La Montagna di luce/28. La fuga dei ladri

28. La fuga dei ladri

../27. La generosità d'un principe ../29. L'assalto alla tomba IncludiIntestazione 20 febbraio 2018 75% Da definire

27. La generosità d'un principe 29. L'assalto alla tomba

28.

LA FUGA DEI LADRI


Dhundia, il fakiro ed i sapwallah, resisi padroni del Kohinoor e ferito gravemente l'elefante onde impedire a Toby e ad Indri di inseguirli, avevano abbandonata precipitosamente la gola, fuggendo verso il sud.

Avevano inforcati i loro cavalli, che durante l'imboscata avevano lasciati nella pianura, sotto la guardia d'alcuni uomini e contavano di giungere alla frontiera prima che le gole venissero chiuse dalle guarnigioni degli hudi posti a guardia dei passaggi.

Non distavano che una ventina di miglia dalla valle del Senar, luogo scelto da Barwani e dal fakiro per entrare nel Gondwana, distanza che i loro cavalli potevano superare prima che spuntasse l'alba.

Il famoso diamante era subito passato nelle mani di Dhundia, diventato ormai il capo di quella banda di audaci bricconi da lui assoldati per conto di Parvati, il nemico acerrimo del favorito del guicowar.

Dopo una corsa furiosa di dieci miglia, i dacoiti si erano fermati in una profonda vallata per accordare un po' di riposo alle loro cavalcature e anche per consigliarsi onde ingannare la sorveglianza delle guarnigioni degli hudi nel caso che quelle avessero già ricevuto l'ordine di non permettere il passaggio alle persone provenienti dall'interno dello Stato.

Mentre i sapwallah, s'occupavano dei cavalli, Dhundia, Sitama e Barwani si erano seduti presso un colossale tamarindo per discutere sul da farsi.

Stavano per dare l'ordine di partire, quando udirono verso la pianura un galoppo precipitato che s'avvicinava rapidamente.

– Deve essere uno degli uomini che ho lasciato indietro per sorvegliare il cacciatore e Indri – disse Barwani.

Pochi momenti dopo un cavaliere usciva da una macchia d'altissimi cespugli e raggiungeva la banda.

– Sei tu Shung? – chiese il gigante, prendendolo di mira col fucile.

– Sì, sahib – rispose il sopraggiunto, facendo fare al cavallo un fulmineo volteggio.

– Quale nuove rechi?

– Vengo dalla gola.

– Sono tutti vivi?

– Il cacciatore bianco, Indri ed il cornac si sono messi in marcia per raggiungere il loro bungalow; gli altri sono morti.

– E l'elefante?

– Lo hanno ucciso per abbreviargli l'agonia.

– Col colpo di scure che gli aveva dato sulla zampa non poteva rimettersi in piedi – disse Barwani, ridendo.

– Hai veduto nessun drappello di soldati?

– No, ma non devono essere lontani i cavalieri del rajah. Ho lanciato due uomini verso Pannah onde li mettano sulle tracce del cacciatore bianco.

– Tu sei un uomo intelligente e avrai cento rupie più degli altri.

Sahib, partiamo.

– Sono pronto – rispose Dhundia.

Allentarono le briglie e l'intera banda partì in gruppo serrato, dirigendosi verso la valle del Senar che non era lontana più di otto o dieci miglia.

L'altipiano cominciava a scendere dolcemente, interrotto di quando in quando da profondi burroni entro i quali s'udivano a scrosciare torrenti impetuosi e da bruschi avvallamenti coperti da macchie assai folte formate per lo più da piccoli tek.

Alcune miglia più innanzi la discesa dell'altipiano cominciò a diventare così rapida, da costringere i cavalieri a frenare il galoppo dei loro focosi destrieri.

Erano vicini alla valle del Senar, la quale non è altro che un'immensa spaccatura formata dall'incessante e secolare rodere delle acque, che si sono aperte un passaggio lungo il margine estremo dell'altipiano.

Una sola via mette dal principato di Pannah al Gondwana, stretta, tortuosa, malagevole e che costeggia il fiume. È il solo passaggio che esista da quella parte, perché a destra ed a sinistra di quel corso d'acqua non vi sono che abissi spaventevoli e quasi inaccessibili.

Giunti sul margine estremo dell'altipiano, i cavalieri s'erano arrestati.

Prima d'impegnarsi in quello stretto passaggio volevano accertarsi se le guarnigioni dei fortini avevano già occupata la via e le rive del fiume, onde non correre il pericolo di farsi prendere.

Barwani, Sitama e Dhundia ordinarono ai loro uomini di nascondersi entro una macchia di platani e si spinsero innanzi soli.

Avevano percorso poche centinaia di passi, quando una bestemmia sfuggì a Barwani.

– Troppo tardi! – esclamò. – La via ci è chiusa.

– Dai soldati del rajah? – chiese Dhundia, facendo un gesto di rabbia.

– Sì, guarda, sahib.

In fondo alla valle si vedevano due giganteschi falò illuminare le due rive del fiume e attorno a essi parecchi uomini con immensi turbanti e dei lunghi fucili i quali scintillavano sotto i riflessi delle fiamme.

– I rajaputi – disse Sitama. – Maledizione!... Sono stati già avvertiti!...

– Il più è fatto, – disse Dhundia, – perché il diamante è ormai nelle nostre mani, ma ci resta ancora molto da fare e non createvi delle illusioni troppo ottimiste. Il Gondwana non sarà facile da raggiungere, ve lo dico io.

– Credi, sahib, che le guarnigioni della frontiera siano già stata avvertite? – chiese Sitama.

– Ne sono certo; quando noi abbiamo lasciato Pannah, ho veduto dei fuochi rispondere a quelli accesi sui bastioni e sulla cima delle pagode.

– Anche noi li abbiamo veduti – disse Barwani.

– E si rispondeva anche col cannone – aggiunse Sitama.

– E noi giungeremo troppo tardi per trovare il passaggio libero – disse Dhundia. – Conoscete la valle del Senar?

– Perfettamente – rispose Sitama.

– Quanti fortini vi sono?

– Quattro.

– Con numerose guarnigioni?

– Certo, perché il rajah tiene buona parte dei suoi fucilieri alle frontiere.

Dhundia fece una smorfia.

– Non si potrebbe evitare quella vallata? – chiese.

– È impossibile, sahib – rispose Barwani. – L'altipiano altrove cade quasi a picco per oltre millecinquecento metri e nessun cavallo e nemmeno gli uomini potrebbero intraprendere una simile discesa.

– Si potrebbe tentare il passaggio della valle di notte – disse Sitama.

– E perdere una intera giornata? E credi tu che Toby e Indri siano rimasti inattivi? Avrei paura di vedermeli giungere addosso.

– Non inquietarti per essi, sahib – disse Barwani. – Probabilmente a quest'ora sono stati arrestati. Ho lasciato indietro alcuni coll'incarico di segnalare ai cavalieri dei rajah dove si trovano i ladri del Kohinoor.

– Hai avuto un'idea ammirabile – disse Dhundia. – Hai detto ai tuoi uomini di venire a raggiungerci nella valle?

– Sì, però alcuni seguiranno Indri ed il cacciatore fino al loro arresto.

– Che avverrà nel loro bungalow.

– Si dirigevano alla casa del cacciatore? – chiese Sitama.

– Era il loro progetto – rispose Dhundia.

– Ne avevo il sospetto, – disse Barwani – e ho incaricato una sapwallah di andare a sorvegliare anche i dintorni del bungalow. Il cacciatore ed i suoi compagni cadranno presto nelle mani del rajah.

– E noi intanto fuggiremo indisturbati nel Gondwana – disse Dhundia. – Quelle regioni le conosco a menadito e vi condurrò facilmente a Jabalpur dove venderemo la Montagna di luce.

– Come conosci quel paese, sahib?

– Ho la mia tribù fra quelle montagne e nel caso che dovessimo venire inseguiti anche su quel territorio, saprei trovare dei rifugi inaccessibili e anche degli uomini pronti a difenderci. I mie compatrioti non devono aver dimenticato l'antico bramino che sacrificava i meriahs1 per fecondare le loro terre.

– Sicché se noi avessimo bisogno d'uomini per far fronte al cacciatore ed ai soldati del rajah...

– Ne troverei fra quei fieri montanari – rispose Dhundia.

– Ti credevo nativo di Baroda, sahib – disse Barwani.

– No, sono un gondwana. Basta colle chiacchiere; partiamo prima che spunti l'alba. I nostri cavalli si sono riposati abbastanza.

Si alzarono e salirono sui loro destrieri, imitati da tutti i sapwallah e dai giocolieri che formavano la banda.

– Che cosa fare ora? – chiese Dhundia, che si mordeva i baffi.

– È impossibile passare – disse Barwani.

– Se provassimo a forzare il passo! Siamo in una trentina e quegli uomini non sono che dodici o quindici.

– Al primo colpo di fucile accorrerebbero le guarnigioni dei fortini – disse Sitama.

– E gli hudi sono armati di qualche pezzo d'artiglieria – aggiunse Barwani. – Se dovessimo impegnare la lotta verremmo facilmente schiacciati.

– Se provassimo a scendere dalla parte dell'abisso? – chiese Dhundia.

– Ci vorrebbero delle funi e noi non ne abbiamo.

– Eppure non possiamo rimanere qui.

– Aspettiamo la notte ventura – disse Barwani. – Lasceremo i cavalli e cercheremo di passare seguendo la corrente. Sapete nuotare, sahib?

– Sì – ripose Dhundia.

– Anche i nostri uomini.

– Mi rincresce perdere una giornata. Non si può prevedere ciò che succede in dodici ore.

– Troveremo un rifugio che ci metterà al sicuro.

– Sai dove se ne trova uno?

– Vi è in questi dintorni un'antica tomba, una specie di pagoda, innalzata alla memoria d'una principessa indiana – disse Sitama.

– Io l'ho visitata qualche volta – disse Barwani.

– Andiamo a cercarla. I cavalieri del rajah, possono spingersi fino qui e darci la caccia.

– Seguimi sahib. L'asilo che ti offro non sarà allegro ma sicuro.

Tornarono indietro raggiungendo i loro uomini e si diressero verso oriente, costeggiando l'abisso, da cui salivano, con sordo fragore, i boati del fiume frangentesi contro le rocce.

L'altipiano pareva deserto, segno evidente che i cavalieri del rajah non si erano ancora spinti fino a quel luogo. Probabilmente inseguivano Toby ed i loro compagni in altre direzioni.

Cominciava a sorgere l'alba, quando il drappello giunse dinanzi ad una superba costruzione irta di cupole di marmo bianco e di torri e circondata da una massiccia muraglia ancora in ottimo stato.

– È la tomba della rani di Bansi – disse Barwani. – Una riproduzione in piccolo di quella dell'imperatore Akbar.

Entrarono per una porta monumentale sfondando il cancello roso dalla ruggine e smontarono, legando i cavalli agli alberi che circondavano la tomba.

Come Barwani aveva detto, quella costruzione rassomigliava perfettamente, quantunque molto in piccolo, al celebre mausoleo di Akbar che sorge a breve distanza da Agra, sulla via che conduce a Delhi.

Era di forma del pari quadrata, con cupole di marmo bianco, mentre tutto il rimanente dell'edificio era di pietra rossa macchiata di giallo.

Era circondato da larghe terrazze e con numerose finestre ad arco, ricche di sculture e di dorature ed agli angoli aveva delle svelte torrette scannellate pel lungo di marmo roseo, con terrazzini situati a varie altezze.

L'interno del mausoleo era di forma perfettamente circolare, coperto da un'altissima cupola, adorna di pitture e di mosaici, con nel mezzo un sarcofago di marmo nero sorretto da quattro colonne e contenente senza dubbio la salma della rani.

– Staremo bene qui – disse Barwani. – Questa tomba non è frequentata che una sola volta all'anno, quindi non verremmo disturbati.

– E può servirci da fortino nel caso d'un assalto – aggiunse Sitama. – Basterebbe barricare la porta e salire sulla cinta.

Avendo portato con loro le provviste prese nell'haudah di Bangavady, fecero colazione, poi cercarono un luogo ove riposarsi, mentre alcuni sapwallah venivano mandati nei dintorni onde non venire sorpresi dai cavalieri del rajah.

La giornata contrariamente alle loro previsioni, trascorse tranquilla, non essendo comparso su quella parte dell'altipiano alcun rajaputo.

Verso sera venivano raggiunti dai due sapwallah che erano stati lanciati alle calcagna di Toby e d'Indri coll'incarico di spiarli.

Essi recavano la notizia dell'arresto del cacciatore e dei suoi due compagni.

– Per ora possiamo vivere tranquilli – disse Dhundia. – Toby e Indri avranno ben da fare a scolparsi del furto commesso e nessuno crederà che siano stati a loro volta derubati.

– E noi intanto viaggeremo nel Gondwana indisturbati – disse Sitama. – Arrestati i ladri, faranno ritirare le sentinelle appostate nelle gole e noi passeremo fingendoci tranquilli trafficanti in viaggio per Jabalpur o per Damoh. Sarei anzi d'opinione di fermarci qui finché i passi non sono sgombri.

– Condivido anch'io la tua idea – disse Barwani. – Qui nulla abbiamo da temere, mentre inoltrandoci ora nella gola potremmo venire arrestati. Manderemo a cercare dei viveri o andremo a cacciare nei boschi. I cervi qui non mancano. Cosa dite, sahib?

– Sia pure – rispose Dhundia. – Non abbiamo fretta a vendere il Kohinoor. Se però questa notte la vallata viene sgombrata, ce ne andremo. Preferisco trovarmi fra le jungle e le foreste del Gondwana che sul territorio del rajah. Colà mi sentirei più tranquillo.

Le sue speranze furono però deluse, perché alcuni sapwallah mandati nella vallata erano ritornati recando la notizia che le guarnigioni dei due fortini non avevano abbandonate le rive del fiume.

I banditi quindi si stesero sotto i porticati del mausoleo per godersi alcune ore di sonno. Tuttavia per precauzione avevano disposto alcune sentinelle fuori dalla cinta.

La notte era quasi trascorsa, quando verso le quattro, Dhundia, Sitama e Barwani venivano improvvisamente destati da alcuni colpi di fucile.

Un momento dopo le sentinelle si slanciavano entro la cinta, gridando:

– All'armi!... I rajaputi!...

– I soldati del rajah! – esclamò Dhundia impallidendo.

– Quanti sono? – chiese Barwani, il quale aveva perduto molto della sua usuale tranquillità.

– Non lo sappiamo, – rispose un sapwallah, – ma molti di certo. Abbiamo veduto numerosi cavalli.

– Sono lontani? – chiese Sitama.

– Appena mezzo miglio.

– Fuggiamo – disse Dhundia.

– Fuggire!... E dove? – chiese Barwani. – Meglio rimanere qui, al coperto dalle loro palle. In pianura non potremmo resistere.

– Cerchiamo di forzare la gola.

– Ci faremo prendere fra due fuochi.

– E restando qui perderemo la vita e anche il Kohinoor. Ah! Se potessi raggiungere il Gondwana e poi la mia tribù!...

– Cosa faresti, sahib? – chiese Sitama.

– Leverei tre o quattrocento montanari e verrei qui.

– Uno o due uomini, con un po' d'astuzia, io credo che potrebbero attraversare inosservati la gola. Vuoi provare, sahib? Noi potremo resistere alcuni giorni.

– Ed il Kohinoor?

– Lo lasceresti qui, sotto la nostra guardia.

– Per fartelo prendere?

– Non avere questo timore, sahib, perché se mi vedessi alla stretta mi farei seppellire vivo assieme alla Montagna di luce. Tu sai che io sono un fakiro.

– Tu sei diffidente – disse Dhundia.

– No, sahib, sono prudente. Tu potresti dimenticarti di ritornare coi tuoi montanari.

Dhundia lanciò sul fakiro uno sguardo cupo.

– Sarò ancora in tempo? – chiese poi.

– Lo spero.

– Se riesco a varcare il confine, fra dodici o quindici ore sarò qui coi montanari.

– Ed io mi farò seppellire vivo onde il diamante non ci venga ripreso.

– In quale luogo? Voglio saperlo prima di partire.

– Dinanzi la torre di levante, sotto quel tamarindo che tu hai già veduto.

– Mi giuri di non farti prendere?

– Per Siva; mio protettore.

– Dammi un uomo fidato, che conosca la via.

Sitama cercò fra i sapwallah, i quali stavano barricando la porta rotolando enormi pietre e ritornò quasi subito conducendo un giocoliere alto quanto Barwani, ma di una magrezza spaventosa.

– Tu condurrai il sahib attraverso la gola – gli disse, indicandogli Dhundia. – Hai in tua mano la nostra salvezza e la Montagna di luce.

– Lo farò passare senza che le guardie dei fortini se ne accorgano – rispose l'indiano.

– Partite: odo già il galoppo dei rajaputi.

– Resisterete fino al mio ritorno? – chiese Dhundia.

– Lo speriamo – rispose Sitama.

– E non cederete il Kohinoor?

– Vale più della nostra libertà.

– Addio, adunque.

Dhundia ed il giocoliere salirono su due cavalli, i migliori della truppa e si slanciarono fuori dalla cinta, spronando furiosamente.

Si udirono alcuni spari, poi il galoppo s'allontanò verso la valle del Senar, diventando rapidamente fioco.

– Alle armi! – gridò Barwani, quando non udì più nulla. – Le mura sono massicce e sapremo resistere a lungo.

– Ed i viveri? – disse Sitama.

– Mangeremo i nostri cavalli. Ecco i rajaputi che si preparano a circondarci. Ah!... Per centomila serpenti!...

– Cos'hai, Barwani?

– Io giurerei che fra i rajaputi v'è un uomo bianco.

– È impossibile che tu l'abbia veduto.

– Ho udito a gridare in lingua inglese: fuoco!

– Che sia il cacciatore bianco? – chiese Sitama, con voce soffocata. – Se è lui siamo perduti!

In quel momento una scarica ruppe le tenebre e alcune palle fischiarono sopra le muraglie che erano state occupate dai sapwallah e dai giocolieri.

Barwani aveva mandato un urlo di rabbia.

Alla luce della polvere accesa aveva veduto fra i cavalieri del rajah Toby, Indri e Bandhara.

I rajaputi, dopo d'aver fatta quella scarica probabilmente per accertarsi se i ladri del Kohinoor si trovavano nella tomba della rani, si erano dispersi per la pianura formando un ampio cerchio, in modo da rendere impossibile la fuga agli assediati.

Avevano fatti coricare i loro cavalli fra le alte erbe, per non esporli troppo al tiro dei sapwallah, poi vi si erano nascosti dietro, tenendo le carabine appoggiate alle selle.

Sitama e Barwani, nello scorgere Toby e Indri alla testa di quei cavalieri, erano rimasti come fulminati. Perché si trovavano liberi mentre li credevano rinchiusi nelle prigioni di Pannah ed in procinto di perdere il capo sotto la scimitarra del carnefice del rajah?

Per i due bricconi era un mistero assolutamente inesplicabile.

– È impossibile che il rajah li abbia graziati! – aveva esclamato Barwani.

– Eppure quei cavalieri sono soldati di Pannah – aveva risposto Sitama. – Li conosco troppo bene per ingannarmi.

– Cos'è dunque avvenuto nel bungalow.

– Ecco quello che forse non sapremo mai perché di qua non usciremo vivi. Toby e Indri non ci risparmieranno.

– Ne ho anch'io la convinzione.

– E la fuga ci sarà impossibile, Barwani.

Un'imprecazione uscì dalle labbra del gigante.

– Presi!... – esclamò, con voce rauca. – Presi ora che abbiamo nelle nostre mani il Kohinoor!... Non so rassegnarmi!...

– Il Kohinoor non l'avranno.

– Ritorni alla tua prima idea?

– Sì, Barwani, io mi farò seppellire vivo portando con me il diamante. Scomparendo io, Toby e Indri crederanno che io sia riuscito a fuggire colla Montagna di luce e forse non inveiranno contro di voi. Tu poi narrerai loro quello che meglio ti suggerirà la tua fantasia.

– Sì – disse il gigante, animandosi. – Noi li giuocheremo ancora.

– Fa' preparare la fossa. – disse Sitama. – I rajaputi possono dare l'assalto alla tomba e ti mancherebbe il tempo di seppellirmi.

– Quanto potrai resistere?

– Anche quaranta giorni.

– Sei certo di risuscitare?

– Ho fatta la prova due volte e come vedi, sono ancora vivo – rispose Sitama. – Sai cosa devi fare?

– Lo so, Sitama – disse Barwani. – Ho aiutato una volta anch'io un fakiro. Prima però dammi le tue ultime istruzioni.

– Resisterai finché potrai all'assalto dei rajaputi per attendere i soccorsi promessi da Dhundia.

– Tornerà?

– La Montagna di luce è nelle nostre mani e ci tiene troppo per perderla.

– E se fossimo costretti a cedere prima dell'arrivo dei montanari? – chiese Barwani.

– Io e Dhundia tenteremo più tardi di salvarvi. Quando si posseggono dei milioni, non è difficile corrompere i carcerieri, specialmente quelli della nostra razza.

– Ho fiducia in te... però, bada, Sitama!... Se tu e Dhundia ci tradirete, non fermatevi in nessun luogo perché presto o tardi i dacoiti ci vendicherebbero.

– So quanto è tremenda la nostra associazione e so come punisce i traditori. Non perdiamo altro tempo, Barwani; fa' scavare la fossa mentre io faccio i miei preparativi.

– Dove ti seppelliremo?

– Nel luogo che ho indicato a Dhundia. Lasciami ora solo e che nessuno faccia rumore.

Entrò nel mausoleo illuminato dalla luna, i cui raggi entravano dalle ampie finestre aperte sotto la cupola, strappò un pesante tessuto che copriva una delle pareti e lo stese al suolo coricandovisi poi sopra.

– Ora puliamoci lo stomaco e proviamo l'elasticità della lingua – disse.

Levò dal suo turbante una striscia di tela finissima che s'intrecciava alla stoffa rossa, si mise a masticarla per bene poi la inghiottì non senza sforzi, tenendo però una delle estremità fra i denti.

Quando gli parve che fosse giunta in fondo allo stomaco la ritirò rapidamente per ingoiarne poi una seconda ed una terza.

Ripetuta più volte quella strana operazione, si provò a piegare la lingua in modo che la punta andasse a turare la laringe. Soddisfatto di quel risultato, si spogliò d'una parte delle vesti, poi si sdraiò sul dorso tenendo gli occhi fissi sulla punta del naso in attesa che sopraggiungesse la catalessia magnetica.

Rimase in quella posa parecchi minuti, trattenendo il respiro finché tutto d'un tratto s'abbandonò.

I suoi occhi si erano chiusi e le sue membra irrigidite.

Chiunque l'avesse veduto, avrebbe detto che il fakiro era morto perché il suo petto non si sollevava più, né alcun soffio usciva dalle sue labbra.

Era appena caduto quando entrò Barwani seguìto da quattro sapwallah.

Guardò attentamente il fakiro sempre irrigidito, gli posò una mano sulle labbra per ben accertarsi che non respirava più, poi con due pallottole di tela spalmata con un po' di cera gli turò accuratamente le narici.

– Possiamo seppellirlo – disse. – La Montagna di luce è nascosta sotto la sua fascia.

Annodò i quattro angoli del tessuto sopra il corpo di Sitama, poi fece un segno ai sapwallah.

Questi alzarono con precauzione il fakiro, lo trasportarono presso la torricella di levante dove dinanzi ad un grosso tamarindo era stata scavata una buca profonda due metri.

Il corpo fu calato, ricoperto d'un nuovo drappo e di rami onde la terra non gravitasse troppo, quindi la buca fu riempita di zolle erbose.

Quando il terreno fu ben livellato e cancellate tutte le tracce, Barwani si levò dalle spalle la carabina, dicendo:

– Ed ora, diamo battaglia ai rajaputi.


Note

  1. Sacrifici umani.