La Gemma del Fiume Rosso/8. Le Bandiere Nere

8. Le Bandiere Nere

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7. La caduta di Man-Sciù 9. Il rifugio degli isolani

Le Bandiere Nere


Dieci minuti dopo, Man-Sciù ed i suoi salvatori giungevano all’accampamento delle Bandiere Nere.

Quei pirati, più fortunati di quelli di Sun-Pao, non erano andati a picco come aveva supposto Sai-Sing, perché erano tutti là, seduti intorno a dei fuochi giganteschi.

Anche la loro giunca non pareva che avesse sofferto, perché Man-Sciù la scorse presso la spiaggia, cogli alberi intatti e le immense vele arrotolate intorno alle antenne.

Doveva però essersi incagliata su qualche banco, a giudicare dalla inclinazione dello scafo.

La comparsa di Man-Sciù, che le Bandiere Nere, a loro volta, credevano annegata assieme a tutti gli altri, produsse molta sorpresa fra gli accampati. Come quella vecchia era sfuggita al naufragio, mentre avevano veduto la giunca presa fra le spire della tromba marina?

Kin-Lung, che stava cenando sotto una tenda, appena avvertito, si era precipitato fuori. La sua prima domanda era stata questa:

– Dov’è Sai-Sing?... Da dove vieni? Come ti trovi qui?

– Hai ragione di stupirti nel vedermi – rispose Man-Sciù. – Tu ci credevi tutti annegati, non è vero?

– Ho veduto la vostra giunca turbinare fra la colonna d’acqua; avevo ben ragione di crederla perduta. Ma dov’è Sai-Sing? Parla, Man-Sciù. È viva ancora?

– Sì.

– E Sun-Pao?

– Anche.

Il capo delle Bandiere Nere digrignò i denti.

– Credevo che fosse annegato; invece me lo troverò ancora fra i piedi. Dove sono?

– Non lo so.

– Come non lo sai? – chiese Kin-Lung con sorpresa. – Non eri con loro, tu?

– Sì, finché fummo sulla giunca, ma dopo...

– Vecchia Man, narrami che cosa è accaduto, spicciati se non vuoi provare il filo della mia scimitarra.

– Fammi dare da mangiare prima, che io sono sfinita dal digiuno e dalle emozioni.

– Mangerai dopo, sbrigati – disse il pirata con voce minacciosa.

Man-Sciù, che sapeva quale uomo fosse quel predatore del mare, capace di tutto, non si fece ripetere due volte l’ordine e gli raccontò meglio che poté quanto era avvenuto dopo che la giunca di Sun-Pao era stata aspirata dalla terribile tromba marina.

– Dunque Sun-Pao non ha più uomini – esclamò Kin-Lung, con gioia.

– Uno solo, Ong.

– Un ragazzo che non ci darà molto fastidio. Ah!... Mio caro Sun-Pao, te la prenderò io Sai-Sing; vedremo se diventerà la regina delle Bandiere Nere o di quelle Gialle. E dove credi che si trovino ora?

– Non lo so – rispose Man-Sciù.

– Non ci sarà difficile trovarli – disse Kin-Lung come parlando fra sé.

– Vuoi impadronirti di Sun-Pao? – chiese la vecchia.

– E condurlo alle isole prigioniero.

– Il tuo fratello d’armi!...

– È mio rivale.

– E credi tu che le Bandiere Gialle lo lasceranno in tua mano?

– Si sottoporranno a me, non dubitare.

– E se Sai-Sing preferisse Sun-Pao a te?

– Allora lo ucciderò, così non avrà più da scegliere – rispose freddamente Kin-Lung.

– Ma tu sai che il destino di Sai-Sing dipende da ciò che dirà il tha-ybu, ed il grande indovino non ha ancora interrogato gli astri.

– Il tha-ybu dirà ciò che parrà a me, se gli preme la vita.

Man-Sciù senti un brivido gelido correrle per tutto il corpo.

– Va’ a mangiare, vecchia. Domani mi condurrai nel vallone. Scoperte le tracce di Sun-Pao, noi le seguiremo finché non lo avremo trovato.

– La tua giunca non ha sofferto nulla? – chiese Man-Sciù.

– Le onde l’hanno spinta contro questa spiaggia guastandole la carena e arenandola. Domani sera però noi la rimetteremo a galla e potremo partire. Ci credevano annegati?

– Sì.

– E noi credevamo voi tutti morti. Non mi sarei mai più consolato se una tale disgrazia avesse colpito la Gemma del Fiume Rosso. Che cosa sarebbe stata la mia vita senza di lei? Ma ora la fanciulla mi apparterrà per sempre.

– Se Sun-Pao te la lascerà.

– Ormai non lo temo più – disse Kin-Lung. – Prima che il sole di domani tramonti sarà in mia mano e fra quarant’otto ore non esisteranno alle isole che delle Bandiere Nere. Va’ a mangiare e a riposarti.

Man-Sciù andò a sedersi presso uno dei fuochi.

Mangiò lentamente la cena offertale da uno dei pirati, poi si aggomitolò su se stessa, nascondendo il viso fra le mani, mentre le Bandiere Nere si sdraiavano sulla sabbia della riva, essendo già la notte assai inoltrata.

Quando il sole spuntò, Man-Sciù era ancora seduta nella medesima posa presso il fuoco già quasi spento. Aveva dormito od aveva meditato tutta la notte? Nessuno avrebbe potuto dirlo.

Udendo la voce imperiosa e ruvida del capo delle Bandiere Nere, si era alzata vivamente.

Venti uomini, quasi metà dell’equipaggio della giunca, armati di archibugi e di coltellacci, erano pronti a partire per andare a sorprendere Sun-Pao e strappargli la fanciulla del Fiume Rosso.

– Che cosa ti hanno detto gli astri, vecchia? – chiese Kin-Lung. – Suppongo che questa notte tu li abbia studiati.

– Il capo delle Bandiere Nere agisce male verso il suo fratello d’armi – rispose arditamente Man-Sciù.

Il pirata, che al pari di tutti i suoi compatrioti era superstizioso e credeva agli astri e cento altre corbellerie, aggrottò la fronte e fece un gesto di stizza.

– Credi tu che io non sia nel mio diritto facendo prigioniero Sun-Pao? – chiese.

– No.

– Egli è mio rivale.

– Sì, ma Sai-Sing vi aveva seguìto dopo la promessa fatta da voi di aspettare il parere del grande tha-ybu delle isole, il solo che possa decidere la sorte della Gemma del Fiume Rosso.

– Sarei uno stupido se io non approfittassi della difficile situazione in cui si trova Sun – disse Kin-Lung. – Al mio posto egli non esiterebbe a fare altrettanto.

– Fa’ come credi, capo; io ti dico però che ciò non ti porterà fortuna, e che, dimenticando la tua promessa, Sai-Sing non ti amerebbe giammai.

Il pirata stette qualche minuto in silenzio, guardando la vecchia, poi disse:

– Quando Sai-Sing sarà in mia mano, vedremo che cosa farò di Sun. Oggi il più forte sono io e la fanciulla la voglio nelle mie mani e non già nelle sue. Conducimi nella valle, vecchia; sapremo trovare le loro tracce.

Diede uno sguardo alla sua giunca, attorno alla quale lavoravano parecchi uomini per rimetterla a galla, scavando tutto intorno le sabbie, poi disse bruscamente:

– Guidaci.

Man-Sciù si mise alla testa della piccola colonna. Quantunque ignorasse veramente quale via le avesse fatto percorrere la pantera, si era subito orizzontata, poiché l’alta scogliera, che riparava l’isola verso oriente, si scorgeva benissimo, quantunque fosse lontana alcuni chilometri.

Ben presto si trovarono in mezzo ai boschi, formati da alberi altissimi che somigliavano ai tek e da enormi felci arborescenti che spandevano un’ombra foltissima e fra i cui rami svolazzavano miriadi di pappagalli dalle penne variopinte e di tucani dal becco enorme.

Man-Sciù, che come tutti quelli della sua razza aveva l’orientazione istintiva, dopo due ore riuscì a giungere nel vallone e precisamente sotto l’enorme muraglia dalla quale era stata precipitata.

– Qui devi trovare le loro tracce – disse a Kin-Lung. – Sono più che certa che devono essere scesi per cercarmi. Anzi hanno ucciso un mias e troveremo il cadavere di quel mostro e fors’anche quello di Laos.

– Non ti era molto affezionato il luogotenente delle Bandiere Gialle – disse Kin-Lung sorridendo.

– Mi accusava di aver fatto naufragare la giunca gettando un maleficio sul mare.

– Stupido!...

Ordinò ai suoi uomini di cercare le tracce lasciate da Sun-Pao e dai suoi compagni, tracce che si dovevano ancora scorgere, essendo il suolo umidissimo.

Ed infatti, dopo pochi minuti, trovarono l’enorme scimmia, già mezzo rosicchiata dalle belve, e uno scheletro umano perfettamente spolpato che doveva essere quello di Laos. Poi, tre o quattrocento passi più lontano, scoprirono le orme di Sun-Pao, di Ong e di Sai-Sing.

– Seguiamole – disse Kin-Lung.

Quattro esploratori furono mandati innanzi, poi la piccola colonna si mise in marcia, in fila indiana, sfilando fra gli alberi che tendevano a diventare più folti. Quelle orme, che si vedevano sempre impresse nettamente su quel terreno saturo d’umidità, si dirigevano dalla parte opposta a quella ove trovavasi l’accampamento delle Bandiere Nere.

L’isola in quel luogo non doveva essere molto larga, perché tre ore dopo i pirati giungevano sulla riva meridionale, mentre la giunca erasi arenata su quella settentrionale.

Sul margine del bosco e sulla sabbia Kin-Lung ed i suoi uomini scorsero subito le tracce di un recente accampamento.

Vi erano un fornello, improvvisato con sassi su cui finivano di bruciare alcuni tizzoni, molti gusci di ostriche già vuoti, uno strato di foglie e di alghe, che doveva aver servito da letto a qualcuno, forse alla fanciulla del Fiume Rosso e, un po’ più lontano, il tronco atterrato d’un calambuc già spogliato dei rami e delle foglie.

Sun-Pao, Ong e Sai-Sing erano però scomparsi.

– Dove saranno andati? – domandò Kin-Lung con inquietudine.

– Si saranno forse recati a caccia – disse la vecchia Man-Sciù.

– O che si siano accorti del nostro avanzarsi e siano fuggiti?

– Cerca le loro tracce.

– Le scorgo... si dirigono verso la foresta.

– Seguiamole ancora.

– Vi è però una cosa che m’imbarazza.

– Quale?

– Vedo delle altre orme.

– È impossibile.

– Sì: prima erano tre sole, ora ne vedo parecchie altre. Che Sun-Pao abbia ritrovato alcuni dei suoi uomini?

– Mi pare che fossero tutti annegati.

– Allora avrà trovato degli indigeni. Questa isola, ammesso che sia Pulo Condor, non deve essere disabitata. Mi hanno anzi detto che è abitata da selvaggi coraggiosi che posseggono armi avvelenate.

– Conta le tracce – disse Man-Sciù.

Il pirata esaminò attentamente la sabbia.

– Il gruppo è aumentato di tre uomini – disse poi. – Non sarà però questo piccolo aumento delle forze del mio avversario che mi tratterrà. Gli darò la caccia e non gli lascerò un momento di tregua.
Riformate la colonna – gridò ai suoi uomini. – Quattro esploratori in testa e avanti sempre sulle orme. Noi finiremo per raggiungerli.

Il drappello riprese le mosse, volgendo le spalle alla spiaggia.

Le tracce erano state subito ritrovate nel bosco. Seguivano il margine della foresta e pareva che si dirigessero verso una piccola altura coperta da folte macchie di mimose e di felci.

Già non distavano da quella minuscola collina che poche diecine di passi e cominciavano a distinguere una piccola spaccatura che poteva essere l’entrata di qualche caverna, quando uno dei quattro esploratori mandò un grido, portandosi subito una mano alla gola.

Un sottile cannello, fornito d’una spina lunghissima, lanciato da qualche nemico che si teneva nascosto nei dintorni, gli aveva forato la trachea. Kin-Lung, vedendolo cadere, si era slanciato innanzi, mentre i suoi uomini sparavano a casaccio alcuni colpi di fucile.

Il ferito si contorceva disperatamente in preda a dolori atroci, mentre dalla bocca gli uscivano fiotti di bava sanguigna.

– Capo... – borbottò il disgraziato – freccia avvelenata... sono morto.

Poi si raggomitolò tutto su se stesso, roteò tre o quattro volte gli occhi, quindi si distese tutto, mandando un lungo sospiro. Era morto.

Quasi nel medesimo istante due colpi di fucile rimbombavano presso la spaccatura che già i pirati avevano osservato e due altri uomini dell’avanguardia cadevano fulminati.

Kin-Lung aveva mandato un urlo di furore.

– Gettatevi dietro agli alberi! – gridò ai suoi uomini. – Sun-Pao è là e si prepara alla resistenza, ma noi, fra dieci minuti, lo prenderemo insieme a Sai-Sing.