La Cortigiana (1525)/Atto secondo/Scena ottava

Atto secondo
Scena ottava

../../Atto secondo/Scena settima ../../Atto secondo/Scena nona IncludiIntestazione 30 maggio 2008 75% Teatro

Atto secondo - Scena settima Atto secondo - Scena nona

Parabolano e Valerio.

Parabolano
Parlarò, tacerò? Nel parlare è el suo sdegno e nel tacere è la mia morte, perch’io scrivendoli quanto l’amo, si sdegnerà essere amata da sí basso uomo. S’io sto queto, el celare tanta passione mi condurrà a estremo fine...; ma consigliami tu, Amore.
Valerio
Signore, per usare ufficio de bon servitore e non de presuntuoso, cerco di sapere el vostro male e procacciarvi rimedio con la propria vita.
Parabolano
L’averti io sempre cognosciuto tale t’ha fatto diventare meco quello che tu sei: ma questo mio novo accidente non ti curare sapere.
Valerio
Qui manca d’assai la grandezza vostra e vi è poco onore che un vil desío signoreggi di cosí mala maniera la prudenzia vostra, e ancora che ’l nascondere il dolore vostro proceda d’amore, ben lo cognosco io al poco mangiare e niente dormire e al volto depinto de le vostre passioni: ma se gli è amore, màncav’egli animo de ottenere qual si voglia donna? Voi sete ricco, bello, nobile, liberale, accorto, dolce del parlare, che son mezzi fideli a ottenere Venere, non solamente questa che cosí vi trafigge.
Parabolano
Se l’impiastri de le savie parole guaressino le piaghe mie, tu m’aresti a quest’ora sanatomi.
Valerio
Deh, signore mio, retrovate e recognoscete voi stesso e rilevativi di sí stranio umore e non vogliate diventare favola de la Corte e de’ vostri emuli. Donque voleti ch’a Napoli si sappia questa sciocchezza, che vi mena a la vergogna e morte vostra? Sentendo tal cosa, che alegrezza ne averanno li vostri, che gloria la patria, che consolazione li amici e che utile e’ poveri servitori?
Parabolano
Vatti a spasso, ché mi faresti forse uscire del manico, con tante ciance.