! — urlò. — A tutto vapore, Jody! Non ci prendono più.»

La scialuppa aveva raggiunto la penisoletta che si protendeva molto avanti sul mare, mettendosi completamente al coperto dai colpi del Nizam. Il quartiermastro la lasciò filare per qualche po' lungo la costa, poi quando stimò che fosse ormai abbastanza lontana per non aver più da temere le palle di cannone, tornò a lanciarla verso il sud. Avendo un vantaggio di quasi tre nodi all'ora sulla vecchia carcassa, anche mostrandosi non aveva più nulla da temere.

E infatti un quarto proiettile sparatole dal Nizam cadde a più di cento metri dalla poppa.

«Buona notte, signori miei! — gridò Will ironicamente. — Sarà per un'altra volta, se sarete capaci di raggiungerci.»

«Non rinunceranno alla caccia, ve lo assicuro, signor Will, — disse Jody, che guardava con angoscia la provvista di combustibile. — Aspetteranno che abbiamo consumato questo po' di carbone per darci nuovamente addosso.»

«Vi sono dei nascondigli lungo le coste e là potremo fare legna, — disse Palicur. — Le piante resinose abbondano su queste isole.»

«Non dico di no.»

«Quanto la potremo durare con questa velocità?» chiese il quartiermastro.

«Fino a posdomani all'alba, spero. Si potrebbe rallentare un po' ed economizzare il combustibile.»

«Preferisco che questa velocità non scemi, — rispose Will. — In vent'otto o trenta ore noi potremo raggiungere l'ultima isola del gruppo senza fermarci.»

«Dimenticate una cosa, signor Will.»

«Quale?»

«Che non abbiamo nemmeno un biscotto da porre sotto i denti.»

«In qualche modo provvederemo.»

«E che non possediamo nemmeno una goccia d'acqua, signor Will. Quel furfante ha gettato via anche le noci di cocco.»

«Faremo una punta sulla costa, il più tardi possibile. Mi preme perdere di vista quella nave, prima di tutto.»

«A mezzodì avremo almeno trenta nodi di vantaggio.»

«Aspettiamo il mezzodì dunque.»

Guardò verso il nord; i fanali del Nizam scintillavano ancora sulla fosca linea dell'orizzonte, così piccoli però che non dovevano tardare a scomparire. Il vecchio legno perdeva via ad ogni momento e bruciava inutilmente il suo carbone nelle macchine asmatiche.

«Ora possiamo parlare dei nostri affari, — disse Will, guardando il malabaro che pareva immerso in profondi pensieri. — Nessuno ci minaccia pel momento e la nostra rotta non richiede alcuna vigilanza. Palicur, quale impressione ti ha fatto il cingalese con quelle parole?»

«Io credo d'impazzire, signor Will, — rispose il pescatore di perle. — È mezz'ora che frugo e rifrugo nella mia memoria e che tormento ferocemente il mio cervello per tentare di spiegare quel mistero. Davati! Chi può essere? Eppure questo nome io devo averlo già udito.»

«Da chi?»

«Da Juga.»

«Dalla bocca della tua fidanzata?»

«Sì, signor Will. Sono certo che quel nome lo ha pronunciato. Quando? Non ve lo saprei dire.»

«Spieghiamoci. Prima avevi mai veduto il Guercio?»

«Non mi sembra, signore,» rispose Palicur.

«Pensa bene.»

«Ho pensato molto, signore, e non mi ricordo d'averlo incontrato fuori dal bagno.»

«E come vuoi che conosca Juga? Il fatto è che quell'uomo è un tuo rivale e deve aver amato la fanciulla del tuo cuore.»

«Ecco, signor Will. Mi ricordo che una sera il padre della fanciulla mi parlò di un pescatore di perle, che aveva chiesto la mano di Juga, ma io non seppi mai chi fosse, perché più nessuno me ne parlò.»

«Mi viene ora un sospetto, — disse Will. — Che il Guercio non sia stato estraneo al rapimento commesso dal tiruvamska del monastero di Annarodgburro e che sia stato lui ad additargliela, per vendicarsi del rifiuto avuto.»

«Sono anch'io del vostro parere, signor Will.»

«Ma se era perduta per te lo era pure per lui in tal caso,» disse Jody, che fino allora si era limitato ad ascoltare i suoi compagni.

«Avrebbe potuto riscattarla colla perla sanguinosa, quella maledetta perla che io ho tanto cercato per due mesi di seguito, dopo il rapimento di Juga.»

«La perla sanguinosa! — esclamò il quartiermastro. — Ecco la seconda volta che io l'odo nominare da te, senza aver potuto ancora sapere di che cosa si tratta.»

«Era la famosa perla che ornava come un terzo occhio la fronte della statua gigantesca di Godama, che trovasi nel monastero di Annarodgburro,» disse Palicur.

«E che c'entra con Juga?»

«Solo colui che può ritrovarla può riscattare una delle fanciulle diventate spose del dio. Se io potessi scoprirla, Juga tornerebbe mia.»

«E dove si trova?»

«In fondo allo stretto di Manaar.»

«Chi ve l'ha gettata?»

«Colui che l'ha rubata; o meglio, non l'ha gettata, perché essa si trova ancora nell'atroce ferita che quel disgraziato si era fatto nella coscia destra.»

«Sì, conosco anch'io quella storia, disse Jody.

«Io invece non capisco affatto, — rispose Will. — Spiegati meglio, Palicur. I fanali del Nizam non sono più visibili, possiamo quindi chiacchierare a nostro bell'agio.»

«Quella storia rimonta a due anni fa, — disse il malabaro. — In occasione d'un pellegrinaggio, un pescatore di perle, uomo astuto e di fegato, si era fisso in capo di togliere la perla che ornava la fronte di Godama e che tutti ammiravano per la sua grossezza e per il suo splendore. L'impresa non era certo facile, eppure quell'uomo, non si sa in qual modo, riuscì a privare il dio di quell'ornamento.

«Se era stato possibile commettere il furto, non era invece facile trafugare il gioiello. Dato l'allarme, tutte le porte del monastero vennero chiuse e tutti i passi che conducevano sulla montagna immediatamente occupati, onde nessun pellegrino potesse allontanarsi senza essere prima rigorosamente perquisito.

«Il ladro riuscì però a condurre a buon fine l'audace furto. Coll'aiuto d'un complice, un vecchio indiano, anche lui pescatore di perle a quanto si suppone, si fece fare una profonda incisione nella coscia destra e nascose dentro l'orribile ferita la perla. Poté quindi lasciare indisturbato Annarodgburro, fingendo di essersi ferito accidentalmente con un colpo di scure; nessuno poteva supporre che portasse la perla sepolta nella sua carne.»

«Era grossa?» chiese il quartiermastro, che s'interessava straordinariamente a quel racconto.

«Quanto una noce, mi hanno detto,» rispose Palicur.

«Quell'uomo doveva soffrire atrocemente con un simile ingombro nella carne.»

«Certo e dovette arruolare dei portatori per farsi condurre alla costa su un palanchino.»

«E non vendette colà la perla?»

«Non ne ebbe il tempo. Il vecchio indiano che gli aveva fatto la ferita, spaventato dagli anatemi lanciati dai tiruvamska contro gli autori del furto, ventiquattr'ore dopo denunciava il pescatore di perle. Questi fu subito inseguito e raggiunto, nel momento in cui stava per prendere il largo su una scialuppa e riparare nel Travancore.»

«Vedendosi perduto, piuttosto che restituire la perla s'inabissò all'estremità settentrionale del banco di Manaar, dopo essersi sparato un colpo di pistola in un orecchio.»

«Colla perla rinchiusa nella ferita?»

«Sì, signor Will.»

«E non fu più ritrovato il suo cadavere?»

«No, perché l'acqua colà raggiunge i sessanta e fors'anche i settanta metri di profondità e nessun pescatore di perle può discendere tanto.»

«Con un buon scafandro avrebbero potuto ripescare l'uomo e anche la famosa perla,» disse il quartiermastro.

«Che cos'è uno scafandro?» disse il malabaro.

«Te lo dirò un'altra volta. Continua per ora.»

«La storia è finita, signor Will.»

«L'hai cercata anche tu quella perla?»

«Sì, appena riacquistata la salute, mi sono recato al banco colla speranza di trovarla e di riscattare con quella Juga, ma non riuscii mai a raggiungere il fondo. Fu allora che, avvilito di non poterla rinvenire, tentai di rapire la fanciulla.»

Will fece colla mano un gesto, poi disse, come parlando fra sé:

«Se si potesse sapere il luogo preciso dove quell'uomo si è lasciato andare a picco... chissà!»

«Ma io lo so, signor Will, — rispose il malabaro. — Mi è stato indicato esattamente da uno degli uomini che inseguivano il ladro sul mare.»

«E se qualche squalo avesse divorato il ladro e la perla insieme? E poi in due anni il corpo si sarà disciolto e chissà dove sarà andato a finire il terzo occhio del dio cingalese. Tuttavia non disperiamo, — aggiunse poi, vedendo che Palicur impallidiva. — La perla può essersi mescolata alla sabbia.»

Stette un momento silenzioso, poi riprese.

«Vorrei sapere perché il Guercio si trovava al penitenziario. Vi è un punto oscuro che vorrei dilucidare.»

«Io lo so, — disse Jody. — Me lo ha raccontato Foster, una sera che era mezzo ubriaco.»

«Narra dunque.»

Il mulatto stava per aprire le labbra, quando avvenne un urto violentissimo che fece alzare di colpo la scialuppa, mentre nello stesso momento uno sprazzo di materia nera come l'inchiostro, che tramandava un acuto odore di muschio, si rovesciava sui banchi, mandando a gambe levate i tre forzati e inondandoli da capo a piedi.