La Canzone del Carroccio/VIII. Il Re

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VIII.
IL RE

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Ma uno squillo suona al ciel, di guerra,
come uno strillo d’aquila sul monte.
I cavalieri levano la spada
ed i gonfalonieri il gonfalone.
5Levano il duro pungolo i biolchi,
e i trombettieri imboccano le trombe.
Tutti si son branditi dentro l’arme.
Per tutto è corso un brivido di ferro.
Spiccia dagli occhi a donne e vecchi il pianto.
10Sboccia tra i labbri de’ fanciulli un grido.
O patria! O grande, forte, unica! I cuori
sbalzano al primo cigolio di ruote,
già; quando gli occhi dei fanciulli, quando
le donne e i vecchi, quando tutti, a piedi
15ed a cavallo, con le trombe in bocca,
coi gonfaloni, con le spade in mano

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o sulle spalle, e i pungoli, e le lancie,
tutti, ma uno, in suo pensiero, ognuno,
come ad un cenno, nel silenzio grande,
               20si volgono all’Arengo.

Pare, che passi un soffio di grandi ale.
Forse è il lor tacito ánsito che s’alza.
Premono in cuore l’ululo i biolchi,
i trombettieri tengono lo squillo.
25I cavalieri appoggiano alle groppe
de’ lor cavalli la ferrata mano.
Son tutti gli occhi volti in su, son volti
tutti ad una finestra dell’Arengo.
Non più diritte sono lancie, e spade:
30mandano un vario scintillìo confuso.
Alla finestra è il vinto di Fossalta,
il Re. Gli luce d’oro il capo, i biondi
capelli istesi insino alla cintura.
Guarda il Carroccio coi grandi occhi azzurri,
35là in mezo al duro mareggiar del ferro.
Guarda la rossa croce sull’antenna.
Re Enzio sta, come sulle rembate
d’una galea. Sotto, gli fiotta il mare;
e il vento salso gli enfia le narici
               40e tra i capelli fischia...

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È l’ánsito del Popolo, che passa
come un gran vento tra la sua criniera
fulva. Il leone vivo del Comune,1
il bello e forte suo leone in gabbia,
45esso è. Ma esso ha ben fratelli al mondo,
ch’escono, armati d’oro come stelle,
dalla serenità di Federigo2
Cesare Augusto! O nati dall’Aguglia!3
O re Currado! O principe Manfredi!
50O dritti stanti a guardia dell’impero
giovani figli dell’imperatore!
E conti e duchi e principi e landgravi
tutti d’un sangue! Dritto sta re Enzio,
re di Sardegna e di Gallura e Torri,
55conte degli aspri monti del Mollese,
e delle cupe selve in Val di Serchio,
e delle terre apriche al Mar di Luni,
signor della Versilia e di Varresso.4
Gli occhi del Re s’incontrano con gli occhi
               60del Popolo, in silenzio.

E scoppia acuto il suono delle trombe,
e grave romba il suon delle campane,
e vi si mesce il grido de’ fanciulli
e le femminee voci di preghiera;

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65e i cavalieri spronano, e i cavalli
partono sfavillando sulle selci,
e i duri artieri partono col croscio
della gragnola; e tutti i gonfaloni
tremano al vento, e tutte l’armi al passo
70dànno bagliori, e ferro è che si muove,
ferro che va con un clangor di magli
su forti ancudi da cui raggia il fuoco;
e i bovi il capo curvano alle grida
del lor biolco, e tirano, e il Carroccio
75va: crolla, crolla, la sublime antenna,
e la bandiera si disnoda in cielo.
Suonano in cielo tutte le campane
sopra il Carroccio. È la città che parte:
parte levando un lento aereo canto
               80con tutte le sue torri.

Note

  1. [p. 86 modifica]Sì: Bologna considerò il re Enzio, un po’ come Roma la lupa e Fiorenza il leone, quello che uscì dalla sua stia e prese tra le branche Orlanduccio (Vill., VI, 69). E Parma aveva la sua «leona». Chr. Parm., pag. 91.
  2. [p. 86 modifica]«Cum... serenitatis nostrae gremium abundet copia filiorum...». Parole di Federigo al comune di Modena: vedi in Frati, La prig., pag. 117.
  3. [p. 86 modifica]Era ben cosciente Federigo del suo sogno di rinnovare l’antico imperio! Nell’agostaro, per esempio, «improntato era il viso dello ’mperadore a modo di Cesari antichi, e dall’altro una aguglia...». Vill, VI. 21.
  4. [p. 86 modifica]Vedi il Testamento del re prigione nell’Op. cit. di Lodovico Frati.