La Cortigiana (1525)/Atto quarto/Scena settima
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Pietro Aretino - La Cortigiana (1525)
Atto quarto
Scena settima
Scena settima
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Valerio e Flaminio.
- Valerio
- L’amor del mio padron è tutto tornato in mio danno; egli m’ha dato licenzia non altrimenti che s’io gl’avessi ucciso suo padre. È possibile che i signori díano cosí facile credenza a le pessime persone? Per Dio che son inciampato in quello che sempre ho avuto paura. Egli è vero ch’i’ ho da vivere da commodo gintilomo e non mi saría discaro senz’altra servitú de riposarmi; pur, el mi duole partirme con disgrazia del padrone, perché se crederà che sia causato per i miei tristi portamenti. Sí che, Flaminio, ci son guai per tutti.
- Flaminio
- ’Il mal mi preme e mi spaventa il peggio’, disse el Petrarca. Io speravo qualche bene per el mezzo tuo, e ora mi cadi ne le mani in peggiore sorte di me. Egli si sol dire che in compagnia el mal si fa minore; ma ti giuro, Valerio, che per tuo amore a me è cresciuto.
- Valerio
- Io voglio stare a vedere se questa fosse frenesia d’amore, ché son certo che l’è inamorato e dubito che questo non sia tutto invento di quel ribaldo del Rosso, che da poco in qua è sempre in secreto seco. Ma cosí gira el mondo!
- Flaminio
- Non correre a furia e usa là quel senno ch’hai sempre dimonstro, perché adesso ne va l’avanzo de tutto l’onore e l’utile del servigio tuo di cotanti anni.
- Valerio
- Vatte con Dio, ché tosto ti saperò dire dove nasce la cosa.