La Cassaria (prosa)/Prologo
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PROLOGO.
Nuova commedia v’appresento, piena
Di varî giuochi; che nè mai latine,
Nè greche lingue recitarno in scena.
Parmi veder che la più parte incline
A riprenderla, subito ch’ho detto
Nuova, senza ascoltarne mezzo o fine;
Chè tale impresa non gli par suggetto
Delli moderni ingegni, e solo stima
Quel che gli antiqui han detto, esser perfetto.
È ver, che nè volgar prosa nè rima
Ha paragon con prose antique o versi,
Nè pari è l’eloquenzia a quella prima:
Ma gl’ingegni non son però diversi
Da quel che fûr; ch’ancor per quello Artista
Fansi, per cui nel tempo indietro fêrsi.
La volgar lingua di latino mista
È barbara e mal culta; ma con giuochi
Si può far una fabula men trista.
Non è chi ’l sappia far per tutti i lochi:
Non crediate però che così audace
L’autor sia, che si metta in questi pochi.
Questo ho sol detto, acciò con vostra pace
La sua commedia v’appresenti; e innanzi
Il fin, non dica alcun, ch’ella mi1 spiace.
Perch’ormai si cominci, e nulla avanzi
Ch’io ne devessi dir; sappiate come
La fabula che vuol ponervi innanzi,
Detta Cassaria fia per proprio nome:
Sappiate ancor, che l’autor vuol che questa
Cittade Metellino oggi si nome.
Dell’argumento, che anco udir vi resta,
Ha dato cura a un servo detto il Nebbia.
Or da parte di quel che fa la festa,
Priega chi sta a veder, che tacer debbia.
Note
- ↑ Così nelle antiche stampe. Il Barotti credè nondimeno dover correggere: gli spiace.