La Montagna di luce/13. Il secondo mangiatore d'uomini

13. Il secondo mangiatore d'uomini

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13. Il secondo mangiatore d'uomini
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13.

IL SECONDO MANGIATORE D'UOMINI


Quando giunsero al campo, i fuochi ardevano ancora intorno al ruth ed ai buoi e gli sikkari, assai inquieti per la prolungata assenza dei cacciatori ed allarmati da quei due colpi di carabina, vegliavano coi fucili alla mano.

Vedendo i cacciatori tornare col mangiatore d'uomini morto, fu una vera esplosione di gioia, giacché quella terribile fiera che aveva divorato tante vittime, era stata ritenuta invincibile da tutti gl'indiani di Pannah.

Gli sikkari si erano precipitati sulla belva coprendola d'ingiurie e minacciandola. Ora che era morta si sentivano l'audacia di affrontarla.

– Lasciatela in pace – disse Toby. – Non mangia più nessuno ora, quindi potete serbare per altra volta il vostro coraggio. È inutile che le guastiate la pelle.

Avendo però udito parlare d'un altro mangiatore d'uomini, quei valorosi si sentirono piegare le gambe e tutta la loro audacia sfumò d'un colpo solo.

Non era prudente insolentire sulla morta mentre viveva ancora la sua compagna.

– Un'altra! – avevano esclamato, impallidendo. – L'avete proprio veduta sahib.

– Coi nostri occhi – rispose Toby. – Nessuno aveva sospettato che le tigri fossero due invece d'una?

– No, sahib – rispose il capo degli sikkari. – Si credeva che fosse una sola!...

– Allora guadagneremo doppio premio.

– Volete uccidere anche l'altra?

– Abbiamo promesso di sbarazzarvi dei mangiatori d'uomini che impediscono il lavoro delle miniere e manterremo la parola.

– Che coraggio! – esclamò il capo degli sikkari guardando con ammirazione i cacciatori. – Vi faremo preparare un'entrata trionfale in Pannah.

– Lasciate i trionfi e le entrate e preparateci i letti.

– Sono pronti, sahib.

– Nel carro? – chiese Indri.

– Sì, sahib.

– Andiamo a dormire – disse Toby. – Domani andremo a visitare le trappole ed a cercare un nuovo posto per preparare il secondo agguato.

– E non ci assalirà la compagna della morta? – chiese lo sikkari con voce malferma.

– Se la vedi comparire, prendi il tuo fucile e uccidila – rispose Toby, ironicamente. – Voi già non avete paura, lo diceste poco fa dinanzi alla tigre morta.

Entrarono nel carro dove gli sikkari avevano distesi dei materassini ed i tre cacciatori s'addormentarono, mentre gl'indiani, più spaventati che mai, raddoppiavano i fuochi per tener lontano il compagno del terribile mangiatore d'uomini.

Per loro fortuna la seconda tigre non osò mostrarsi, sicché la notte trascorse senza allarmi.

Solamente verso il mattino ci fu un concerto inoffensivo, offerto da una banda di sciacalli che terminò subito col levarsi del sole.

Quando Toby ed i suoi compagni si svegliarono, gli sikkari avevano già scuoiata la tigre e la sua superba pelle stava seccandosi, stesa su quattro bambù, onde impedirle d'accartocciarsi.

– Splendida – disse Indri. – Non ne ho mai veduto una di così bella.

– Era un animale magnifico – rispose Toby, non senza compiacenza. – Farà una bellissima figura nelle sale del rajah.

– La regaleremo a lui?

– Diecimila rupie valgono bene questa pelle – disse il cacciatore. – Ha il diritto d'averla.

– Se l'altra è così bella, la manderemo al guicowar.

– Non l'abbiamo ancora, Indri – disse Toby, ridendo.

– Tu non te la lascerai sfuggire.

– Se potessimo scoprire il suo covo!

– Andresti a scovarla?

– Preparerei l'agguato nelle sue vicinanze.

– Con un altro palco?

– No, Indri; l'aspetteremo nella buca. Sarà diventata diffidente e non oserà più avvicinarsi ad una piattaforma. Le tigri sono più furbe di quello che tu t'immagini e non si lasciano ingannare due volte.

– Se preparassimo delle trappole?

– Hum! I mangiatori d'uomini non sono novellini per lasciarsi cogliere. Gli sikkari mi hanno detto che ne sono state preparate tre o quattro in questa foresta e nessuna tigre vi è caduta dentro.

– Andiamo a visitarle, Toby; non si sa mai. La tigre, fuggendo, può essere caduta in una di quelle buche.

– Sì, dopo colazione perlustreremo il bosco anche per cercare un luogo adatto per l'agguato.

Gli sikkari, che avevano ricevuto dall'amministratore del rajah abbondanti provvigioni onde i cacciatori non mancassero di nulla, avevano preparato sollecitamente il pasto aggiungendovi dei banani profumati, che avevano raccolto nella foresta e degli ananassi di grossezza inverosimile e di sapore squisito.

Toby ed i suoi compagni, ai quali l'appetito non faceva difetto, specialmente con quell'aria fresca, che spirava su quell'immenso altipiano cinto da montagne elevate, gustarono assai la colazione, fatta all'ombra d'un maestoso tamarindo.

Erano le dieci quando s'alzarono per fare la progettata escursione nella foresta.

Il capo degli sikkari si era offerto di accompagnarli, sapendo dove erano state scavate e preparate le trappole.

– Spero che non avrai paura – gli disse Toby, celiando.

– Con voi, no, sahib – rispose l'indiano. – Se la bâg si mostra sono certo che l'ucciderete.

– Grazie dell'augurio.

Raccomandarono agl'indiani che rimanevano all'accampamento di non permettere ai buoi di allontanarsi troppo, quindi si misero in cammino, tenendo le carabine sotto il braccio.

La loro prima visita fu alla radura, volendo accertarsi se la tigre era tornata per divorare la capra uccisa dalla sua compagna.

Quando vi giunsero, della povera bestia non rimanevano che poche ossa e dei pezzi di pelle.

Toby esaminò il terreno per vedere se vi erano tracce di sciacalli, cosa facilissima a constatarsi essendo il suolo umido, ma non ne scorse.

– L'ha divorata la tigre – disse. – Quella bestia possiede un'audacia incredibile. Un'altra, non sarebbe tornata.

– Se scavassimo la buca qui potremmo rivederla – disse Indri.

– Preferisco scegliere un altro luogo – rispose Toby. – E poi questa radura è troppo scoperta.

– Che la bâg si tenga sempre imboscata in questi dintorni?

– È possibile, Indri.

– Se battessimo le macchie?

– Non si lascerebbe sorprendere di giorno. Sono animali poco amanti della luce, però non inquietarti. Noi la uccideremo e forse più presto di quanto credi.

Fecero il giro della radura, e rientrarono nella foresta, la quale diventava sempre più folta.

Vi era una trappola in quelle vicinanze, preparata alcune settimane prima dai cacciatori del rajah e volevano visitarla, quantunque fossero più che certi di trovarla vuota.

Lo sikkari, che conosceva la foresta, li guidò attraverso un sentieruzzo aperto fra folti cespugli che s'alzavano parecchi metri, arrestandosi poi dinanzi ad una specie di gabbia seminascosta fra le erbe che in quel luogo erano di dimensioni gigantesche.

– È vuota – disse. – Ne ero certo.

– Quelle tigri sono troppo astute per lasciarsi prendere – rispose Toby. – Non ci vuole che del piombo.

Quella trappola non era una delle solite usate dagl'indiani delle pianure, i quali si limitano a scavare delle fosse profondissime, munendo il fondo con pali aguzzi e coprendole con sottili canne cosparse di terra e di zolle erbose.

Era molto più ingegnosa e costruita in modo da poter prendere la tigre viva.

Consisteva in una gabbia robustissima, di legno pesante, col coperchio sorretto da una fune legata ad un ramo elasticissimo d'un tamarindo.

Dentro vi avevano collocato il cadavere d'un'antilope ormai in piena corruzione e sul fondo uno specchio, in parte nascosto da rami d'albero.

Le belve, attirate dall'odor della carne, ordinariamente vi si introducono senza troppe esitazioni, ma vedendo riflessa la loro immagine nello specchio e credendo che un'altra loro compagna voglia disputare la preda, vi si scagliano contro urtando la corda.

Il coperchio, pesantissimo, si abbassa bruscamente e rimangono prigioniere.

Le due admikanevalla però, non si erano lasciate ingannare e la trappola era rimasta ancora vuota.

– L'avevo detto io, che erano troppo furbe per lasciarsi cogliere – disse Toby.

– Questo posto però mi sembra adatto per preparare l'imboscata. L'odore, che tramanda quella carogna, deve aver attirato più volte le due tigri.

– Scaveremo qui la buca? – chiese Indri.

– Sì – rispose Toby. – Vedo intorno a noi delle macchie che sembrano siano sorte appositamente per offrire un rifugio alla bâg.

– E sospetto che il suo covo non sia lontano, sahib – disse lo sikkari.

– Che cosa te lo fa supporre? – chiese Toby.

– Scostatevi dalla gabbia e fiutate l'aria.

– Sento un acre odore di carne corrotta che deriva da quella carogna.

– No, sahib, viene da quel macchione di bambù che si prolunga dinanzi a noi. Anche là vi è della carne che imputridisce.

– Lo sikkari non s'inganna – disse Indri. – Il vento soffia da quella parte ed è saturo di esalazioni pestifere.

– Che vi sia l'ossario del mangiatore d'uomini? – chiese Toby.

– Allora vi sarà anche il covo della belva – disse Dhundia.

– Vuoi che andiamo a visitare quella macchia? – chiese Indri.

– No – rispose Toby. – La tigre potrebbe accorgersi che noi abbiamo trovato il suo rifugio e andarsene altrove per cercarne uno più sicuro. Ora che sa di quanto siamo capaci, deve essere diventata più diffidente, di questo sono certo.

– Allora prepariamo l'agguato qui?

– Sì Indri, e questa sera verremo ad occuparlo.

Il battitore aveva portato con sé una zappa, e due badili onde preparare la buca nel luogo scelto dal cacciatore.

Si mise quindi subito all'opera, aiutato da Dhundia.

Si trattava di scavare una fossa profonda due metri e larga tanto da permettere ai cacciatori di caricare comodamente le armi e di potersi muovere senza impaccio, quindi di coprirla con un ammasso di rami e di foglie.

Mentre Toby e Indri sorvegliavano la macchia, non essendo improbabile che la tigre vi si trovasse, lo sikkari e Dhundia, lavorando con lena, in meno di due ore prepararono l'agguato.

Copertola con rami e con alcune foglie di banano e dispersa la terra scavata onde meglio ingannare la tigre, raggiunsero i due cacciatori.

– È fatto – disse Dhundia.

– Torniamo all'accampamento – rispose Toby. – Non dobbiamo allarmare la fiera.

Riattraversarono la foresta, passando fra splendidi gruppi di borassi dalle immense foglie distese a ventaglio e di arecche dai tronchi alti più di venti metri, incoronati da ampi fasci di foglie lunghe parecchi piedi, e rientrarono nell'accampamento verso il mezzodì, quando il sole, già ardentissimo, poteva rendere pericolosa una marcia più prolungata.

Durante la giornata un maggiordomo del rajah, accompagnato da una scorta di dieci sikkari bene armati, si presentò al campo per chiedere notizie del cacciatore bianco.

Il rajah, avvertito che Toby non aveva fatto più ritorno alla capitale ed ignorando che avesse cominciata la caccia alla terribile belva, lo aveva mandato a cercare al di là delle miniere.

Apprendendo il felice esito di quella prima battuta, il maggiordomo rimase intontito.

– Ah!... Questi inglesi!... – esclamò. – Non hanno paura di nessuno e uccidono sempre!... Il rajah sarà lietissimo di questo successo insperato.

– Anzi porterete a lui la pelle – disse Toby. – Noi la regaliamo a Sua Altezza.

– E quando ucciderete l'altra?

– Ci proveremo questa sera.

– Nessuno finora aveva sospettato che i mangiatori d'uomini fossero due – disse il maggiordomo. – Se riuscirete a uccidere anche l'altro, il rajah aggiungerà un premio alla somma fissata.

– E noi lo guadagneremo – rispose Toby, sorridendo. – Ah! Mi dimenticavo di chiedervi una cosa che m'interessa.

– Quale, sahib?

– È tornato al bungalow il nostro cornac?

– Non è qui con voi? – chiese il maggiordomo, stupito.

– L'avevamo lasciato a Pannah.

– Non è stato più riveduto.

Toby e Indri si guardarono con inquietudine.

– Che sia ancora sulle tracce del fakiro? – chiese il cacciatore.

– O che quell'uomo misterioso, accortosi di essere seguìto, l'abbia invece fatto assassinare? Tutto è possibile in questo paese infestato dai dacoiti.

– Io non sono tranquillo, Indri.

– E nemmeno io, Toby.

– E sono impaziente di tornare a Pannah. Non vedo chiaro in questa faccenda misteriosa.

– Pensi qualche brutta sorpresa da parte dei miei nemici?

– Sì, Indri. Parvati è capace di tutto e ho il sospetto che quel fakiro sia uno dei suoi messi.

– Ma a quest'ora avrebbero avvertito il rajah delle nostre intenzioni.

– Questo è vero, tuttavia io vorrei aver terminata ogni cosa e trovarmi ben lontano da qui. Indri, affrettiamoci; sento per istinto che un grave pericolo ci minaccia.

– Appena uccisa la tigre, agiremo subito.

Trattennero a pranzo il maggiordomo e gli sikkari che lo scortavano, poi due ore prima del tramonto lo congedarono, affidandogli la pelle del primo mangiatore d'uomini.

Toby ed i suoi compagni fecero subito i loro preparativi per la caccia notturna.

Cambiarono le cariche alle carabine, si provvidero d'alcune coperte per combattere l'umidità della notte e di alcune bottiglie di birra e appena sorta la luna lasciarono l'accampamento per recarsi nella buca.

Nessun sikkari l'accompagnava, non avendo in quegli uomini alcuna fiducia, anzi avevano loro ordinato di non lasciare l'accampamento, volendo agire da soli.

Conoscendo ormai la foresta, raggiunsero in breve la piccola radura, quindi la buca scavata a cinquanta passi dalla trappola.

Avendo condotto con loro un'altra capra, la legarono al tronco d'un giovane arecche che sorgeva isolato a trenta metri dalla buca.

– Ecco un'altra destinata a farsi stritolare da quell'insaziabile fiera – disse Toby. – Spero però di vendicarne la sua morte.

Stesero le coperte in fondo allo scavo; vi si coricarono sopra, quindi accumularono su alcuni bambù i rami e le foglie che avevano tagliato al mattino, in modo che li coprissero interamente.

– Vi raccomando di non sprecare inutilmente i vostri colpi – disse Toby. – Mirate con calma e non fate fuoco se non quando siete certi di colpire. Se la sbagliamo, la tigre non tornerà più e ci farà perdere molte notti e forse inutilmente. Lo dico specialmente a voi, Dhundia.

– Non farò fuoco che a bruciapelo – rispose l'indiano.

– Le carabine in mano e armiamoci di pazienza.

L'ultimo raggio di sole era scomparso da una mezz'ora e le tenebre s'erano addensate rapidamente sotto i boschi.

Il silenzio a poco a poco tornava ad imperare. Le grida scordate dei pappagalli erano cessate e solo udivasi il leggero stormire dei bambù giganti, mossi da una fresca brezzolina che veniva dalle alte montagne del settentrione.

Una leggera nebbia s'alzava lentamente, deponendosi sui rami degli alberi e trasformandosi poscia in goccioline che cadevamo, con un crepitìo monotono, sulle foglie dei cespugli sottostanti.

I tre cacciatori, immobili come statue, coi volti appoggiati contro i rami ed i bambù che li coprivano, e colle dita appoggiate sul grilletto delle carabine, tenevano gli sguardi fissi sul macchione, nel cui mezzo supponevano si trovasse il covo della fiera.

Nessuno fiatava. Solamente la capra, conscia del pericolo, belava lamentosamente, girando intorno al tronco dell'arecche finché glielo permetteva la lunghezza della corda.

Era trascorsa una mezz'ora e la luna era già salita in cielo, quando il bosco, fino allora deserto e silenzioso, parve che si risvegliasse.

Si cominciavano a udire in mezzo ai bambù ed ai cespugli dei rumori strani, dei misteriosi fruscìi, dei rauchi brontolìi, dei soffi e come dei gemiti a malapena soffocati, mentre delle ombre indistinte passavano fra i tronchi.

– Vi deve essere qualche sorgente in questi dintorni – mormorò Toby. – Gli animali vanno a dissetarsi.

Passò dapprima, a pochi passi dalla buca, una coppia di ascis, graziose ed inoffensive antilopi somiglianti ai nostri daini, col pelame fulvo picchiettato di bianco; poi s'avanzarono, con infinite precauzioni, sospettose e guardinghe, alcune nilgò, altra varietà d'antilopi che hanno la corporatura d'un cervo, forme agili, il mantello grigio azzurro e la testa armata di due corna aguzze.

Poco dopo i cacciatori videro uscire da una macchia una coppia di quelle piccole pantere chiamate dagl'indiani tcite, graziosissime, molto sanguinarie eppure facili ad addomesticarsi, adoperandosi con buon successo nelle cacce.

Erano seguìte a breve distanza da una piccola truppa di bighama, specie di lupi, alti più di mezzo metro, col pelame rosso bruno o rosso grigiastro, animali coraggiosi che non temono di assalire anche le persone quando sono spinti dalla fame.

I rumori aumentavano sempre, perché altri animali s'avanzavano attraverso i folti cespugli, tuttavia i cacciatori non udivano ancora quella specie di rauco miagolìo che le tigri mandano quando lasciano la loro tana.

La fiera non aveva forse ancora lasciato il suo nascondiglio per mettersi in cerca di prede.

– Si fa aspettare – disse Indri.

– Verrà – rispose Toby. – Questa parte della foresta è molto frequentata dalle antilopi e la tigre non mancherà di scegliere la sua preda o meglio le sue prede, perché non si accontenta mai d'una sola. Si direbbe che sono state create solamente per distruggere e dotate d'un furor cieco che mai si acquieta. Se qui vi sono tanti animali, la bâg verrà a fare le sue stragi.

– Mi rincrescerebbe che non si mostrasse.

– Ti dico che domani faremo la nostra entrata trionfale in Pannah.

Era trascorsa un'altra ora in vana attesa, quando Toby, che aveva scostati un po' i rami per respirare una boccata d'aria più pura, udì un sordo mugolìo che veniva dalla parte della trappola.

– Attenti, amici – disse. – Mi pare che la tigre abbia lasciato il suo rifugio.

Alzò la testa e guardò verso la trappola. La nebbia si era dileguata e la luna illuminava splendidamente quel lembo della foresta.

Un animale che si fosse mostrato fuori dalle macchie, non sarebbe certamente sfuggito agli sguardi del cacciatore.

– Non la vedo ancora, ma la sento – disse Toby. – L'aria è impregnata dall'odore di selvatico.

– Che sia imboscata? – chiese Indri.

– Aspetterà il passaggio di qualche antilope per mostrarsi.

– La capra non bela più.

– Ha fiutato il carnivoro.

– Là!... Guardate! – esclamò Dhundia. – La vedete?

Un'ombra era uscita da un gruppo di cespugli e s'inoltrava prudentemente sullo spazio libero che si estendeva dinanzi alla trappola.

– La tigre – bisbigliò Toby, all'orecchio d'Indri. – Non fate fuoco! Lasciamola accostarsi.

La fiera s'era allora arrestata a centoquaranta metri dai cacciatori e fiutava l'aria agitando la coda con inquietudine.

I suoi occhi verdastri luccicavano fra le tenebre come quelli dei gatti.

Si fermò alcuni momenti sotto la cupa ombra d'una pianta, poi si spinse innanzi, mostrandosi alla luce della luna.

Al pari della prima era di statura enorme, una di quelle fiere capaci di rubare un bue od una giovenca e di portarsela a parecchie miglia di distanza per divorarsele più comodamente o di abbattere un toro con un solo colpo d'artiglio.

– La superba bestia! – esclamò Toby. – Vale l'altra.

– Tira, Toby – sussurrò Indri.

– Non ancora, potrei solamente ferirla. Lascia che mi si presenti di fronte e le trapasserò il cuore.

Ad un tratto la tigre fece un balzo immenso e scomparve in mezzo ad un cespuglio.

– Che ci abbia fiutati? – chiese Indri, seccato.

– Siano sottovento quindi non può essersi accorta della nostra presenza – rispose Toby. – Si sarà imboscata per sorprendere qualche capo di selvaggina.

– Sì – confermò Dhundia. – Qualche animale s'avanza.

A breve distanza dal cespuglio dove la tigre erasi imboscata, si udivano agitarsi delle fronde e scrosciare dei rami secchi.

Qualche antilope o qualche bufalo s'apriva il passo per avviarsi alla sorgente.

La vittima era un nilgò. Avvertito forse dall'odore lasciato dalla fiera, l'elegante cervo si era arrestato colla testa bassa, mostrando le aguzze corna.

Stava in ascolto.

– È perduta – mormorò Toby. – Guarda Indri!

La bâg si era slanciata. Essa cadde sulla groppa del povero animale facendolo piegare sotto il peso, poi con un colpo di zampa lo gettò al suolo col fianco squarciato.

Subito azzannò al collo la vittima ancora palpitante, succhiandole avidamente il sangue, quindi, colmata la sete ardente che la divorava, immerse il muso nel fianco aperto, mentre le sue unghie, dure come l'acciaio, dilaniavano ferocemente il povero corpo, facendone scempio.

Toby, approfittando di quel momento in cui la tigre, occupata a divorare le sanguinanti viscere della nilgò, non poteva vederlo, puntò la carabina mirandola sotto la spalla e fece fuoco.

La nube del fumo non si era ancora dissipata che la tigre giaceva a fianco della sua vittima, come se la palla infallibile del cacciatore l'avesse fulminata.

– È morta! – gridò Indri, slanciandosi fuori della buca.

– Bada! – gli disse Toby. – Può essere ancora viva!

L'ex favorito dal guicowar, credendo che fosse invece morta, si era avanzato col coltello da caccia in pugno.

Già non distava che pochi passi, quando vide la fiera rizzarsi improvvisamente sulle zampe posteriori, digrignando i denti e mugolando.

– Indietro, Indri! – gridò Toby, mentre strappava a Dhundia la carabina.

L'indiano si era gettato da una parte. Abbandonare il coltello e puntare il fucile fu l'affare d'un solo istante.

Risuonò uno sparo e la tigre, alla quale era mancato lo slancio in causa della grave ferita riportata prima, cadde col cranio fracassato.

– Bel colpo! – esclamò Toby, accorrendo. – Mio caro Indri, tu sei degno dell'uccisore di tigri!...

– E la prima partita l'abbiamo guadagnata, è vero Toby! – disse l'ex favorito, con voce giuliva. – Alla seconda, ora!